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ROMA – Faccia a faccia nella sede dell’agenzia di stampa Dire tra Barbara Gatto, responsabile Politiche ambientali della CNA e Massimo Gargano, direttore generale di Anbi, l’Associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue. Tra i temi principali discussi i rischi idrogeologici connessi al cambiamento climatico, quali sono i rischi per le imprese?
GATTO (CNA): “IMPRESE NON SIANO LASCIATE SOLE”
“Quello che emerge in questo momento è una consapevolezza diffusa sulla necessità di mettersi a riparo dai rischi idrogeologici connessi al cambiamento climatico. Ci sono settori più vulnerabili come l’agricoltura e il turismo. Tuttavia abbiamo visto anche dal recente piano nazionale di adattamento climatico che una grossa fetta del nostro territorio è a rischio e dunque anche le imprese che insistono su quel territorio” dice Barbara Gatto, Responsabile Politiche ambientali della CNA, nel faccia a faccia con Massimo Gargano, direttore generale di Anbi, l’Associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue che si è svolto nella sede dell’agenzia Dire. Soprattutto dopo gli ultimi eventi in Emilia Romagna, Toscana e Marche, prosegue la dirigente della Cna “il tema ha acquisito un’attenzione molto alta con percorsi di prevenzione specifici rispetto alle caratteristiche del territorio, ovviamente anche con un supporto della nostra Confederazione in termini di sensibilizzazione e di accompagnamento. Qualcosa si sta muovendo in più rispetto al passato, anche condividendo e mettendo a sistema le esperienze virtuose”.
“E’ anche vero che non tutto può essere risolto dalle imprese. Quello della riqualificazione del territorio è un tema che richiede una forte governance, un’adeguata programmazione di cui deve farsi carico il pubblico. Da questo punto di vista una spinta ai singoli stati membri ad attrezzarsi più incisiva può essere utile per accelerare le politiche di mitigazione dei rischi”, conclude Gatto.
GARGANO (ANBI): “NON SOLO EMERGENZA SERVE PREVENZIONE”
“Quella idrica in virtù dello strutturarsi dei cambiamenti climatici è una risorsa più difficile da trattenere sul territorio, i nostri 980 impianti idrogeologici diffusi in tutto il Paese fanno fatica a sollevare queste acque e riversarle in mare. L’Italia è il front-office dove si scontrano le aree calde africane con quelle fredde baltiche, fenomeno che comporta bombe d’acqua e precipitazioni irregolari” spiega Massimo Gargano, direttore generale di Anbi. Per anni, prosegue il direttore generale dell’Anbi “abbiamo ragionato come soggetti che fornivano acqua a tre milioni e mezzo di ettari di pianura. Oggi tutto questo non è più possibile. Oggi noi forniamo acqua con le autobotti, l’abbiamo già fatto quest’anno in Piemonte e in Sicilia, perché manca l’acqua potabile”.
“Mettere in piedi un’attività ha dei costi enormi, vedersela riempita di fango, probabilmente significa aver buttato questi soldi all’aria. E’ necessario quindi iniziare a porre il problema ad altri soggetti e con loro tentare di sensibilizzare le istituzioni italiane ed europee. I Paesi che si affacciano sul Mediterraneo come Portogallo, Spagna, Francia e Italia, subiscono maggiormente questi rischi e hanno maggiore necessità di attivare politiche di prevenzione. Questo confronto alla Dire è una bella giornata di sistema, con un soggetto che da nord a sud del paese si occupa della manutenzione ordinaria e straordinaria della infrastrutturazione, e l’altro che rappresenta un mondo produttivo importante. Da questo credo possano nascere dei momenti di convergenza soprattutto per creare una cultura della risorsa. Oggi rispetto all’acqua si concentra tutto sull’emergenza, noi dobbiamo operare in prevenzione, costa meno, si programma meglio e soprattutto non blocca l’economia”.
“Il paese è nettamente diviso in due. Una situazione totalmente critica nel Mezzogiorno dove manca l’acqua in particolare in Sicilia” dice Gargano, e prosegue “l’emergenza oggi riguarda anche a pieno titolo il Lazio, Roma, l’Abruzzo, la Sardegna.
Viceversa in tutto il resto del paese è stato un anno da un punto di vista idrico fortunato: abbiamo avuto il 70% in più di neve. Due anni fa era l’esatto opposto, avevamo l’acqua nel centro-sud e non l’avevamo al nord. Questo vuol dire che questo paese va dotato di infrastrutture, soprattutto servono piccoli e medi invasi, non di cemento. Invasi che siano in grado di ricaricare la falda e di produrre energia da fotovoltaico e ovunque possibile anche con dei pompaggi, quindi dell’idroelettrico, che consentano in tutti i casi di ridurre i costi dei consorzi di bonifica e dei cittadini. Questa sfida che ci porterebbe a raccogliere più acqua piovana. Oggi ne raccogliamo solo l’11%, serve arrivare almeno al 50%. Credo sia la sfida del futuro”.