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- Dieci tra film e documentari che affrontano il tema della sostenibilità nella moda: i titoli essenziali per capire l’industria, le sue storture, le sue logiche e le sue conseguenze.
- Tra i temi più gettonati il racconto dell’impatto che l’industria tessile ha sulle persone: attraverso racconti romanzati, testimonianze dirette e inchieste questi nove titoli rappresentano un buon modo per conoscere a fondo il problema dello sfruttamento dei lavoratori.
- Un altro aspetto molto indagato in questi lavori è quello della sovrapproduzione: che fine fanno gli abiti che buttiamo, a volte praticamente nuovi in occidente? Quali conseguenze hanno sugli ecosistemi e sul tessuto sociale dei paesi dove vengono portati per essere smaltiti?
1. The True Cost (2015)
Prodotto tra gli altri da Livia Firth, co-founder di Eco-Age che Business of Fashion ha inserito nella lista delle persone più influenti del mondo della sosetnibilità nella moda e diretto da Andrew Morgan, questo documentario esamina i vestiti che indossiamo, le persone che li producono e l’impatto che l’industria ha sul nostro mondo. Mentre nei decenni il costo degli abiti è diminuito, i costi umani e ambientali sono aumentati drasticamente. Filmato in molti paesi “The True Cost” fornisce un racconto puntuale tanto delle dalle passerelle più blasonate tanto degli angoli più bui delle baraccopoli e, oltre alla stessa Livia Firth, contiene interviste a player importanti del settore come la designer Stella McCartney e l’attivista indiana Vandana Shiva. Questo documentario, uscito pochi anni dopo i fatti di Rana Plaza, è uno dei primi resoconti puntuali dei danni che il capitalismo e l’industria tessile per come è oggi stanno facendo al mondo, un progetto che accompagna fisicamente gli spettatori nei luoghi che i nostri vestiti toccano prima di raggiungere il nostro armadio, dai flash dei fotografi durante le fashion week in giro per il mondo, all’arrivo nei grandi magazzini, ma anche nelle fabbriche dove le condizioni di lavoro sono disumane e le rivolte sono represse con il sangue.
Disponibile per l’acquisto sul sito
2. RiverBlue (2016)
Nessuno dovrebbe avere il diritto di inquinare i corsi d’acqua, eppure l’industria della moda lo fa senza grosse conseguenze. Riverblue segue l’ambientalista canadese Mark Angelo in un percorso che attraversa il mondo per mostrare le conseguenze che una delle industrie più inquinanti del mondo ha sui corsi d’acqua. La voce narrante vi sarà familiare, è quella di Jason Priestley, Brandon di Beverly Hills 90210 sul piccolo schermo, da sempre sostenitore dell’acqua pulita, che ha prestato la voce al documentario che più di tutti esamina la distruzione dei nostri fiumi, il suo effetto sulle persone, dalle comunità che ne sono più colpite fino a tutta l’umanità, e analizza le possibili soluzioni a disposizione per un futuro più sostenibile. In questo documentario vengono mostrati i processi di chimici necessari alla produzione dei nostri abiti, ma anche lo smaltimento irresponsabile di rifiuti chimici tossici. Frame dopo frame viene raccontato come indumenti di culto come i jeans siano responsabili della distruzione di interi corsi d’acqua e, di riflesso, della vita della persone che su quei fiumi contano per la sopravvivenza.
Disponibile per l’acquisto su Vimeo
3. Stracci (2021)
Scritto da Silvia Gambi, giornalista e autrice della piattaforma di contenuti Solo Moda Sostenibile, Stracci parte da una realtà italiana, quel distretto tessile di Prato, per allargare lo sguardo ad Accra e dare conto non solo dell’impatto ambientale dell’industria della moda (leggi alla voce discarica), ma anche dei risultati che si possono raggiungere attraverso il riciclo dei tessuti. Diretto da Tommaso Santi questo documentario racconta non solo gli aspetti tecnici, ma anche la storia e la passione con cui il riciclo delle fibre tessili viene portato avanti nel pratese: la rigenerazione delle fibre della lana è, nel pratese, un’ esperienza antica e condivisa da centinaia di aziende che hanno trovato il modo di creare ricchezza da quello che gli altri gettavano. Stracci però racconta anche qual’ è la destinazione ultima degli abiti che vengono gettati e non recuperati, ovvero l’enorme discarica, la più grande di tutto il continente africano, che si trova alle porte di Accra, in Ghana. Il riuso e il riciclo costituiscono un’opportunità tangibile anche per i Paesi emergenti, per questo il documentario si conclude con prospettive e scenari, dando conto dei livelli di qualità che l’industria del riciclo abbia raggiunto in Toscana.
