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- In Bangladesh il 56 per cento dei posti di lavoro nella pubblica amministrazione è fissato per quote.
- Il 30 per cento è riservato ai parenti dei veterani della guerra del 1971 e questo riduce il lavoro per gli studenti.
- Le proteste contro la legge hanno portato a occupazioni di università e all’assalto della televisione.
- Le autorità hanno risposto con la forza e con il blocco di internet e delle telecomunicazioni.
Da alcune settimane il Bangladesh è scosso da profonde proteste antigovernative. Decine di migliaia di studenti e studentesse sono scesi in piazza per protestare per le difficili condizioni socio-economiche in cui vivono nel paese, e in particolare contro una legge sulle assunzioni nella pubblica amministrazione considerata discriminatoria.
In piazza sono scesi anche i gruppi pro governativi e ci sono stati scontri tra le due fazioni e con la polizia. Nei disordini sono già stati uccisi 39 manifestanti e il governo ha ordinato il blocco di internet e dei servizi telefonici.
Contro la legge sulle assunzioni
Migliaia di studenti universitari in Bangladesh hanno dato il via a profonde proteste contro il governo. Il problema è sorto dopo una sentenza della Corte Suprema, che ha confermato una sentenza dell’Alta Corte che ripristinava il sistema delle quote nelle assunzioni nella pubblica amministrazione, abolito nel 2018 a seguito di precedenti proteste studentesche.
Il sistema delle quote del Bangladesh riserva il 56 per cento dei posti di lavoro a specifici gruppi. Il 10 per cento è riservato alle donne, un altro 10 per cento a chi proviene da distretti economicamente svantaggiati, il 5 per cento alle comunità indigene, l’uno per cento alle persone con disabilità e il 30 per cento ai parenti dei partigiani caduti nella guerra di indipendenza del 1971. I manifestanti protestano in particolare contro quest’ultima quota, considerata un ostacolo alle assunzioni basate sul merito, visto che ogni anno 400mila laureati devono contendersi i circa 3mila posti di lavoro restanti in un settore, quello pubblico, tra i pochi a garantire un futuro in un paese dove povertà e disoccupazione sono dilaganti.
Il Bangladesh è nel caos
I manifestanti hanno bloccato le principali strade di Dhaka, la capitale del Bangladesh, e altre città. Le proteste si sono estese anche alle università stesse e il governo, guidato dalla premier Sheikh Hasina, ha ordinato la chiusura di diversi campus, ma gli studenti per ora non hanno intenzione di andarsene. Il governo ha poi ordinato l’interruzione di internet e di alcuni servizi di telefonia per ostacolare l’organizzazione delle proteste.
Tra i manifestanti e la polizia ci sono stati pesanti scontri, poi sono scesi in piazza anche i movimenti filogovernativi e questo ha portato a scene di guerriglia civile in strada, con violenze tra diverse fazioni. Alcuni manifestanti hanno anche dato l’assalto alla sede della tv pubblica, causando problemi di trasmissione. Il bilancio dei primi giorni di proteste è di almeno 39 morti e centinaia di feriti.
Di fronte a questa situazione di caos, la Corte Suprema ha sospeso la reintroduzione delle quote fissata dall’Alta Corte. Nel giro di un mese ci sarà una nuova sentenza sul tema. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha espresso preoccupazione per la situazione, chiedendo un’indagine completa sugli atti di violenza e un dialogo costruttivo tra il governo e i manifestanti per risolvere la crisi. Il capo dei diritti umani dell’Onu, Volker Turk, ha esortato il governo a fermare la repressione. Già nei mesi scorsi c’erano state profonde proteste in Bangladesh, sempre per la difficile condizione economico-sociale della popolazione.