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In una famosa puntata dei Simpson, il cattivissimo Mister Burns decide di oscurare il Sole con un enorme disco per costringere gli abitanti di Springfield a comprare energia elettrica dalla sua azienda. Da allora, quella scena torna alla mente ogni qual volta si sente parlare di geoingengeria, anzi, di ingegneria climatica.
Per geoingegneria, infatti, si intende una commistione di geologia e ingegneria per modificare l’ambiente circostante (ne è un esempio il sistema di dighe mobili Mose di Venezia); negli ultimi anni si parla invece sempre più spesso di tecnologie con cui contrastare su scala planetaria gli effetti dei cambiamenti climatici. In alcuni casi, si tenta addirittura di intervenire sulle cause di questi cambiamenti, come nella rimozione del carbonio dall’atmosfera, una tecnologia ancora sperimentale ma già molto controversa.
Cos’è il marine cloud brightening, ovvero schiarire le nuove marine
Un’altra possibile via per attenuare gli effetti dell’inquinamento e della produzione industriale mira invece al cuore del problema: il riscaldamento globale. La Terra è sempre più calda, le temperature medie, anche degli oceani e dei mari, sono in costante aumento, e bisogna agire. Abbandonando i combustibili fossili come carbone, petrolio e gas e convertendo il mondo alle energie rinnovabili? Troppo facile secondo una delle soluzioni che propone il marine cloud brightening, cioè schiarire le nuvole marine per poter far rimbalzare indietro i raggi solari e diminuire quindi le temperature sulla Terra.
Per farlo, è necessario spruzzare nell’aria una certa quantità di sali, come racconta il quotidiano statunitense New York Times in un articolo sul primo esperimento in campo aperto, anzi, in mare aperto, fatto negli Stati Uniti, nella baia di San Francisco. L’obiettivo è appunto di far rimbalzare abbastanza raggi solari da abbassare le temperature nella regione di mare interessata, cosa che avrebbe, secondo i più fiduciosi, effetti benefici per il clima, se si riuscisse a farlo su larga scala.
Schiarire le nuvole marine risolve il problema?
Non mancano ovviamente le voci contrarie, che fanno notare quanto sarebbe difficile predirre ma anche misurare questi effetti, come ha spiegato al quotidiano newyorchese lo scienziato di Greenpeace International, David Santillo. È facile immaginare un’enorme macchina in grado di risolvere questo problema ma lo schiarimento “potrebbe cambiare i pattern climatici non solo nel mare, anche sulla terra”. Secondo Santillo, e molti altri ambientalisti, si tratta di “una visione spaventosa del futuro che dovremmo evitare a tutti i costi”.
Anche l’ex vice presidente americano Al Gore, autore del documentario “Una scomoda verità” (2006), ha detto che “le persone si sono risvegliate e stanno cercando di capire se c’è qualche miracoloso deus ex machina che possa aiutare”. Come la rimozione del carbonio, fatta attraverso apparecchiature costosissime, poco efficienti ed energivore, la tecnica dello schiarimento delle nuvole marine appare ai detrattori come un tentativo di risolvere il problema senza occuparsi delle citate cause reali, con la speranza di trovare la cura miracolosa per continuare a inquinare e consumare petrolio e gas.
Karen Orenstein, dell’associazione ambientalista Friends of the Earth, ha addirittura definito questi esperimenti sulle nuvole “una pericolosa distrazione”. I propositori di queste soluzioni, invece, sottolineano l’importanza di mitigare gli effetti del cambiamento climatico, cercando modi di abbassare la temperatura e limitare i danni. Il tutto, ovviamente, non implicherebbe un abbandono delle battaglie ambientaliste in corso.
Lo schiarimento delle nuvole marine ha una storia relativamente recente. Nel 1990 il fisico britannico John Latham pubblicò su Nature un articolo in cui accennò all’idea di spruzzare sull’atmosfera piccole particelle per far rimbalzare la luce del Sole. A suggerirgli la trovata fu suo figlio, che un giorno gli chiese perché le nuvole fossero chiare in alto e scure in basso, nel lato rivolto verso la terra. Latham gli spiegò che le nuvole fungevano da “specchio per la luce che arriva dal Sole” e da lì nacque la sua proposta: spedire un migliaio di imbarcazioni comandate a distanza lungo mari e oceani a spruzzare particelle d’acqua marina nell’aria per schermare il pianeta dai raggi solari.
Trovare le particelle giuste è però molto complesso. Quelle troppo piccole non hanno alcune effetto, ad esempio, e poi vanno spruzzate nel modo giusto, con una certa intensità (circa mille trilioni di particelle al secondo). L’esperimento citato dal New York Times mirava proprio a capire se queste particelle fossero in grado di mantenere la giusta dimensione una volta spruzzate. Ci vorrano mesi per avere i risultati e potrebbe volerci un decennio per essere in grado di avere un impatto su scala globale. Ammesso che sia la cosa giusta da fare, ovviamente.