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- Israele blocca in via preventiva il giacimento di gas Tamar.
- I prezzi del gas in Europa si alzano del 12,5 per cento.
- Intanto Russia e Arabia Saudita discutono di quanto petrolio esportare.
Cresce la preoccupazione per l’impatto globale del conflitto tra Israele e Hamas. Sebbene le conseguenze economiche più ampie siano state limitate, esperti e funzionari hanno affermato che un’eventuale espansione dei combattimenti – attraverso il coinvolgimento di Hezbollah o dell’Iran, ad esempio – renderebbe instabile il mercato dell’energia, con un conseguente aumento dei prezzi.
La testata statunitense Bloomberg ha stimato che un coinvolgimento diretto del governo di Teheran – storico alleato di Hamas – potrebbe far schizzare i prezzi del petrolio a 150 dollari al barile, rispetto agli attuali 90 dollari, e ridurre la crescita globale di un intero punto percentuale. I mercati energetici “restano in bilico” perché la situazione è “carica di incertezza”, ha avvertito l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), mentre il capo del Fondo monetario internazionale (Fmi) ha descritto il conflitto come “una nuova nube su un orizzonte non certo sicuro per l’economia mondiale”.
La guerra in corso rischia di interrompere il regolare flusso di petrolio e gas dalla regione verso l’Europa, Italia compresa. Martedì, durante l’apertura dei mercati, il presidente di Federpetroli Michele Marsiglia ha parlato di “un copione già visto”, riferendosi a quanto accaduto dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Israele blocca un giacimento di gas
Israele ha bloccato in via precauzionale la produzione del giacimento di gas offshore di Tamar, gestito dalla statunitense Chevron, la cui capacità produttiva si aggira intorno ai 10 miliardi di metri cubi annui. Il giacimento si trova in linea d’aria a circa 90 chilometri in mare da Haifa. Questo gasodotto alimenta principalmente Egitto e Giordania ma in parte anche l’Europa, dove – a causa di questa chiusura – il prezzo del gas è aumentato del 12,5 per cento.
In realtà, a concorrere all’aumento del prezzo del gas sarebbe stato anche un sabotaggio del gasdotto Balticconnector, che collega l’Estonia con la Finlandia, per cui i funzionari estoni hanno attribuito la causa ad attori “esterni”. Intanto Chevron ha anche annunciato di aver interrotto l’esportazione verso l’Europa di gas naturale attraverso un altro importante gasdotto, l’East Mediterranean gas (Emg) situato nel Mediterraneo.
Il prossimo giacimento che rischia il blocco temporaneo si trova al largo della Striscia di Gaza: si tratta del giacimento Leviathan, uno dei più grandi bacini di estrazione di metano del Mediterraneo. Nell’ultimo anno Israele ha aumentato l’estrazione di fonti fossili, in particolare di gas, nel tentativo di sostituirsi alla Russia come fornitore dell’Europa.
Di quanto è aumentato il prezzo di gas e petrolio
Oltre al gas c’è il petrolio. Israele e Palestina non sono produttori di petrolio, ma la regione mediorientale rappresenta quasi un terzo dell’offerta globale. “Se il conflitto coinvolgerà anche l’Iran, accusato di sostenere gli attacchi di Hamas, sarà a rischio fino al 3 per cento della fornitura globale di petrolio”, ha detto l’analista energetico Saul Kavonic intervistato dalla Bbc, che ha aggiunto: “Un quinto dell’offerta globale sarebbe in ostaggio in caso di interruzione del passaggio attraverso lo stretto di Hormuz”, una rotta commerciale vitale per il petrolio.
Solo una settimana fa i prezzi del greggio si stavano normalizzando e maggio erano scesi sotto i 70 dollari. Ora, invece, gli analisti parlano del rischio che un barile possa arrivare a costare 150 dollari. Tanto per fornire un paragone, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, il prezzo del petrolio era salito a 120 dollari al barile.
Il patto per speculare tra Russia e Arabia Saudita
Russia e Arabia Saudita, i due principali esportatori di petrolio al mondo, si sono incontrati a Mosca per discutere del mercato globale dopo l’attacco a sorpresa dei combattenti di Hamas. Il vice primo ministro russo, Alexander Novak, il più importante funzionario petrolifero del Cremlino, e il ministro dell’energia saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, hanno concordato di trattenere dal mercato 1,3 milioni di barili al giorno, pari a più dell’1 per cento della domanda globale, fino alla fine dell’anno.
Un duro colpo per l’Europa e per gli Stati Uniti, già alle prese con un alto tasso di inflazione, dal momento che i prezzi dell’energia si riversano sui prezzi al consumo per i cittadini. Per contro, l’aumento dei prezzi globali del petrolio rischia di trasformarsi in un’àncora di salvataggio per la Russia, dopo il crollo delle vendite di gas verso l’Europa dovuto all’invasione dell’Ucraina. Putin ha aggiunto che “le élite occidentali hanno seminato confusione sul mercato energetico globale” e che ora tocca agli “operatori di mercato responsabili” correggere il tiro. Riyadh, dal canto suo, ha spiegato farà di tutto per evitare un’escalation della situazione a Gaza, sostenendo gli sforzi per stabilizzare i mercati petroliferi.