https://www.lifegate.it/saldi-riscaldamento-globale
- |
- Le temperature record di questo autunno hanno determinato un forte calo nelle vendite di abbigliamento invernale: da qui la richiesta di Confesercenti di spostare l’inizio dei saldi invernali a febbraio.
- Uno studio del British Retail Consortium ha messo in luce come gli sbalzi di temperature possano determinare alterazioni nelle vendite in negativo per 11 milioni di sterline.
- In futuro il modo in consumeremo abbigliamento dipenderà sempre di più dalle conseguenze dei cambiamenti climatici: avremo bisogno di abiti sempre più in grado di regolare la nostra temperatura corporea e proteggerci dalle intemperie.
Mentre l’autunno del 2023 è stato il più caldo di sempre, il 17 e il 18 novembre abbiamo superato la soglia di 2 gradi di aumento della temperatura media globale su base giornaliera. Oltre alla drammaticità di per sé di questi dati e di tutto quello che comportano, ci sono delle conseguenze pratiche relative agli effetti dei cambiamenti climatici che potrebbero coinvolgere non solo i nostri armadi, ma i consumi e il sistema moda in generale. Le temperature più alte del normale di settembre, ottobre e buona parte di novembre, hanno fatto sì che negli scaffali dei negozi molti capi invernali siano rimasti invenduti. Da qui la necessità di prolungare il più possibile il periodo di vendita a prezzo pieno e la richiesta da parte della Fismo, la Federazione dei negozi di abbigliamento Confesercenti, di spostare i saldi invernali alla prima settimana di febbraio.
“Le condizioni climatiche anomale, con temperature medie più alte del normale, si sono protratte per tutto settembre e ottobre, condizionando negativamente il lancio delle collezioni invernali”, spiega Benny Campobasso, presidente nazionale Fismo Confesercenti nella lettera inviata al presidente della Conferenza Stato-Regioni Massimiliano Fedriga. “Le vendite di capi, calzature e accessori autunno-inverno sono in netto calo in tutti i territori, con punte fino al 20 per cento in negativo rispetto allo scorso anno”. La proposta è quella di iniziare a pensare ad un cambiamento strutturale della tradizionale stagionalità dei saldi per dar modo alle imprese di tentare di recuperare almeno una parte dei profitti: ribassare i prezzi a gennaio, quando in sostanza si è appena creata l’esigenza di dotarsi di abiti più pesanti, rappresenta sempre più una rimessa per i brand produttori di abbigliamento. Solitamente i rivenditori completano gli ordini invernali con mesi di anticipo, è sempre più plausibile che in autunno faccia ancora molto caldo, ma è difficile prevedere un aumento così drastico: dover gestire una quantità sopra la media di invenduto genera un problema, sia da un punto di vista economico, che ambientale.
I cambiamenti climatici e la moda
Gli effetti dei cambiamenti climatici sono oggi più evidenti che mai ed affettano moltissimi aspetti delle nostre vite, incluso il consumo di abbigliamento. Abbiamo già parlato di come il settore stia affrontando il problema dal punto di vista del reperimento delle materie prime, alcune delle quali sono minacciate dall’innalzarsi delle temperature, e di come anche le collezioni stiano subendo dei contraccolpi. La divisione sempre meno netta tra le stagioni rende più difficile per i commercianti individuare il giusto timing per proporre i prodotti e per i brand rilasciare drop in linea con le temperature. Stando al rapporto Weather to Shop redatto dal Met Office del Regno Unito e del British Retail Consortium, lo sbalzo di temperatura può comportare una riduzione nelle vendite di abbigliamento femminile di 11 milioni di sterline (12,7 milioni di euro) per ogni grado di temperatura in più rispetto all’anno precedente.
Attraverso l’applicazione di tecniche di apprendimento automatico ai loro set di dati combinati, il BRC e il Met Office hanno cercato di far luce sulla correlazione tra clima e vendite in alcuni periodi dell’anno. Mentre in alcuni periodi, in particolare quello natalizio, le temperature non influiscono più di tanto, in altri come il cambio stagione, queste hanno un impatto fortissimo. Durante il passaggio dall’estate all’autunno, quasi la metà della variazione della crescita delle vendite settimanali da un anno all’altro può essere spiegata dalle differenze di temperatura. Lo studio ha trovato poche prove del fatto che, a livello aggregato, la temperatura abbia un impatto permanente sulle vendite, ma le condizioni climatiche stagionali possono influenzare fortemente i dati di crescita mensili. Le differenze di temperatura possono spiegare oltre il 70 per cento delle variazioni di crescita dell’abbigliamento tra la metà di settembre e l’inizio di ottobre. Maggiore è la variazione della temperatura da un anno all’altro, maggiore è la probabilità che questa sia il fattore determinante delle vendite. Considerando questi aspetti, e considerando il fatto che in Italia come in molti altri paesi i saldi sono regolati a livello regionale e nazionale, ha senso intavolare una discussione sull’opportunità che la loro data sia fissata in relazione alle condizioni metereologiche dell’anno in corso.
Come ci vestiremo in futuro?
Data l’instabilità delle temperature le persone preferiscono investire in capi versatili piuttosto che prettamente invernali, non solo: gli eventi atmosferici sempre più estremi ai quali siamo sottoposti, ci spingeranno sempre più ad operare delle riflessioni accurate in merito ai capi d’abbigliamento che scegliamo di comprare. Cosa ci servirà, d’ora in avanti, per rispondere alle esigenze dettate dai cambiamenti climatici? Molti brand stanno investendo in ricerca e sviluppo per far sì che i propri capi abbiano proprietà sempre più termoregolatrici: non è un caso che l’abbigliamento da trekking stia contaminando sempre più gli scenari urbani. Da una parte c’è un fattore legato alla coolness di questo mondo, traghettato dalla Gen Z nelle fila della moda, ma dall’altra c’è anche la necessità di rispondere a delle specifiche esigenze in termini di protezione del corpo, tanto dal caldo quanto dal freddo.