Quale futuro per la moda dopo le elezioni europee? Partiamo da un’impronta di 270 chili di CO2 pro capite

Lifegate

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Il Parlamento europeo ha aggiornato il report sull’impatto della produzione tessile mentre cresce l’attesa nei confronti delle prossime scelte politiche.
  • Ogni cittadino europeo produce annualmente un’impronta per i suoi consumi in fatto di moda pari a 270 chilogrammi di CO2 equivalente.
  • Il Parlamento europeo ha aggiornato il report sull’impatto dei consumi tessili e, mentre alcuni stati come la Francia dichiarano guerra aperta al fast fashion, cresce la preoccupazione in merito ai risultati delle elezioni.

Il consumo medio di prodotti di abbigliamento per persona ha sfruttato terreno per 400 metri quadri, 9 metri cubi d’acqua e 391 chilogrammi di materie prime per un’impronta climatica pari 270 chilogrammi di CO2 equivalente nel 2020 (stando ai conti dell’Agenzia europea dell’ambiente). Lo rivela l’aggiornamento del rapporto sull’impatto europeo dei rifiuti tessili. Ora, l’Unione europea si è dotata di strumenti per far fronte all’emergenza data dalla sovrapproduzione e dal sovraconsumo, e alcune nazioni come la Francia si stanno adoperando per operare una stretta ancor più rigida ad esempio sui consumi da fast fashion, ma la domanda ora è: in che modo incideranno i risultati delle scorse elezioni europee sull’impegno dell’Unione nei confronti di una moda sostenibile e più etica?

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La sovrapproduzione è uno dei principali problemi dell’industria tessile © iStock

La produzione tessile oggi consuma troppe risorse naturali

Acqua, terreni adibiti alla coltivazione del cotone e di altre fibre: per produrre una sola T-shirt di cotone, ormai lo sappiamo a memoria, o dovremmo saperlo a memoria, occorrono 2.700 litri di acqua dolce, un volume pari a quello sufficiente a dissetare una persona per due anni e mezzo. Nel 2020, il settore tessile è stato, a livello europeo, la terza fonte di degrado delle risorse idriche e di uso del suolo: in quell’anno, sono stati necessari infatti in media nove metri cubi di acqua, 400 metri quadrati di terreno e 391 chilogrammi di materie prime per fornire abiti e scarpe per ogni cittadino dell’Unione europea.

Il problema però è complesso perché questi numeri devono sì essere necessariamente ridotti, ma il settore tessile e dell’abbigliamento significa per l’Europa un fatturato di 162 miliardi di euro e lavoro per oltre 1,5 milioni di persone ripartite su 160mila aziende (dati Euratex, 2021). Sempre nell’anno preso in esame, nei 27 paesi dell’Unione, sono state prodotte 6,9 milioni di tonnellate di prodotti tessili finiti ripartite tra tappeti, tessili per la casa e altri tessili (inclusi tessuti non tessuti, tessili tecnici e industriali, corde e tessuti). A questi poi si vanno ad aggiungere i prodotti importati: 8,7 milioni di tonnellate di prodotti tessili finiti nel solo 2020, con un valore di 125 miliardi di euro. Di questo numero totale di importazioni l’abbigliamento pesa per il 45 per cento in termini di volume, seguito dai tessili per la casa, altri tessili e calzature (dati Eurostat) che arrivano principalmente da Cina, Bangladesh e Turchia, mentre i prodotti che esportiamo noi vanno a finire per la maggior parte in Regno Unito, Svizzera e Stati Uniti (dati Euratex).

Una produzione tanto vasta non si traduce solo in prodotti fisici che poi necessiteranno un giorno o l’altro di essere smaltiti, ma soprattutto in inquinamento ambientale su larga scala. Si stima infatti che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20 per cento dell’inquinamento globale dell’acqua potabile a causa dei vari processi a cui i prodotti vanno incontro, come la tintura e la finitura, e che il lavaggio di capi sintetici rilasci ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microplastiche nei mari. Secondo i calcoli riportati nel report del Parlamento europeo, un unico carico di bucato di abbigliamento in poliestere può comportare il rilascio di 700mila fibre di microplastica che possono finire nella catena alimentare. E se dall’elemento acqua ci spostiamo all’elemento aria le cose non migliorano: l’industria della moda è responsabile del 10 per cento delle emissioni globali di carbonio, più del totale di tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo messi insieme. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, gli acquisti di prodotti tessili nell’UE nel 2020 hanno generato circa 270 chili di CO2 per persona. Questo significa che i prodotti tessili consumati nell’Ue hanno generato emissioni di gas serra pari a 121 milioni di tonnellate.

