Giornata della terra, a che punto è la ‘lotta’ ai cambiamenti climatici

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Il 22 aprile è la Giornata mondiale della terra e mentre sono passati nove anni dagli accordi di Parigi, la Terra continua a scaldarsi più di quanto dovrebbe (soprattutto in Europa) e gli studiosi stanno cambiando strategia e puntando sempre più su piani di adattamento ai cambiamenti climatici

di Roberto Antonini e Marcella Piretti

BOLOGNA – Oggi, 22 aprile, è la Giornata mondiale della terra. E inevitabilmente tutte le riflessioni si concentrano sugli effetti dei cambiamenti climatici, che negli ultimi anni si fanno sempre più sentire in termini di frequenza di eventi estremi, surriscaldamento e problemi crescenti di smog e invasione di specie aliene. Ma a che punto sono le politiche per il contrasto degli effetti dei cambiamenti climatici? Che ne è degli accordi di Parigi del 12 dicembre 2015? E degli obiettivi dell’Agenda 2030?

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Mentre le conferenze Cop si susseguono (l’ultima è stata a Dubai, la prossima In Azerbaijan, entrambi paesi petrolieri), va innazitutto ricordato che l’obiettivo deciso alla Cop 15 di Parigi era quello di rimanere al di sotto di un aumento medio globale di 1.5 grado all’anno, al fine di evitare le conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico. Andiamo male: le ultime rilevazioni mensili segnano tutte un aumento che nella media si configura ben oltre il +1.5 gradi. Quanto all’Europa, pare si tratti della zona che nel mondo si scalda più di ogni altra, a partire dal mare europeo, dove stanno continuando ad arrivare specie aliene dai mari tropicali del Sud e causano grandi problemi non solo sul fronte delle interferenze sugli habitat naturali ma anche per l’uomo. Il pesce scorpione e il granchio blu ne sono un esempio.

L’Europa, dal canto suo, si impegna con il “Green deal” (un pacchetto di iniziative che punta ad una transizione ecologica, con l’obiettivo ultimo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050), ma emette solo piccola quota rispetto al mondo Cina Usa India. Intanto, il peggio capita in Africa e nei piccoli stato insulari, in Asia e in generale nei Paesi poveri. A Parigi si era deciso di sitituire un fondo da 100 miliardi di dollari da destinare ad azioni di mitigazione e adattamento ai Paesi poveri, ma per ora i Paesi ricchi ancora non lo hanno implementato, dopo 9 anni.
Intanto, anche Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) dice di andare avanti sull’obiettivo della mitigazione (e quindi sulla riduzione delle emissioni), ma ormai quel treno è partito ed si sta facendo strada la convinzione che sia meglio puntare maggiormente sulle azioni di adattamento ai cambiamenti climatici, più che sulla prevenzione. Ovvero, fronteggiarne le conseguenze più che tentare (sperare) di fermarli. E si tratterebbe di un adattamento che va studiato su misura per i vari Paesi coinvolti, non è possibile pensare a un unico progetto generale.

Guardando nello specifico all’Italia, si può ricordare il Piano Nazionale Adattamento Cambiamento Climatico (Pnacc), che è stato approvato nell’ultima versione alla fine di dicembre 2023 e si compone di 361 azioni per affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici. L’obiettivo è implementare le azioni finalizzate a ridurre al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, migliorare la capacità di adattamento dei sistemi naturali, sociali ed economici nonché trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche.

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