Disponibile su Prime video e on demand su Chili
4. The Machinists (2010)
Questo documentario britannico esplora la vita quotidiana dei lavoratori delle fabbriche di abbigliamento a Dacca, in Bangladesh e, in particolare, il film segue tre donne lavoratrici e un dirigente sindacale che lottano per salari equi, migliori condizioni di lavoro e dignità nel settorettessile. Attraverso le storie personali dei protagonisti, il documentario evidenzia le sfide affrontate dai lavoratori: orari di lavoro estenuanti, salari minimi e incertezze finanziarie. Viene anche evidenziata la pressione costante dei proprietari delle fabbriche e le minacce contro quelli che cercano di protestare o di organizzarsi sindacalmente. La narrazione è veloce e incalzante e mette lo spettatore nelle condizioni di sentire la pressione a cui sono sottoposti i lavoratori, a cui manca costantemente il tempo: corrono per lasciare i figli dai nonni, corrono al lavoro, corrono per il pranzo e corrono per tornare a casa per trascorrere un quantitativo di tempo davvero esigue con le proprie famiglie. The Machinists denuncia l’effetto del capitalismo neoliberalista che devasta il Sud Globale mentre arricchisce le corporation del Nord Globale e anziché dare strumenti ai paesi in via di sviluppo, ne perpetua la povertà.
5. Unravel (2012)
Questo breve documentario nasce con il proposito di aiutare gli spettatori a capire che fine fa l’immensa produzione di rifiuti dell’industria della moda: quando gli abiti vengono scartati in occidente non scompaiono, ma diventano il peso di qualcun altro, generalmente in un paese molto povero. Nel caso di Unravel si tratta del Nord, dove la piccola città di Panipat è un centro di raccolta di abiti dismessi per creare filati riciclati. Non sapendo nulla sull’origine dei vestiti che si trovano a lavorare, spesso nuovi e in grandissime quantità, le donne indiane che lavorano gli scarti tessili per riciclarli riflettono su questi abiti, costruendo le storie dei loro viaggi fin lì basate sull’idea che hanno dell’occidente e dei suoi usi e costumi. Questo film dipinge un quadro potente della politica dei rifiuti e delle dinamiche di potere che sostengono la gestione dei rifiuti nel mondo della moda mentre condivide le storie e i pensieri delle persone incaricate di creare soluzioni per quei vestiti, spesso integri, scartati di qualcun altro.
6. Junk: armadi pieni (2023)
Cile, Ghana, Indonesia, India e Italia: questa docu serie in sei episodi firmata dall’attivista Matteo Ward e prodotta da Will Media e Sky esplora l’impatto del fast fashion sulle persone e sull’ambiente partendo dai luoghi, raccontando le storie di chi le conseguenze della sovrapproduzione le vive in prima persona. Nelle puntate dedicate al Cile e al Ghana viene esplorato il tema delle discariche tessili del mondo, dove arrivano a ciclo continuo tonnellate di abiti scartati altrove. L’episodio girato in Indonesia è incentrato invece sulla produzione di fibre artificiali, che mettono a rischio la biodiversità minacciando la sopravvivenza di foreste millenarie, di migliaia di specie animali e che compromettono la salute delle persone. L’india fa poi da sfondo ad un’altra tematica scottante, quella del cotone e del suo reale costo: in un viaggio che attraversa il paese da nord a sud ripercorrendo la storia di una T-shirt, dai campi alle tintorie, ponendo l’accento sulle conseguenze della domanda sempre più alta di questa fibra. La puntata conclusiva è infine dedicata al Veneto, terra di produzione di alcune sostanze, le PFAS, che sono altamente tossiche per l’ambiente – proprio in Veneto hanno avvelenato la seconda falda acquifera più grande d’Europa – ma estremamente funzionali all’industria tessile perché sono quelle che rendono gli abiti idrorepellenti.
