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BRUXELLES – Investire nelle energie rinnovabili con impianti nazionali che siano regolati da accordi di fornitura per l’energia elettrica, i cosiddetti Power Purchase Agreement (Ppa) o attraverso Comunità energetiche rinnovabili (Cer) si sta rivelando fondamentale a livello europeo per contrastare il caro bollette nel mercato dell’energia elettrica.
L’Italia, tra gli altri, è uno dei Paesi in cui questi strumenti possono portare a risultati rilevanti sul piano energetico, ma parte del potenziale è ancora inesplorato. Nonostante il nostro quadro normativo sia favorevole infatti, il margine di crescita è ancora ampio, se si considera l’obiettivo fissato dal Piano nazionale e climatico nazionale che prevede un contributo dei Ppa di almeno 0,5 TWh annui su obiettivo di elettricità da fonti rinnovabili del 55% fissato nello stesso Piano. Ora l’Italia produce energia elettrica da fonti rinnovabili per il 27% del totale e può sicuramente migliorare.
Questo è quanto emerge da due studi, pubblicati dalla Fondazione Luigi Einaudi con il patrocinio del European Liberal Forum, sul contributo di questi due strumenti (Ppa e Cer) nel promuovere il ruolo delle fonti rinnovabili per raggiungere gli obiettivi energetici e climatici dell’Unione europea per il 2030 e il 2050.
“Lo studio presentato è importante e realistico e da un contributo ad un percorso che stiamo seguendo con determinazione, un percorso che deve vederci cambiare quella che è la pelle energetica del Paese”, ha detto al riguardo il ministro per l’Ambiente e la sicurezza energetica Gilberto Picchetto Fratin.
Stando alle informazioni presenti nei due studi, diversi sono infatti i vantaggi dell’introduzione di strumenti energetici come i Ppa sia a livello economico che ambientale, come ad esempio l’abbattimento dei costi di produzione, la minore dipendenza dai combustibili fossili e non meno importante la creazione di nuove opportunità di lavoro legate alla filiera delle energie rinnovabili.
L’importanza delle due pubblicazioni è stata sottolineata anche Simona Benedettini, consulente energetica che ha coordinato la ricerca in questione. “Gli elaborati presentati, volti a studiare non solo le best practice ma anche le barriere che i due strumenti riscontrano nei diversi paesi europei sul piano normativo, serviranno sicuramente ad alimentare il dibattito che recentemente si è creato intorno alle rinnovabili e offriranno interessante spunti per i legislatori europei nazionali”, ha detto Benedettin.
Il quadro normativo italiano per le Ppa sembra essere abbastanza maturo – dicono gli studi – poiché include alcune delle migliori pratiche tra quelle proposte dalla Commissione europea, come la piattaforma pubblica per la negoziazione delle Ppa, la standardizzazione dei contratti e le Ppa nelle comunità energetiche. Inoltre, rispetto agli altri Paesi dell’Unione presi in considerazione, in Italia il dibattito sulle Ppa ha avuto origine ben prima delle raccomandazioni della Commissione europea. Oltre al nostro Paese, l’elaborato prende in considerazione anche Portogallo, Germania, Spagna e Ungheria, Danimarca e Bulgaria.