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- Il G7 promette 15,5 miliardi di dollari al Vietnam per promuovere l’abbandono del carbone e la produzione di energia da fonti rinnovabili.
- L’accordo, cui contribuiranno in egual misura i settori pubblico e privato, adotta gli stessi criteri di quelli siglati di recente con Sudafrica e Indonesia.
- L’intesa riflette la volontà di stimolare la transizione energetica tra le economie in via di sviluppo, che d’altro canto rischiano di veder aumentato il debito del proprio Paese.
Dopo aver fatto lo stesso con Sudafrica e Indonesia, il G7 promette al Vietnam 15,5 miliardi di dollari (14,6 miliardi di euro) per spingerlo ad azzerare il consumo di carbone. Hanoi, a sua volta, si impegna a rispettare l’obiettivo di raggiungere le emissioni zero nette entro il 2050. Un lavoro corale per tutelare il Pianeta, dove i paesi più ricchi sostengono e accelerano il percorso di transizione energetica delle economie in via di sviluppo.
Cosa prevede l’accordo tra i paesi del G7 e il Vietnam
L’accordo raggiunto prevede che metà della cifra messa in campo dal Gruppo dei 7, composto da Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, provenga dal settore pubblico e metà da quello privato. Quest’ultima fetta, che sarà erogata sotto forma di prestiti, in prevalenza, e di contributi a fondo perduto, è attesa da finanziatori e investitori che fanno parte della Glasgow financial alliance for net zero, una coalizione di oltre 500 istituzioni finanziarie, tra cui Citibank, Deutsche Bank, Hsbc e Standard Chartered. Inizialmente i finanziamenti proverranno dalla Banca asiatica di sviluppo e dalla Società finanziaria internazionale.
Nello specifico, la cifra messa in campo dal G7 sarà erogata nell’arco dei prossimi cinque anni e aiuterà il Vietnam ad anticipare di un quinquennio – dal 2035 al 2030 – il raggiungimento del picco delle emissioni di gas serra e a limitare la capacità di picco del carbone a 30,2 gigawatt (GW) invece dei 37 GW inizialmente previsti, il tutto per frenare il prosieguo o l’avvio di progetti altamente inquinanti, riporta l’agenzia di stampa britannica Reuters.
Così facendo il Vietnam, tra i 20 maggiori consumatori al mondo di carbone, sarà stimolato a incrementare l’utilizzo delle fonti rinnovabili. In cambio di questa lauta offerta, che i negoziatori occidentali (guidati dall’Unione Europea e dalla Gran Bretagna) hanno progressivamente aumentato per convincere Hanoi, il Vietnam ha accettato di limitare le emissioni complessive del settore energetico da 240 a 170 megatonnellate di anidride carbonica all’anno entro il 2030. E di generare poco meno della metà dell’elettricità da fonti rinnovabili, rispetto all’attuale obiettivo del 36 per cento, come spiega il Financial Times.
Svolta (auspicata) nella deriva carbonifera del paese
Alla fine di agosto il Vietnam aveva inaugurato una nuova centrale elettrica a carbone, la Nghi Son 2. Durante la cerimonia, il direttore del progetto aveva affermato che l’impianto da 1,2 gigawatt (GW) avrebbe favorito “un’operazione verde” e aiutato il paese a rispettare l’impegno nel raggiungere le emissioni zero nette entro il 2050, assunto dal primo ministro Pham Minh Chinh in occasione dei colloqui sul clima di Glasgow, la Cop26.
Nell’ultima bozza del piano di sviluppo energetico del Vietnam, all’ottavo aggiornamento (PDP8), torna rispetto alle precedenti versioni il divieto di avviare nuovi progetti legati al carbone dopo il 2026. Inoltre, si indica il percorso energetico a forte intensità carbonica intrapreso dal paese come l’opzione più “equilibrata“. In ballo ci sono nove progetti per un totale di 9.450 MW.
44 miliardi di dollari per la transizione energetica di Sudafrica, Indonesia e Vietnam
Tante le voci soddisfatte. Ad appoggiare l’accordo anche Danimarca e Norvegia e tutta l’Unione europea. Dagli Stati Uniti è arrivato l’apprezzamento del presidente Joe Biden che, in una nota stampa, ha affermato: “Il Vietnam ha dimostrato di essere all’avanguardia nel tracciare un’ambiziosa transizione energetica che garantirà una sicurezza energetica a lungo termine”. Decisione che riflette la “serietà del paese nel realizzare una trasformazione verde per il suo popolo”, ha rimarcato John Kerry, inviato degli Stati Uniti per il clima ed ex Segretario di Stato.
Questi accordi rappresentano uno “strumento cruciale” per “sbloccare i tagli alle emissioni di cui il mondo ha bisogno negli anni 2020”, ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres.
L’accordo rientra in un più ampio pacchetto di misure – pari a un totale di 44 miliardi di dollari, cioè 41,4 miliardi di euro– volte a incoraggiare le economie in via di sviluppo a ridurre progressivamente l’utilizzo dei combustibili fossili, fino a diventarne indipendenti. I criteri sono comuni agli accordi raggiunti con il Sudafrica e l’Indonesia. Nel primo caso, è stato siglato un accordo del valore di 8,5 miliardi di dollari (8 miliardi di euro); per il secondo, che ha preso vita in occasione della riunione del G20 a Bali, l’ammontare è di 20 miliardi di dollari (18,8 miliardi di euro), la metà dei quali proveniente da fondi pubblici.
Al pari di quanto previsto per il Vietnam, queste risorse sono volte a stimolare la chiusura degli impianti a carbone e ad anticipare il picco di emissioni del settore di sette anni, al 2030. Eppure, non mancano dubbi e critiche. Infatti, il mese scorso il governo sudafricano di Cyril Ramaphosa ha dichiarato che la struttura del pacchetto finanziario da 8,5 miliardi di dollari è costituito solo per il 4 per cento da sovvenzioni e per la maggior parte da prestiti sovrani e multilaterali. Un rischio per il paese, perché vedrebbe aumentato l’onere del debito.