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Questa è la storia di Ian, un cane vissuto a lungo – è morto a 16 anni: tanto per un cane, poco per noi che viviamo con loro –, trovato scheletrico e terrorizzato in canile e diventato, con l’amore e la pazienza, un perfetto soggetto da pet therapy, capace di aiutare anziani e bambini, adulti e malati con la sua presenza e la sua dedizione. Ian ha portato gioia e sollievo e la sua vicenda si confonde con quella di tutti i cani del mondo, esseri speciali che allietano la nostra esistenza e ci danno tanto, tantissimo, chiedendo poco – una carezza distratta, uno sguardo veloce – ma illuminando le nostre ore più buie. Chi ha un animale come compagno non ha bisogno che sia io a ricordare certi aspetti del nostro rapporto con loro. Lo sa e ne è felice, paventando solo il momento in cui dovrà lasciare andare il suo compagno per l’inesorabile trascorrere del tempo.
La diffidenza iniziale di Mario, poi ribattezzato Ian
Giovanna Monduzzi è un’operatrice di pet therapy relazionale integrata e coadiutore del cane negli Iaa. Una definizione lunghissima e complicata per colei che è stata – e lo sarà per sempre, immagino – la compagna di Ian nel suo lungo percorso vitale e nella sua attività lavorativa. Lascio quindi a Giovanna la parola, ringraziandola per la sua testimonianza che, spero, possa servire a capire meglio i cani e la loro “missione” nel mondo degli uomini.
“Estate 2009: ero in canile e un’altra volontaria mi venne a chiamare perché, conoscendo la mia passione per i setter inglesi, doveva farmi vedere assolutamente l’ultimo arrivato. Entrai nel suo box, lui terrorizzato mi dava le spalle e stava nell’angolo, tremava e non veniva attratto da nulla. Magrissimo, con diverse fratture e un quadro clinico che parlava chiaramente, bastava guardare il suo atteggiamento per comprendere che si trattasse di un cane da caccia, sfruttato e maltrattato. Età presunta, tre anni. Era stato trovato vagante per le campagne di Campogalliano, in provincia di Modena, con microchip mai registrato. Per me è stato amore a prima vista, ma per lui non fu così: fuggiva al mio sguardo, non voleva assolutamente essere toccato, tremava e non mangiava alla presenza degli umani, soprattutto se di sesso maschile. Usciva dal box solo quando i volontari si allontanavano. Io vivevo con Lady, una giovane setter di quattro anni, e dopo qualche mese saremmo andati a vivere con mio marito in una casetta in campagna. Sono andata avanti per un po’ cercando di instaurare con Mario – così lo avevamo chiamato – un rapporto fatto anche solo di piccoli gesti di fiducia. Era un cane traumatizzato e faticavamo nel trovare la famiglia giusta per un’adozione consapevole”.
“Un giorno mio marito venne a prendermi mentre Mario era nell’area gioco del canile e lo portai a vederlo. Quello fu un momento che non dimenticheremo mai perché Mario gli corse incontro e si fermò a prendere le coccole attraverso la rete. In quel momento si erano scelti reciprocamente. Qualche settimana dopo, infatti, mio marito mi fece un grande regalo, mi comunicò il suo desiderio di adottare Mario, nonostante avessimo discusso precedentemente delle criticità a cui potevamo andare incontro. Mario fu ribattezzato Ian e venne ad abitare da noi”.
La compagnia di Lady
E fu così che Ian iniziò a trascorrere sempre più tempo con Lady, acquistando sicurezza e fiducia nei confronti dell’ambiente circostante e dei suoi nuovi compagni. “All’inizio era assolutamente diffidente, per permettergli di spostarsi tra casa e giardino dovevamo allontanarci dalla porta, però fu incredibile come ogni giorno, seguendo Lady, acquisiva un po’ più di sicurezza. Lei era diventata il suo punto di riferimento fin da subito, e dal loro primo incontro era scattata una bellissima intesa”, continua Monduzzi.
