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- L’ageism è una forma di discriminazione, come il sessismo o il razzismo, solo che riguarda l’età delle persone: si indicano con questo termine gli atti d’odio perpetrati ai danni degli anziani.
- L’industria della moda, essendo molto poco rappresentativa rispetto alle persone over 50, in questo senso è discriminatoria, ma così facendo rischia di perdere una grossa fetta di mercato.
- Se pensate che voi o i vostri cari ne sarete immuni pensate che sono stati vittima di ageism anche Madonna e Rayan Gosling: l’ossessione per la giovinezza è profondamente radicata nella nostra società, che guarda all’invecchiamento come qualcosa da evitare a tutti i costi.
La moda, lo abbiamo raccontato più volte, è specchio di quello che succede in un dato momento nella società, ne rispecchia progressi, ma anche storture e discriminazioni. Se da un lato si fa promotrice del cambiamento con la potenza di mettere in discussione ruoli di genere prestabiliti ad esempio, dall’altra non sembra essere in grado di combattere un fenomeno discriminatorio come quello dell’ageism, ageismo in italiano.
Con questo termine, coniato nel 1969 dallo psichiatra e geriatra statunitense Robert Butler, ci si riferisce a tutto quell’insieme di stereotipi e pregiudizi che determinano come agiamo nei confronti degli altri in base all’età, in particolare indica i comportamenti discriminatori nei confronti delle persone non più giovani. Come il sessismo, il razzismo e ogni altro tipo di discriminazione, l’ageismo ha come risultato finale la svalutazione delle persone che ne sono colpite.
In determinati settori, come ad esempio quello della moda, non parliamo esclusivamente di persone anziane e identificabili come tali, ma anche di uomini, e soprattutto donne, che abbiano passato i 45, 50 anni di età. L’ossessione della nostra società per la gioventù ha delle ricadute pratiche anche sul modo in cui orientiamo consumi e conseguentemente strategie di marketing nei settori della moda e della bellezza.
L’ossessione della moda per la giovinezza è benzina sul fuoco per l’ageism
L’ageism non si manifesta esclusivamente attraverso atteggiamenti negativi nei confronti delle persone anziane ma anche relativamente al processo di invecchiamento stesso, alimentate ad esempio da pubblicità che raccontano la vecchiaia come qualcosa da contrastare con qualunque mezzo. E se in settori come la bellezza, con la sua mole di prodotti anti-aging, questo è più evidente, nella moda il fenomeno non è da meno.
Un rapporto, commissionato dalla compagnia di assicurazioni britannica SunLife, ha evidenziato come gli adulti sopra i 50 anni si sentano colpiti dalla mancanza di rappresentazione soprattutto per quello che riguarda pubblicità e riviste patinate. Negli editoriali è molto difficile trovare donne non giovani come modelle, come lo è altrettanto difficile in passerella. Gli ideali di bellezza sono riusciti a infrangere alcuni tabù, come quelli legati al colore della pelle o al genere, ma ancora non sono riusciti ed essere inclusivi rispetto a tutti i tipi di corpi, siano questi in sovrappeso o non più giovani. Fateci caso: anche nell’utilizzo delle parole la locuzione “senza tempo” o il più anglofono “ageless” sono sempre utilizzati con un’accezione positiva, come se il fatto di non invecchiare sia un qualcosa di universalmente desiderabile, mentre il suo esatto opposto qualcosa da cui rifuggire a tutti i costi.
Se il mondo della moda associa la desiderabilità sempre e solo a corpi magri e giovani la spirale di discriminazione nei confronti di quei corpi che non si conformano a questi due parametri sarà sempre più marcata. Con il risultato che le persone giovani saranno stimolate a fare di tutto per continuare a mantenere il loro aspetto così com’è, mentre quelle di una certa età concentreranno i loro sforzi sull’apparire più giovani o giovanili.
