https://www.lifegate.it/moda-sostenibile-costosta
- |
La moda sostenibile è, generalmente, costosa, ma ci sono delle buone ragioni per cui il prezzo riportato sul cartellino spesso è più alto di quello che ci aspetteremmo e, soprattutto, ci sono delle buone ragioni per investire in meno pezzi, ma realizzati in modo responsabile. Per garantire che un capo abbia un impatto minimo sull’ambiente entrano infatti in gioco diversi fattori che influenzano il prezzo finale del capo: la durata o il ciclo di vita di un prodotto è uno di questi ad esempio. I brand di moda sostenibile investono nella creazione di abiti il cui requisito è quello di durare più a lungo rispetto alle alternative offerte dal fast fashion il che, in ultima analisi, incoraggia i consumatori a sviluppare un rapporto duraturo propri i loro vestiti che, a conti fatti, si traduce anche risparmio finale per l’acquirente se si analizza la spesa su una prospettiva di lungo periodo. La durabilità però non è l’unico fattore a determinare il pricing elevato, vediamo gli altri.
La moda sostenibile è costosa per via di un effetto ottico
Se ragionassimo ancora con i parametri di qualche decennio fa non giudicheremmo come over priced collezioni che utilizzano materiali naturali e realizzate in maniera artigianale semplicemente perché saremmo ancora allenati a riconoscerne il valore. Quello che è successo, con l’avvento del fast fashion ormai più di 20 anni fa, è che ci siamo disabituati a valutare correttamente il valore di un capo. Due decenni e oltre di T-shirt a cinque euro e jeans a poco più di venti hanno semplicemente falsato la nostra percezione.
Pricing e materie prime
I tessuti sintetici come il poliestere realizzati con materiali a base di carbonio e colorati con agenti chimici tossici inquinano l’aria e i fiumi, ma sono estremamente economici. Le fibre naturali, tra cui il cotone organico, la lana, la seta, il lino costano più perché è più lungo il processo per ottenerle e perché, affinché questo processo sia poco impattante, come nel caso del cotone organico ad esempio, occorre rispettare determinati requisiti di coltivazione e produzione che comportano anche ritmi produttivi più lenti e volumi più ridotti. La stessa cosa vale per le fibre bio-based ricavate dagli scarti della frutta o per le tinture al vegetale: l’innovatività dei processi spesso porta con sé tempistiche di un certo tipo e produzioni contenute che, per forza di cose, impongono ai produttori di mantenere certi standard di prezzo perché sia per loro sostenibile continuare a produrre.
La qualità della materia prima si riflette direttamente sulla qualità del prodotto in termini di durabilità ad esempio, ma anche di resa sul corpo: ci sono materiali e materiali e quello che scegliamo di tenere a contatto con la nostra pelle non ha un impatto solo sull’ambiente o sui lavoratori, ma anche sulla nostra salute. C’è un altro fatto da considerare: perché un prodotto sia effettivamente amico dell’ambiente e riciclabile è importante che sia realizzato al 100 per cento dallo stesso materiale e, questo, chiaramente fa salire il prezzo rispetto alle mescole e ai capi realizzati con una percentuale di materiali naturali e con una di poliestere ad esempio.
Trattamento dei lavoratori e living wage
Un altro fattore cruciale nella determinazione del prezzo di un capo è il costo legato alla manodopera che lo ha realizzato: assicurare che i lavoratori ricevano un salario sufficiente rappresenta un altro fattore che distingue i brand che producono in maniera etica da quelli che non lo fanno e, ovviamente, è anche un altro drive importante per quello che riguarda il costo finale al consumatore. La moda prodotta in modo etico paga non solo un salario minimo, ma un salario dignitoso, il che significa che le persone che fanno i nostri vestiti siano in grado di permettersi una vita dignitosa nel paese in cui vivono, che si tratti di un paese dell’Unione Europea o del sud est asiatico. Questo concetto, che prende il nome di living wage e che differisce dal minimum wage proprio perché non si limita a riconoscere al lavoratore il minimo stabilito per legge, ma il minimo per vivere in maniera che non leda la sua dignità e sicurezza, incide sul prezzo perché questa cifra chiaramente cambia a seconda del paese di produzione. Per offrire un reddito equo alle persone vulnerabili infatti, vengono considerati anche certi altri parametri, come l’accesso all’assistenza sanitaria, ai trasporti, all’alloggio e ai sistemi di protezione sociale, compresi i benefici di licenziamento e di disoccupazione.
Va da sé che il living wage italiano non è lo stesso di quello dello Sri Lanka o del Vietnam: leggere sull’etichetta la provenienza di un capo è un indicatore importante, anche se non necessariamente leggere che un capo realizzato in un paese extra UE indica scenari di sfruttamento, così come un prezzo alto non è garanzia del contrario. Come ripetiamo sempre, l’unico modo per essere sicuri di compiere una scelta etica con i nostri acquisti è quello di informarsi sul marchio al quale stiamo accordando la nostra fiducia: la sua filiera e la sua supply chain sono trasparenti? Ha delle certificazioni? Questi sono i quesiti chiave da porsi prima di mettere mano al portafogli.
La scala di produzione
Anche la scala di produzione rappresenta un altro aspetto cruciale per l’industria tessile: mentre i marchi etici e di fascia alta sono guidati dalla stagionalità e da ritmi di produzione più regolari, il fast fashion regge il suo sistema su un’economia di scala basata su grandi volumi di vendita e conseguentemente in una produzione forsennata che consente di guadagnare su ordini all’ingrosso e su un sistema di sfruttamento cronico dei lavoratori. La moda etica al contrario prevede una scala di produzione più ridotta che, non potendo sfruttare le economie di scala perché basata su piccoli lotti di produzione, implica un costo al dettaglio maggiore per l’acquirente finale. Produrre utilizzando una filiera corta e prediligendo piccoli produttori è una maniera più etica e rispettosa dell’ambiente di portare avanti il propiro business, ma chiaramente implica costi maggiori dovuti all’apporto agricolo o all’artigianalità impiegate. Oltre a sostenere l’ambiente infatti la moda etica mantiene anche un forte focus sul mantenimento di mestieri antichi e sulla valorizzazione del savoir-faire manifatturiero. Affidarsi a piccoli laboratori o a cooperative di tessitori è un buon modo per creare valore per il territorio e, affinché il lavoro di queste persone sia retribuito adeguatamente, siccome la produzione per forza di cose non essendo industriale è contentua, il prezzo finale aumenta.
Tracciabilità, innovazione, ricerca e sviluppo
Altri termini chiave quanto si parla di moda sostenibile sono innovazione e tracciabilità: una filiera etica è una filiera tracciata in ogni sua parte e opportunamente rendicontata, operazione questa che chiaramente implica il ricorso a determinate tecnologie, come ad esempio la block chain, che comportano altrettanti costi che si vanno ad aggiungere al prezzo finale che leggiamo sul cartellino. Questo livello di responsabilità può essere costoso, ma garantisce la trasparenza necessaria per rispettare gli standard del commercio equo e della sostenibilità. I marchi che utilizzano materiali bio-based, riciclati o rigenerati hanno invece dalla loro il fatto di ricorrere ad un tipo di materia prima che è frutto spesso di processi di ricerca e sviluppo lunghi e complessi. Questi progressi richiedono ingenti investimenti, talvolta integrati nel processo aziendale stesso, talvolta frutto del lavoro di società esterne: in ogni caso si tratta di un’ulteriore voce di costo che va a giustificare la cifra, percepita come premium, della moda sostenibile.