“Lady è stata il suo esempio nel prendere fiducia nei nostri confronti e verso la nuova vita che lo attendeva. Io e mio marito abbiamo messo in campo rispetto e calma verso i bisogni e i tempi di Ian, ma soprattutto avevamo contattato Maura Gazzotti, un’istruttrice cinofila dalla lunga esperienza, per aiutarci a comprendere meglio cosa potevamo fare per aiutarlo in questo viaggio di rinascita. Ian girava sempre con la coda tra le zampe e non ci guardava ma, vedendo Lady che veniva a prendere le coccole, gradualmente iniziò ad avvicinarsi sempre di più. Ricordiamo ancora il giorno in cui mise la schiena appoggiata a mio marito e si fece accarezzare a lungo, e quando lui si fermò il cane inizio a chiamarlo con la zampa per ricevere ancora coccole. In casa era diventato il ritratto della serenità e a quel punto abbiamo cominciato il cammino di scoperta del mondo esterno, accompagnandolo e cercando di creare per lui le condizioni ottimali. In questo è sempre stata una grande maestra Lady che era anche mia compagna e co-terapeuta nel lavoro da operatrice di pet therapy relazionale integrata. Ian ci accompagnava quando andavamo al Centro armonico terapeutico – Cat, il nostro luogo di lavoro; girava libero per il giardino ripercorrendo tutto il perimetro e osservando da lontano ciò che avveniva tra noi umani”.
L’attività nella pet therapy
Un cane da pet therapy non è poi così diverso dall’amico a quattro zampe che ci accoglie la sera, al ritorno a casa, o che ci allieta il tempo libero con la sua presenza. “Lo avevamo ribattezzato il cane ‘Freakkettone’ per il suo modo libero e gioioso di correre. Grazie al percorso di riabilitazione attivato con Monica Carnevali, una delle educatrici cinofile che collabora con la nostra équipe, Ian ha cominciato a familiarizzare anche con un luogo differente da casa in presenza degli altri cani del centro Cat. Le amiche e colleghe dell’équipe, avendo una particolare conoscenza e sensibilità in merito, hanno sempre attivato gli atteggiamenti giusti affinché la fiducia di Ian verso gli umani si potesse consolidare. Cominciai a portarlo con me e Lady durante i percorsi di pet therapy che svolgevo nel giardino del centro, ma fu lui che un giorno decise di partecipare, mostrando un interesse per l’attività e le coccole che ne derivavano. Così iniziò il suo percorso da co-terapeuta”.
“Questo racconto copre un arco temporale di due anni: Ian ha vissuto i restanti undici nell’amore e nella fiducia, accompagnandoci con gioia in tante avventure, divenendo per tutti un grande esempio di resilienza e di come le cure e il tempo siano capaci di curare le ferite di esperienze dolorose. Ci ha insegnato che fino a che siamo in vita possiamo trovare la forza di aprirci a nuove possibilità e di accogliere ciò che l’esistenza è pronta a donarci. Ha trasmesso tanto e la sua storia ha aperto il cuore di diverse persone. Ian ha lavorato con bambini, adulti e anziani, regalando gioia e calma anche agli animi più inquieti. In particolare, porto nel cuore due ragazzi che venivano da storie di vita caratterizzate da un trauma e con un bisogno di acquisire fiducia per ricominciare a vivere. Ambedue riuscirono simbolicamente a rispecchiarsi in Ian e nella sua storia. Ed è stato lui che ha dato loro uno strumento in più e la forza per lanciarsi verso le nuove opportunità che la vita può sempre donare”, racconta ora Monduzzi.
L’eredità di Ian
Il tempo non aspetta nessuno, cantavano anni fa i Rolling Stones, e l’implacabile scorrere delle lancette non ha risparmiato Ian e Lady. “Il 2 agosto 2021 Lady ci ha lasciato e Ian l’ha accudita con amore e devozione fino all’ultimo istante. La sua gratitudine verso di lei era evidente, l’aveva salvato e lui si è lasciato salvare, accogliendo l’opportunità di una vita diversa perché tutto in effetti può cambiare. Nei mesi successivi ha continuato a cercarla, fino a lasciarsi andare pian piano. Il 3 gennaio 2022, all’età di circa sedici anni, Ian ha raggiunto la sua Lady; ora i loro corpi riposano uno accanto all’altra mentre immagino le loro anime correre libere insieme”.
