L’Europarlamento ha approvato nuove norme sul controllo della pesca

Lindipendente

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Dopo negoziati piuttosto lunghi e complicati, con 438 voti favorevoli, 146 contrari e 40 astensioni il Parlamento europeo ha approvato nuove misure di controllo della pesca, pensate per monitorare e tracciare elettronicamente le catture e gestire al meglio le risorse marine. Nello specifico, secondo le nuove norme, tutte le imbarcazioni dovranno portare a bordo un dispositivo di localizzazione, che consenta alle autorità nazionali di identificarne la posizione e dovranno registrare e dichiarare il proprio pescato in modo digitalizzato. Alcune navi da pesca ‘artigianali’ potranno essere esentate da tale obbligo fino al 2030, ma per tutte le altre appartenenti alla stessa categoria il termine ultimo per adattarsi ai nuovi requisiti è fissato tra quattro anni.

Anche le navi di lunghezza inferiore a 12 metri dovranno rendere conto del proprio pescato: il capitano avrà l’obbligo di compilare e presentare prima dello sbarco una dichiarazione (seppure più semplificata) sulla pesca di giornata, e per la prima volta dovranno farlo pure per le imbarcazioni da diporto – quelle solitamente utilizzate per pesca sportiva o ricreativa, senza fini commerciali –, tenute a dichiarare le catture attraverso specifici sistemi digitali.

Le navi più grandi (dai 18 metri in su), in grado di portare a casa un quantitativo di pescato maggiore – il cui peso è quindi più difficilmente controllabile e stimabile a bordo – dovranno dotarsi di sistemi di monitoraggio elettronico a distanza (comprese telecamere a circuito chiuso) entro – e non oltre – i prossimi quattro anni dall’entrata in vigore della normativa. Il margine di tolleranza – la differenza tra la stima del pesce catturato e il peso al porto di sbarco – sarà infatti fissato al 10% per specie (con alcune eccezioni per le catture di piccoli volumi e per alcune varietà particolari): percentuale che le grandi imbarcazioni, senza un controllo più accurato, potrebbero facilmente superare.

Ma le norme non riguardano solo la fase del pescato. Il Parlamento ha infatti spiegato che gli operatori dovranno conservare le informazioni provenienti da tutta la catena di approvvigionamento, dal mare al piatto, perché solo la «piena tracciabilità digitale del pesce e dei suoi derivati ​» può contribuire «a rafforzare la sicurezza alimentare, garantire una concorrenza più equa e combattere la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata».

È anche per via di quest’ultima che, negli anni, l’acqua ha cambiato in parte la sua composizione fisico-chimica e non riesce più ad adattarsi ai cambiamenti. Al punto che anche la biodiversità dei fondali si sta via via indebolendo. Un problema non solo ambientale, se si tiene conto che dall’esistenza e condizione di salute del solo mare europeo, che si estende per più di undici milioni di chilometri quadrati, dipendono moltissime cose: la nostra qualità della vita, i mezzi di sussistenza, le economie e i servizi ecosistemici vitali – come cibo, energia, aria pulita e mitigazione del clima.

Tuttavia il sistema economico e produttivo capitalistico che, oltre a immettere sostanze inquinanti nell’ambiente, continua a sfruttare in maniera sregolata ed eccessiva le risorse naturali a disposizione, rischia di mettere in crisi un circuito che, in pratica, ci tiene in vita.

L’Agenzia europea dell’ambiente – organismo della UE che monitora le condizioni ambientali del territorio – stima che nel Mediterraneo il 96% degli stock ittici sia sovrasfruttato e pescato principalmente utilizzando reti a strascico – a cui l’Italia è particolarmente affezionata. Un guaio, se si tiene conto che i suoi ecosistemi ospitano fino a circa il 18% della biodiversità marina del mondo e che solo una piccolissima parte di questa è catturata in modo sostenibile – sia dal punto di vista del metodo di pesca che del quantitativo di pescato. L’UE dice che, nello scenario peggiore, circa il 90% di tutta la vita marina potrebbe scomparire entro il 2100 e le prime a soccombere sarebbero proprio quelle specie ittiche legate ad aree ad intensa attività di pesca.

Il nuovo sistema di monitoraggio, che entrerà in vigore una volta adottato formalmente dal Consiglio, dovrebbe, seppure lentamente, puntare proprio alla salvaguardia di queste ultime. Ma, come sottolineato più volte da gruppi di ambientalisti come il WWF, il problema è « l’attuazione e il rispetto della legge, non la progettazione».

[di Gloria Ferrari]

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