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Alcuni giganti tecnologici hanno stretto un’alleanza nel nome di una tecnologia promettente ma ancora in fase di sviluppo. È successo lo scorso maggio al World economic forum di Davos. Si tratta del meccanismo di rimozione di diossido di carbonio (carbon dioxide removal, Cdr), con cui sarebbe possibile risucchiare CO2 dall’atmosfera, trasformandola in altro. Ad esempio, in mattoncini da costruzione.
Rimozione di CO2: si parla ancora di qualcosa di lontano
Il problema? Queste macchine sono ancora costosissime e poco efficienti. Anche per questo, società come Microsoft, Alphabet e Salesforce hanno annunciato un investimento da 500 milioni di dollari per il settore, che punta ad arrivare a rimuovere centomila tonnellate di CO2 entro il 2030. Numeri strabilianti che rimangono solo promesse, almeno ad oggi. Anzi, lo spettro della rimozione di diossido di carbonio rischia di diventare “una distrazione pericolosa”, come l’ha definita la rivista Technology review del Mit, perché fa sembrare vicina e possibile una vita d’uscita che per ora non esiste.
Peggio ancora, l’idea di rimuovere magicamente CO2 dall’atmosfera potrebbe essere usata come alibi per evitare di investire nelle politiche necessarie – per quanto dolorose – che sono invece l’unica chiave per affrontare la crisi ambientale: ridurre drasticamente le emissioni di CO2 fino ad annullarle, andando a colpire settori particolarmente pesanti come quello delle costruzioni (il solo cemento è responsabile dell’otto per cento delle emissioni globali di diossido di carbonio) e dei trasporti. E invece Big tech, settore energivoro ma da sempre attento alle soluzioni green, si sta infatuando di una tecnologia ancora traballante e rischiosa. Un report delle Nazioni unite pubblicato lo scorso aprile ha limitato l’utilizzo che si potrebbe fare di macchinari per la rimozione del carbonio, che vengono comunque definiti “inevitabili” per bilanciare le emissioni di industrie che difficilmente potranno diventare carbon-free, come quella chimica o quella legata alla produzione di alluminio.
Insomma, il futuro ha bisogno di un approccio all’ambiente drastico e complesso di cui la rimozione di carbonio può essere una parte ma non sarà l’arma segreta, il deus ex machina con cui cancellare la nostra impronta dall’atmosfera. Il piano delle aziende tecnologiche sembra però andare in una direzione diversa, investendo notevoli risorse per “scalare” la tecnologia, rendendola più accessibile ed economica. Lo scorso aprile, del resto, un altro gruppo di aziende del settore – tra cui Stripe, Alphabet, Meta e Shopify – ha lanciato un “impegno anticipato sul mercato” chiamato Frontier. In pratica, con Frontier questi giganti si sono impegnati ad acquistare più di 900 milioni di dollari di diossido di carbonio rimosso entro il 2030. Carbonio rimosso che, ad oggi, però, non esiste o non esiste in quantità notevoli. Ma l’intento è di spronare ricercatori e aziende a investire nel settore, indicandolo come una possibilità di business per il futuro. C’è da sperare che funzioni, anche se l’ipotetica tecnologia non basterebbe da sola a risolvere il nostro rapporto con le risorse di questo Pianeta: per quello non basterà la bacchetta magica.