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- La Francia è pronta a tassare i brand di fast fashion con un sovrapprezzo che può arrivare anche fino a 10 euro per capo.
- Il disegno di legge, che si compone di tre articoli, è stato presentato da una parlamentare del partito di centro destra Horizons et apparentés ed è stato approvato dall’Assemblea nazionale: adesso manca solo l’ok del Senato.
- Questa legge si inserisce nel panorama di una serie di iniziative francesi volte a proteggere l’ambiente, ma anche per proteggere il settore nazionale tessile e moda dalla pressione dei grandi gruppi stranieri.
L’avvento del fast fashion, ormai 20 anni fa, ha cambiato il mondo della moda e oggi lo possiamo dire serenamente, lo ha fatto in peggio, drogando il mercato con abiti a basso costo. Questo ha provocato due grandi cambiamenti nel settore: il primo è che i consumatori si sono abituati a pagare gli abiti molto poco determinando in maniera proporzionale uno dei cancri maggiori del tessile, ovvero la sovrapproduzione. Il secondo è che ha portato anche i brand di pret a porter a seguire i ritmi forsennati delle uscite dei prodotti, determinando il rilascio di sempre più capsule collection, collaborazioni tra brand e collezioni intermedie, innescando una spirale di produzione infinita.
Il prezzo molto basso a cui i brand di fast fashion ci hanno abituati ha come diretta conseguenza il fatto che da vent’anni a questa parte compriamo molto di più perché i prezzi degli abiti di fast fashion o di ultra fast fashion sono irrisori. Ma un prezzo basso, ormai lo sappiamo, implica scarsa qualità ma soprattutto foschi scenari di sfruttamento. Non ci stancheremo mai di ripeterlo: se una maglietta costa cinque euro significa che chi ha lavorato al confezionamento di quel capo è stato pagato molto poco.
La Francia si prepara a tassare il fast fashion
Siccome il prezzo è il punto focale di tutto, la Francia per dare un segnale concreto ha deciso, approvando all’Assemblea nazionale la la proposta di legge della parlamentare Anne-Cécile Violando, di imporre un sovrapprezzo ai venditori di fast fashion dove, con questa categoria, si intende chi offre “produzione tessile a basso costo, spesso remota e delocalizzata”, ma che chiaramente vende anche in Francia. La proposta, che deve ancora essere approvata dal Senato per diventare effettiva, è articolata secondo una modalità di sovrapprezzo progressiva, dove il costo in più può arrivare fino a 10 euro per un unico capo, ma non è l’unica misura contenuta nel disegno di legge, che si compone di tre articoli. Con il primo si stabilisce che tutti gli e-commerce che vendono vestiti e accessori fast fashion inseriscano accanto al prezzo messaggi di avvertimento sull’impatto ambientale del prodotto che si sta mettendo nel carrello e altri che hanno invece l’obiettivo di incoraggiare il riuso e la riparazione rispetto all’acquisto di un nuovo prodotto.
Il secondo articolo introduce invece la tassa vera e propria e che è basata sul principio di responsabilità estesa del produttore (Epr) che estende la responsabilità del produttore a tutto il ciclo di vita del prodotto e che quindi comprende anche l’inquinamento derivato dalla sua produzione e dal suo smaltimento. L’importo da aggiungere al prezzo base dipenderà quindi dall’impatto ambientale, calcolato a partire da una stima delle emissioni di carbonio. L’ultimo articolo del disegno di legge in questione limita invece la pubblicità di articoli di fast e ultra fast fashion: uno dei marchi citati esplicitamente nella proposta di legge è infatti Shein, brand cinese dalla produzione forsennata che è stato al centro di un’approfondita inchiesta della testata britannica Channel 4 che ha fatto luce sulle condizioni tremende dei suoi lavoratori.
I brand di ultra fast fashion come Shein e Temu immettono sul mercato più di 6mila prodotti nuovi ogni giorno, un’enormità e un’assurdità che la legge francese addita esplicitamente nel riferire che l’azienda “offre un numero di prodotti 900 volte superiore a quello di un rivenditore tradizionale francese”. Proprio per sensibilizzare su questo tema e sui nuovi brand di ultra fast fashion, il mese scorso il politico francese Antoine Vermorel-Marques ha pubblicato un video su TikTok promuovendo la legge, nello stile di un video di unboxing utilizzando l’imballaggio di Shein, per sensibilizzare sulle sostanze chimiche associate alla produzione di questo tipo di brand.
La proposta si aggiunge a leggi francesi che mirano anche ad affrontare direttamente il problema dei rifiuti tessili, tra cui la lunga legge sulla responsabilità estesa del produttore, la legge Agec che promuove l’economia circolare e la riduzione dei rifiuti, insieme alla direttiva sulla dovuta diligenza in materia di sostenibilità aziendale, meglio conosciuta come Csddd, che sta aspettando il voto finale della Commissione europea.
Anche negli Stati Uniti stanno emergendo leggi che cercano di ripulire il settore della moda, dove il California garment worker protection act è diventata legge nel 2022 e il New York Fashion Act e il Fabric Act stanno cercando di ottenere l’approvazione del legislatore. Secondo alcuni osservatori del settore questo disegno di legge rappresenta il tentativo del governo di proteggere il settore fashion e tessile nazionale, messo sempre più sotto pressione dai colossi del fast fashion, un risvolto positivo della legge in questione però riguarda sicuramente gli introiti ottenuti dalle sanzioni, che verranno utilizzati per implementare il trattamento e la raccolta dei rifiuti tessili, ma anche iniziative legate alla circolarità e alla ricerca e sviluppo.