Moda etica e circolare: a che punto siamo in Europa

Sviluppo di nuovi modelli di business per il noleggio di abbigliamento, progettazione di prodotti realizzati in modo tale da consentire che il riutilizzo e il riciclo siano più facili, sensibilizzazione dei consumatori all’acquisto di meno capi e di migliore qualità, lotta contro il greenwashing sono alcuni degli obiettivi che il Parlamento europeo si è dato con la Strategia per il tessile sostenibile e circolare pubblicata a marzo del 2022. La strategia in questione comprende inoltre nuovi requisiti di progettazione eco-compatibile per i tessuti, informazioni più chiare, un passaporto digitale obbligatorio per tutti i prodotti e l’invito per le aziende ad assumersi la responsabilità e ad agire per ridurre al minimo la propria impronta di CO2 e ambientale. Non solo: Bruxelles dispone di un marchio Ecolabel UE che i produttori che rispettano i criteri ecologici possono applicare agli articoli. Questo dà maggiore visibilità ai prodotti che includono meno sostanze nocive e causano meno inquinamento dell’acqua e dell’aria.

In tema rifiuti invece il Parlamento Europeo ha presentato idee per modificare le norme sui rifiuti tessili nel marzo 2024. La revisione della direttiva sui rifiuti introdurrà schemi di responsabilità estesa del produttore: ciò significa che i produttori di prodotti tessili, come abbigliamento, calzature, cappelli e accessori, così come altre aziende che immettono tali prodotti sul mercato unico europeo, dovranno coprire i costi della raccolta differenziata, dello smistamento e del riciclaggio. Inoltre, i Paesi dell’UE sarebbero obbligati a raccogliere separatamente i prodotti tessili a partire dal primo gennaio 2025 per il riutilizzo, la preparazione per il riutilizzo e il riciclo. “Chiediamo un obiettivo di riduzione dei rifiuti tessili, con una supervisione dei prodotti tessili usati esportati”, ha dichiarato Anna Zalewska (del gruppo parlamentare ECR), l’eurodeputata polacca che portato all’approvazione delle norme in Parlamento. Zalewska ha inoltre chiesto di migliorare le infrastrutture per la raccolta differenziata dei tessili e di rendere più efficiente la selezione dei rifiuti urbani, in modo da estrarre gli articoli che possono essere riciclati prima di essere inviati all’inceneritore o alla discarica.

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Il Parlamento Europeo ha delineato un piano d’azione ben preciso per arrivare all’attuazione di norme e posizioni concrete entro il 2030 © iStock

Elezioni europee e politiche sostenibili

I risultati delle elezioni europee all’inizio di giugno hanno segnato la fine di quello che è stato il parlamento più green oriented dell’Unione. Le elezioni, guidate da preoccupazioni per le politiche climatiche, l’aumento dei costi della vita e l’immigrazione, hanno visto un aumento del sostegno all’area populista. Lo spostamento dell’asse politico a favore della destra sovranista potrebbe complicare l’approvazione di nuove leggi volte ad affrontare le sfide della sicurezza, gli impatti del riscaldamento globale o la concorrenza di Cina e Stati Uniti. Tuttavia, un’analisi dell’agenzia di stampa Reuters suggerisce che la maggior parte delle politiche e delle leggi esistenti rimarranno intatte e che gli obiettivi principali di Bruxelles in materia di cambiamento climatico non saranno toccati, dato che i principali partiti che sostengono queste politiche detengono ancora la maggioranza. Il nuovo parlamento potrebbe però tentare di indebolire alcune misure del Green deal, spostando l’attenzione politica verso la sicurezza e l’industria.

La sfida più significativa sarà probabilmente garantire il finanziamento per la transizione ecologica in un contesto di crescita economica lenta e di inflazione. Nel prossimo Parlamento Europeo, il sostegno al Green deal continuerà a venire dal gruppo dei Socialisti e Democratici di centrosinistra, che sottolinea gli aspetti sociali di una giusta transizione climatica, e dal gruppo liberale Renew Europe, che enfatizza la necessità di un’attuazione pragmatica. Mentre i Verdi hanno proposto un piano di investimento ancora più ambizioso, altri gruppi di sinistra sono più critici. È presto per dire che effetto avranno le elezioni sugli impegni europei nei confronti del Green deal, bisogna attendere almeno la composizione della nuova Commissione europea. Probabilmente vedremo questi temi scivolare più in basso nell’agenda politica, ma al momento non sembrano esserci grossi smantellamenti in atto.

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