7. Stacey Dooley Investigates: Fashion’s Dirty Secrets (2018)
Questo documentario, firmato dalla giornalista investigativa Stacey Dooley e trasmesso per la prima volta dalla BBC nel 2018, affronta il tema dell’acqua, concentrandosi sull’enorme quantità necessaria per la coltivazione del cotone, un tessuto ampiamente utilizzato ma anche estremamente dispendioso in termini di risorse. La giornalista visita il sito dell’ex Lago Aral in Uzbekistan, ora quasi completamente prosciugato a causa dell’irrigazione dei campi di cotone raccontando le gravi conseguenze ambientali e socio-economiche che questo ha portato, con la scomparsa della vita marina e lo scatenarsi di tempeste di polvere tossica. Il viaggio di Dooley continua poi sul fiume Citarum in Indonesia, diventato una fogna per centinaia di fabbriche tessili che riversano in acqua rifiuti tossici costringendo la comunità locale a vivere vicino ad una fonte molto pericolosa: la raccolta di campioni d’acqua rivela infatti la presenza di metalli pesanti, mettendo in luce le gravi conseguenze per la salute pubblica.
8. Made in Bangladesh (2019)
Diretto da Rubaiyat Hossain, Made in Bangladesh è la storia delle donne lavoratrici delle fabbriche di abbigliamento e della loro lotta per la dignità. La protagonista si chiama Shimu, ha 23 anni e lavora in una fabbrica di abbigliamento a Dacca, in Bangladesh, in condizioni di lavoro disumane e per questo decide insieme ad alcune colleghe di fondare un sindacato. Minacciata della direzione e disapprovata dal marito abusante Shimu non si arrende e continua la sua lotta. Questo film, basato sulla vita di una donna di cui la regista ha raccolto testimonianze per tre anni, solleva, oltre alla questione dello sfruttamento dei lavoratori tessili, anche quella della condizione delle donne del settore, che rappresentano la maggior parte della forza lavoro e che sono le più sfruttate.
9. Closing the Loop (2018)
“Closing the Loop” è stato il primo documentario al mondo sulla economia circolare: diretto da Graham Sheldon, regista vincitore di due Telly® Award e di un Emmy® Award, esplora come il passaggio ad un modello circolare sia una condizione imprescindibile per il settore tessile. Il lungometraggio è incentrato sul passaggio dall’attuale economia lineare del produrre-usare-sprecare a un’economia circolare del produrre-usare-riportare in vita (a volte anche indicata come economia a zero rifiuti o dal “culla al culla”). In supporto degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite – in particolare l’Obiettivo 12 sulla Produzione e Consumo Responsabile – il documentario esplora cinque strategie chiave per raggiungere la circolarità, ovvero ridurre, riutilizzare, riciclare, rinnovare e reinventare – dando prova di esempi virtuosi in Europa, America Latina e Africa e presentando le opinioni di esperti provenienti da istituzioni come il World Economic Forum e le Università di Cambridge e Harvard.
10. Intrecci etici (2020)
Lucia Mauri e Lorenzo Malavolta hanno firmato questo documentario prodotto da Luma Video, dove si mette in luce l’attuale rivoluzione in corso in Italia per rendere il settore della moda più sostenibile. Il film esplora diversi aspetti dello slow fashion e della moda sostenibile nel paese, raccontando le realtà di chi si occupa di fibre e tessuti naturali, di chi produce solo su ordinazione, di chi trasforma rifiuti in risorse e, infine, di chi impiega i fragili e ha deciso di impegnarsi per portare valore al proprio territorio. L’obiettivo del duo con questo film è quello di far emergere e valorizzare i modelli positivi presenti in Italia e dimostrare che il cambiamento è possibile se altri produttori e consumatori si convertono a scelte più responsabili.