“Il vuoto lasciato è tanto, ma molta di più è la gratitudine per tutto quello che abbiamo vissuto insieme nella nostra famiglia e nella vita lavorativa come colleghi. Ho raccontato la storia di Ian, ma è impossibile raccontarla senza parlare anche di Lady: sono stati e saranno sempre parte di noi, i nostri bimbi pelosi e i fratelli a quattro zampe dei miei figli. Alla morte di Lady e Ian sono stati tanti i messaggi di chi, in undici anni di lavoro, ha seguito i percorsi di pet therapy con loro; chi li riteneva colleghi, terapeuti e amici. Questi messaggi mi hanno scaldato il cuore perché ho compreso quanto amore sia stato dato e ricevuto, quell’amore disinteressato che attraverso la relazione nutre e ci fa vivere pienamente questa vita, anche nelle sue complessità. Con infinito amore e gratitudine li porteremo sempre con noi”, conclude Giovanna Monduzzi.
Animali e tecniche terapeutiche
Non sono solo i cani a essere dei magnifici aiutanti per la pet therapy. Ci sono anche gatti, conigli, maiali, cavalli e l’elenco potrebbe continuare perché ogni animale ha tanto da darci e ognuno di loro può rappresentare un motivo e uno scopo per vivere meglio. “In oltre quindici anni di esperienza sul campo abbiamo messo a punto un protocollo d’intervento denominato Pet therapy relazionale integrata (Ptri), presentato presso l’Istituto superiore di sanità nel dicembre 2008”, dice Margherita Carretti, naturalista ed etologa che lavora anche nel gruppo di cui ha fatto parte Ian. “I presupposti teorici sui quali si basa provengono dalla psicologia analitica e si completano con una concezione olistica dell’uomo e della cura, prevedendo l’integrazione tra pet therapy/ interventi assistiti con gli animali e altre co-terapie come l’espressività artistica, l’espressività musicale, la psicomotricità, la mindfulness e le terapie verdi con l’utilizzo delle nuove tecnologie. Il nostro approccio dà grande importanza alla visione etica e di non sfruttamento dell’animale, mettendo in primo piano il valore terapeutico della relazione autentica e gli stati emozionali di tutti i partecipanti, animali umani e animali non umani”.
“Nella nostra équipe a quattro zampe sono convolti cani di varie razze e meticci con storie di vita diverse: chi arriva da allevamenti, chi da cucciolate casalinghe e chi da rifugi o canili. Il coinvolgimento negli Iaa di cani provenienti da canili, rifugi o che hanno alle spalle storie di abbandono e maltrattamento, è possibile solo successivamente a un percorso di riabilitazione e socializzazione seguito da veterinari e istruttori cinofili competenti”.
Non esiste il cane “da pet therapy”
La dottoressa Carretti mi spiega che non esiste il cane “da pet therapy” e tutto dipende dalla predisposizione e dalla personalità del soggetto prescelto che gli permetta di essere sereno e trovare piacere a relazionarsi anche con persone che non conosce e non fanno parte del suo nucleo famigliare. Con determinati percorsi di educazione è possibile aumentare le competenze e le capacità di un cane per questo tipo d’intervento, ma alla base ci dev’essere una grande complicità e profonda relazione con il coadiutore, cioè colui che accompagna l’animale in seduta. “Questa è imprescindibile per la buona riuscita dell’intervento e per garantire il benessere del soggetto nell’attività, e solo partendo da una grande conoscenza reciproca e capacità d’ascolto si può assicurare un’esperienza rispettosa per tutti”, conclude l’esperta.
E io mi domando, forse con l’orgoglio tipico che sempre sigla noi che viviamo con un cane, se Merlino, cane lupo cecoslovacco di un anno, affamato di vita e di amore da dare e ricevere, sarebbe un buon cane da pet therapy. Margherita dice di sì e credo abbia ragione. Lo fa già per noi e, a parole, non potrei raccontare il mondo di gioia che sa trasmettere ogni giorno. Ma chi vive con un animale questo lo sa benissimo…