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Centrali fotovoltaiche in orbita intorno al nostro pianeta, capaci di produrre energia da utilizzare poi sulla Terra. Non si tratterebbe più di una semplice ipotesi: ad affermarlo è un gruppo di ricercatori delle università di Surrey e Swansea, che hanno condotto quello che viene definito il primo studio di questo genere sull’argomento.
Sei anni, 30mila orbite e nessun danno
Per sei anni è stato seguito infatti un satellite artificiale, osservando in che modo esso abbia potuto produrre energia elettrica grazie a dei pannelli fotovoltaici. L’apparecchio ha effettuato, nel corso del tempo, più di 30mila orbite. E, secondo i ricercatori, i risultati condurrebbero ad affermare che sia possibile immaginare lo sfruttamento di parchi solari orbitanti a partire dagli anni Trenta.
“Siamo molto soddisfatti del fatto che una missione partita per durare un anno abbia funzionato per sei – ha spiegato Craig Underwood, docente emerito di Ingegneria spaziale presso il Surrey space centre dell’omonima università -. I dati indicano che i pannelli hanno resistito alle radiazioni solari e che la loro struttura in film sottile non si è deteriorata né a causa delle condizioni termiche né per via del vuoto dello spazio”.
“È la prova che i parchi solari orbitanti sono possibili”
Lo scienziato ha aggiunto che “questa tecnologia basata su celle solari ultra-leggere a basso costo potrebbe portare alla costruzione di grandi parchi solari nello spazio, garantendo energia pulita alla Terra. Abbiamo oggi la prima prova che la tecnologia funziona in modo affidabile in orbita”.
Le nuove celle solari sono state sviluppate dagli stessi ricercatori, a base di tellururo di cadmio: si tratta di pannelli in grado di produrre molta più energia rispetto alle tecnologie attuali, rimanendo allo stesso tempo sufficientemente a buon mercato.
“La riuscita del test ha permesso di ottenere fondi per sviluppare ulteriormente la tecnologia. I grandi pannelli solari per applicazioni spaziali rappresentano un mercato in piena espansione”, ha aggiunto Dan Lamb, dell’università di Swansea. Resta da chiedersi quali siano i “costi” in termini di emissioni di CO2 dei lanci per inviare i satelliti in orbita e di quelli che potrebbero risultare necessari in caso di guasti e riparazioni.