Cosa dire allora di icone della moda come Iris Apfel, Elisabetta Dessy o Benedetta Barzini? Sicuramente delle eccezioni ci sono ma, come nel caso delle campagne legate alla body positivity, sono appunto eccezioni e la realtà dei fatti per gli, e soprattutto per le, over 50 è ben diversa. A questo punto è doveroso un plauso per Vogue Filippine, la cui ultima cover star è Apo Whang-Od, tatuatrice di 106 anni. La passione della moda per la giovinezza, a ben pensarci, è anche uno dei suoi requisiti fondamentali: l’intero sistema si basa infatti sul desiderio del nuovo.
L’industria è molto legata al nostro senso del tempo, le informazioni estetiche che abbiamo rispetto ad epoche passate ce le possono far apparire, a seconda di quale che sia il trend del momento, tanto desiderabili quanto detestabili. Il succedersi dei trend, delle cui ripercussioni sull’ambiente abbiamo già parlato, porta inevitabilmente ad associare chi li adotta a sensazioni di freschezza e giovinezza, mentre chi rimane ancorato a modi di vestire del passato è bollato come demodé.
Una discriminazione controproducente
L’International longevity centre (ILC-UK), dati alla mano, evidenzia però come l’esclusione degli anziani dall’immaginario della moda potrebbe arrivare a costare al settore circa 11 miliardi di sterline nei prossimi 20 anni. Secondo l’analisi, tra il 2011 e il 2018 le persone anziane hanno aumentato la loro spesa per vestiti e scarpe del 21 per cento e gli over 50 potrebbero diventare la base più ampia di consumatori entro il 2040. Le donne over 75 tuttavia, pur ancora interessate al loro aspetto, dichiarano di non spendere più in abiti e accessori.
Conseguenze dell’ageism
Nonostante come società siamo ossessionati dalla giovinezza, i dati ci dicono che siamo una popolazione sempre più anziana, soprattutto se prendiamo come riferimento l’Italia e l’Europa. Sempre più persone quindi potrebbero soffrire delle conseguenze dell’odio nei loro confronti, che possono avere un impatto sulla salute, sulla longevità e sul benessere in generale. L’ageism aumenta anche i comportamenti rischiosi per la salute, come seguire una dieta malsana, bere eccessivamente o fumare, e riduce sensibilmente la qualità della vita.
L’affaire Madonna
E se anche le star vengono colpite da frasi d’odio, come è successo per Madonna o per Rayan Gosling, che armi ha per difendersi chi sta invecchiando da solo e non può vantare di aver influenzato l’immaginario di generazioni o di aver recitato in film che hanno fatto incetta di premi Oscar?
Madonna ha accusato di ageism il presentatore britannico Piers Morgan che, dopo la scorsa cerimonia dei Grammy’s ha pubblicato una foto della cantante molto zoommata seguita dal poco lodevole commento “Pensavo che Halloween fosse ad ottobre” riferendosi al volto segnato tanto dall’età quanto dalla chirurgia estetica. Quanto a Ryan Gosling (classe 1980) si è visto rivolgere molte critiche per il suo ruolo nel film “Barbie”: i suoi detrattori hanno protestato perché lo ritengono troppo vecchio per il ruolo di Ken.
E se per Madonna e Gosling non è stato un problema rispedire le frasi d’odio al mittente, dal 2016 esiste un’associazione la cui missione è quella di portare avanti una campagna con lo scopo di cambiare la narrazione in fatto di età. Attraverso la condivisione di articoli, ispirazioni e prodotti Ageism is never in style si occupa di promuovere e incoraggiare l’inclusività basata sull’età primariamente nel settore della moda.
Combattere gli stereotipi legati all’età è importante per far sentite accettate tutte le persone, a prescindere dall’anno di nascita segnato sui documenti e a prescindere da come risulti il loro aspetto fisico. Pensiamo a tutte le star passate ai raggi X sui media con relative speculazioni sul fatto che possano aver fatto o meno dei ritocchi estetici: combattere questa cultura è il cuore delle attività di Ageism is never in style, che ha all’attivo anche un e-commerce da cui finanzia con il 20 per cento dei proventi Wellbeing of women, un’associazione dedicata alla salute femminile, dal parto alla menopausa.