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La Toscana si aggiunge all’ormai corposa lista delle regioni italiane contaminate da Pfas. A rivelarlo una serie di campionamenti svolti in modo indipendente da Greenpeace che confermano l’allarme che già era stato lanciato nel 2013 da parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e dall’Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA). Le analisi condotte dall’organizzazione ambientalista hanno rilevato alte concentrazioni del contaminante nei corsi d’acqua della regione, specie a valle dei fiumi, dove la concentrazione è risultata fino a 20 volte superiore rispetto a monte. «Il quadro di contaminazione che emerge dalle nostre analisi è tutt’altro che rassicurante. Alcuni casi sono ben documentati da almeno dieci anni, ma la Regione Toscana non ha mai affrontato seriamente il problema: manca infatti un provvedimento sugli scarichi industriali», ha commentato Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace che ha sottolineato inoltre che serve al più presto avviare le indagini sulle acque potabili. La Toscana è la quarta regione italiana interessata dal fenomeno, dopo il Veneto, la Lombardia ed il Piemonte.
I Pfas sono un gruppo che raccoglie oltre 10.000 molecole sintetiche non presenti in natura, utilizzate in vari processi industriali per la fabbricazione di prodotti come le padelle antiaderenti o qualche imballaggio alimentare. Essendo molecole fortemente stabili, esse non vengono degradate brevemente nell’ambiente e sono state definite “inquinanti eterni”. L’esposizione ai Pfas è stata associata a problemi alla tiroide, diabete, danni al fegato e al sistema immunitario, cancro al rene e ai testicoli e ad impatti negativi sulla fertilità e da novembre 2023 le sostanze sono state riconosciute anche come cancerogene. I Pfas sono già stati rilevati in Veneto – dove la questione è così seria che anche l’Alto Commissariato dell’Onu spedì anni fa una delegazione – nelle acque potabili della Lombardia e del Piemonte.
Le ultime misurazioni fanno seguito ad una lunga scia di allarmi che risalgono a più di dieci anni fa: già nel 2013 un’indagine del Cnr-Irsa, l’Istituto di ricerca sulle acque, aveva trovato diverse criticità sulla contaminazione ambientale da Pfas in Toscana, rilevando inoltre che la presenza di sostanze risultava riconducibile al distretto tessile di Prato ed a quello conciario di Pisa. Stando inoltre ai dati raccolti nel 2022 da ArpaT, i Pfas erano presenti nel 76% delle acque superficiali, nel 36% delle acque sotterranee e nel 56% dei campioni di biota (animali) monitorati. A tale lista si è recentemente aggiunta l’ultima analisi di Greenpeace, organizzazione non governativa e ambientalista che ha effettuato prelievi a monte ed a valle degli impianti di depurazione industriale toscani. Sono state effettuate misurazioni presso il consorzio Torrente Pescia e l’Aquapur per il distretto carta, il depuratore di Aquarno che scarica nell’Usciana per il distretto conciario, il depuratore Cuoio-Depur che scarica in un affluente dell’Arno per il distretto del cuoio, i fiumi Ombrone e Bisenzio per il distretto tessile e il torrente Brana per quello florovivaistico.
Le soglie più allarmanti sono state rilevate nel fiume Ombrone, dove la concentrazione a valle del distretto tessile è risultata circa 20 volte superiore rispetto a monte. Altri incrementi significativi sono stati registrati anche a valle del depuratore Aquapur – dove la presenza è aumentata di circa 9 volte rispetto a quella a monte – e a valle del depuratore Aquarno, il quale si immette nel canale Usciana. La ricerca ha sfruttato due metodi diversi: la misurazione della concentrazione di 57 singole molecole e l’analisi di Pfas totale attraverso una tecnica che consente di misurare la presenza di fluoro organico. Le contaminazioni più preoccupanti sono state rilevate nel Fosso Calicino (4.800 nanogrammi/litro), seguito dalle misurazioni nel canale Usciana (4.500 nanogrammi/litro) e nel Rio Frizzone (3.900 nanogrammi/litro). Le analisi delle molecole specifiche invece hanno mostrato concentrazioni più elevate nel Rio Malucco (oltre 200 nanogrammi a litro), nel Fosso Calicino (circa 241 nanogrammi a litro) e nel fiume Ombrone (oltre 115 nanogrammi a litro).
Greenpeace ha spiegato che, partendo da alcuni dati della Food and Drug Administration (FDA), è possibile stimare che una cartiera può emettere tra 40 e 100 chilogrammi di Pfas al giorno, sottolineando che nel settore, soprattutto per gli imballaggi a contatto con gli alimenti, esistono già numerose alternative ai Pfas. Il rapporto, quindi, costituirebbe un invito non solo a procedere all’estensione dei monitoraggi ambientali, ma anche a dotarsi di un provvedimento che limiti le immissioni inquinanti dei settori industriali coinvolti. «È necessario che le Asl avviino al più presto indagini sulle acque potabili, soprattutto nelle aree in cui si registrano elevati livelli di contaminazione ambientale», ha concluso l’organizzazione ambientalista.
[di Roberto Demaio]