I cambiamenti climatici rendono più fragili le foreste: spetta a noi tutelarle

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L’innovazione può dare un futuro sostenibile ai polmoni verdi del nostro pianeta: lo sottolinea l’edizione 2024 del report Fao sullo stato delle foreste.
  • L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) ha pubblicato la nuova edizione dello State of the world forests.
  • La deforestazione è in calo, ma i cambiamenti climatici rendono le foreste più vulnerabili agli incendi e ai parassiti.
  • Il report pone l’accento sul ruolo dell’innovazione nella salvaguardia delle foreste.

Come stanno le foreste del nostro pianeta? A dare una risposta, ogni due anni, è lo State of the world forests, un poderoso rapporto pubblicato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao). L’edizione del 2024 mette bene in chiaro che è l’uomo la più grande minaccia per il futuro delle foreste. Perché accelera i cambiamenti climatici, che le rendono più vulnerabili, e perché le sfrutta per ricavare legno e altre risorse senza curarsi troppo delle conseguenze. Ma è sempre l’uomo ad avere i mezzi e le capacità per salvarle, facendo leva sull’innovazione.

Le foreste sono più vulnerabili a causa della crisi climatica

Nel 2020 le foreste occupavano 4,1 miliardi di ettari, cioè il 31 per cento delle terre emerse. Appena cinque paesi si spartiscono il 54 per cento di questa immensa superficie: Russia, Brasile, Canada, Stati Uniti e Cina. È vero che negli ultimi tre decenni, tra il 1990 e il 2020, 420 milioni di ettari di foreste sono stati convertiti ad altro. Ma è anche vero che il rapporto si apre con una buona notizia: in alcuni territori, la deforestazione sta visibilmente calando. E non sono territori qualsiasi: l’Amazzonia legale brasiliana (meno 50 per cento nel 2023), l’Indonesia (meno 8,4 per cento nel 2021-2022), le foreste di mangrovie (nel decennio 2010-2020, il tasso di perdita lordo è globale è diminuito del 23 per cento rispetto al decennio precedente).

indonesia foreste indigeni
Il parco nazionale di Gunung Leuser in Indonesia, tra le province di Sumatra settentrionale e Aceh © Juleebrarian/Wikimedia commons

C’è da dire però che, per colpa dei cambiamenti climatici, le foreste esistenti sono molto più vulnerabili ai fattori esterni di stress. Lo dimostrano i dati. Nel 2023 gli incendi hanno bruciato 383 milioni di ettari, una superficie più grande di quella dell’India. Ed è lecito supporre che molti roghi più piccoli siano sfuggiti ai monitoraggi. Finché si tratta di incendi controllati, possono essere funzionali a mantenere le foreste in salute; ma quelli incontrollati, molto più pericolosi, stanno diventando più intensi e frequenti proprio a causa della crisi climatica. E, a loro volta, la alimentano, perché nel 2023 hanno emesso in atmosfera 6,6 miliardi di tonnellate di CO2 a livello globale.

I cambiamenti climatici favoriscono anche il dilagare delle specie aliene invasive, inclusi insetti e microrganismi patogeni che intaccano la crescita e la sopravvivenza degli alberi, la qualità del legno e la capacità di sequestro della CO2. Se la gestione forestale è carente, anche i parassiti “nativi” del territorio proliferano e provocano danni anche rilevanti. Solo in Corea del Sud, per esempio, nell’arco di 35 anni sono morti 12 milioni di pini a causa del nematode del legno di pino.

Che ruolo gioca l’innovazione: 18 esempi concreti

Nonostante queste minacce, la produzione di legno aumenta: ha raggiunto i 4 miliardi di metri cubi all’anno, sfruttati per la metà come combustibile (direttamente o sotto forma di pellet o carbone vegetale) e per l’altra metà come materia prima. Si prevede che la domanda aumenti ulteriormente quasi del 50 per cento entro la metà del secolo. Ancora oggi, 2,3 miliardi di persone (soprattutto nell’Africa subsahariana) hanno bisogno del legno per scaldarsi o cucinare. 5,8 miliardi di persone utilizzano prodotti forestali non legnosi, animali o vegetali. E, tra le fasce più povere della popolazione globale, sette persone su dieci senza le specie selvatiche non saprebbero come sfamarsi, ricavare energia, medicine, cibo e fonti di reddito.

Tutelare le foreste, dunque, significa tutelare la biodiversità e il clima, ma anche il sostentamento di miliardi di persone. L’umanità può farcela, se mette in campo la sua capacità di innovazione. Innovazione intesa in tanti sensi: tecnologico, senza dubbio, ma anche sociale, politico, istituzionale e finanziario. Nelle pagine del rapporto, la Fao presenta ben 18 casi di studio da tutto il mondo. Per esempio, si può usare l’intelligenza artificiale per analizzare i dati raccolti da droni e satelliti; si possono sostituire i prodotti fossili in edilizia con quelli basati su legno ingegnerizzato; si possono sviluppare politiche che coinvolgano donne, giovani e popoli indigeni; o, ancora, si possono proporre soluzioni finanziarie innovative nel settore pubblico e privato per dare valore alle foreste e a chi le gestisce in modo sostenibile. Innovazioni che, però, non possono essere semplicemente calate dall’alto. Innovare significa saper riconoscere le circostanze locali, le prospettive, le conoscenze, le necessità e i diritti di tutti i gruppi socio-economici ed etnici.

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