8 compagnie petrolifere stanno consumando un terzo del carbon budget che ci resta

Lifegate

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I piani climatici di Eni, Chevron, ExxonMobil, Shell, TotalEnergies, Bp, Equinor e ConocoPhillips non sono in linea gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
  • È uscito il rapporto “Big oil reality check” dell’organizzazione Oil change international.
  • Nessuna delle aziende analizzate, tra cui Eni, è in linea con l’Accordo di Parigi.
  • Non solo, ma le stesse società facilitano la fornitura di greggio a Israele.

Otto compagnie petrolifere e del gas, tra cui Eni, da sole consumeranno il 30 per cento del budget di CO2 rimanente per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius (°C): lo dice il rapporto Big oil reality check, pubblicato dall’organizzazione Oil change international. Il rapporto ha analizzato gli impegni e i piani per il clima di Chevron, ExxonMobil, Shell, TotalEnergies, Bp, Eni, Equinor e ConocoPhillips in base a dieci criteri che rappresentano il minimo indispensabile per allinearsi agli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi. Il risultato è che nessuna di queste compagnie è allineata.

Non solo, 6 delle 8 aziende analizzate (Chevron, ExxonMobil, TotalEnergies, ConocoPhillips, Equinor ed Eni) hanno l’obiettivo esplicito di aumentare la produzione di petrolio e gas. Anche quelle aziende (Bp e Shell) che non hanno piani espliciti per aumentare la produzione in questo senso stanno comunque presentando nuovi progetti di combustibili fossili, con la differenza che questi asset sono venduti ad altre società. Insomma, una strategia di greenwashing diversa.

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La piattaforma di estrazione di gas Eni al largo del Mozambico, Coral South © Eni

Le compagnie fossili vanno in direzione contraria

Mentre alla Cop28 di Dubai i paesi partecipanti si sono impegnati ad abbandonare gradualmente i combustibili fossili, il rapporto di Oil change international  rivela che le compagnie petrolifere e del gas si stanno muovendo nella direzione opposta, raddoppiando le trivellazioni che provocano danni al clima. Non solo nessuna delle aziende analizzate è in linea con l’Accordo di Parigi ma non c’è nemmeno nessuna che ha fissato degli obiettivi per garantire una riduzione rapida e costante delle proprie emissioni totali, a partire da ora. Così facendo, è sicuro che le società non ridurranno le proprie emissioni in questo decennio.

Tutte le aziende analizzate dal rapporto intendono affidarsi alla cattura e allo stoccaggio dell’anidride carbonica (Ccs), alle compensazioni o ad altri metodi che ritardano – e quindi distraggono – dalla fine dei combustibili fossili. Inoltre, Oil change international evidenzia come tutte le aziende continuino a fare lobbying contro l’azione per il clima, compromettendo così la transizione energetica.

Eni è disallineata rispetto agli obiettivi climatici

Una notizia del genere dovrebbe preoccupare azionisti, management e governi, eppure Eni nei prossimi anni ha in programma addirittura di aumentare la propria produzione di idrocarburi, rimandando il taglio delle emissioni al futuro e sfruttando tecnologie estremamente costose e incerte, come la Ccs, e sistemi di compensazione. “Queste scelte dell’azienda non mettono solo a rischio gli obiettivi climatici, ma la tenuta del business nel medio periodo, gettando le basi per una potenziale crisi che toccherà i lavoratori e gli azionisti e, in primis, lo stato italiano”, scrive Oil change international.

“Per evitare questo scenario occorre gestire la transizione da subito, spostando in maniera decisa gli investimenti verso le rinnovabili, decarbonizzando il proprio portafoglio di attività, cosa che però al momento non si vede nei piani di investimento dell’azienda”, ha commentato Luca Iacoboni, responsabile relazioni esterne e strategie per la decarbonizzazione di Ecco, il think tank italiano per il clima.

“Un piano di transizione dai combustibili fossili che limiti l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi richiede la fine dell’espansione di petrolio e gas e l’inizio di una riduzione della produzione fossile ora, non domani”, ha aggiunto Antonio Tricarico, campaigner finanza pubblica e multinazionali di ReCommon. “L’Eni è chiaramente fuori strada, con un piano di aumento della produzione di petrolio e gas fino al 17 per cento entro il 2030. I finanziatori e gli investitori dell’Eni dovrebbero verificare la favola venduta dal management dell’Eni e alzare la voce se non vogliono finire per essere complici di questa propaganda greenwashing”.

E nemmeno i diritti umani

Non solo il clima, ma la le compagnie analizzate non tengono nemmeno in considerazione il rispetto dei diritti umani di base. Ad esempio, ognuna di esse sta sperimentando una resistenza da parte delle comunità verso i loro progetti, in particolare dalle popolazioni indigene ma non solo. Una dimostrazione che questi progetti continuano a presentare problemi in fatto di diritti umani, salute e sicurezza.

Infine, nel marzo 2024, un’altra indagine di Oil change international ha rivelato che ExxonMobil, Chevron, TotalEnergies, BP, Shell ed Eni sono tutte complici nel facilitare la fornitura di greggio a Israele. Questo nel contesto del continuo massacro di palestinesi a Gaza da parte dell’esercito israeliano e delle crescenti prove di crimini di guerra.

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