Peste suina, cosa sta succedendo in Lombardia e perché vengono uccisi anche i maiali liberati

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Il racconto delle violenze e dell’abbattimento dei maiali ospiti del rifugio Cuori Liberi, dopo l’ordinanza dell’Ats Lombardia per il contenimento della peste suina.

Sono le cinque del mattino. Ci distinguiamo appena l’un l’altra in questo grigio scuro che tutto ingloba. L’aria è tesa, le macchine si riempiono e ci si mobilita. In pochi minuti le auto circondano i pressi del rifugio antispecista Cuori Liberi, dove sono ospiti animali liberati, tra cui maiali. Si procede a piedi, nella notte. Gli attivisti indossano i calzari, le tute protettive e i guanti. Si legano i capelli, si disinfettano le superfici e riparte l’attesa, che dura giusto il tempo di capire come proteggere il rifugio. Si entra dal retro, in fila e con ordine, conteggio, divisione catene, tubi e poi via, rifugio e lucchetti si chiudono. Per evitare che le forze dell’ordine entrino ad uccidere i maiali residenti a Cuori Liberi. Per evitare che l’abbattimento coatto per contenere la peste suina sentenziato dalla regione Lombardia venga compiuto. Per dare il tempo a chi resta di piangere i suoi morti, la possibilità a chi soffre di essere accudito, a chi muore di farlo degnamente e a chi sopravvive di vivere. Perché oggi non sarà come venerdì scorso, oggi non si ritireranno dopo una barricata di quattro ore. Oggi arriva la celere, l’antisommossa.

antisommossa zinasco
La polizia è arrivata in tenuta antisommossa © Saverio Nichetti

I maiali e la peste suina in Lombardia

In Lombardia ci sono circa quattro milioni di suini. Quattro milioni di animali, circa il cinquanta per cento del totale presente su suolo italiano. Gli allevamenti intensivi occupano prepotentemente il territorio e non solo in termini di suolo e perimetro. Anche l’aria è piena della loro presenza, miasmi e odori acri che suggeriscono quanto trasudi anche nelle falde acquifere, contaminando acque e terreni agricoli. Interi paesi ruotano attorno all’economia di questi colossi della produzione carnea. Una routine che prevede ingegnerizzazione, nascita, ingrasso e uccisione di milioni di maiali. Che li concentra in spazi ottimizzati per la produzione e che, con frequenza crescente, stanno diventando luoghi di incubazione di epidemie.

Questo è il caso della peste suina (Psa), una malattia virale che colpisce i suini. La sintomatologia è varia, dalla febbre, inappetenza, debolezza del treno posteriore – quindi rallentamento motorio – ed emorragie. Il virus trova un terreno più che fertile negli allevamenti, dove il contatto tra animali allevati è inevitabile, tanto quanto quello tra loro e potenziali animali vettori, come uccelli e roditori selvatici di passaggio. Complice lo stato di alcune strutture di allevamento, i cui tetti sono crivellati di crolli e aperute, e il danno è fatto. La Psa dilaga nel pavese da mesi, in un silenzio omertoso che ne ha amplificato la diffusione.

La diffusione del virus della peste suina

Le testimonianze differiscono, la versione ufficiale è che la Psa sia stata rinvenuta da alcuni allevatori che non hanno segnalato i primi casi all’agenzia della tutela della salute lombarda (l’ente preposto all’erogazione di prestazioni sanitarie e sociosanitarie ) ritardando l’attivazione di misure adeguate. Per molte persone, però, soprattutto qui nei pressi degli allevamenti focolaio c’è chi testimonia un ulteriore grado nella ricerca del principio di contagio. Le mancate denunce hanno avuto un ruolo preponderante nella diffusione del patogeno, come pure la presenza inevitabile di vettori, ma pare che forse, un ulteriore grado di colpa sia da ricondurre ad uno specifico macello da cui sarebbero entrati ed usciti i furgoni e i camion di scarico e trasporto degli animali. Il patogeno, infatti, ha un’ottima capacità di sopravvienza, tant’è che può permanere sulle superfici anche per mesi e quindi propagarsi, trasportato da abiti, ruote, suole di scarpe non disinfettate a dovere. E anche in quel caso, il rischio nullo non è assicurabile.

Uno dei dieci maiali ospiti del rifugio "Progetto Cuori liberi", abbattuti stamattina
Uno dei dieci maiali ospiti del rifugio “Progetto Cuori liberi”, abbattuti stamattina © Progetto Cuori liberi Odv

L’ordinanza di abbattimento

Il patogeno ha trovato nell’iperproduttiva Lombardia un ambiente idoneo a propagarsi, virtualmente indisturbato, forte della propria virulenza e della concentrazione di suini. Così, Ats Lombardia, seppure con i dovuti ritardi, ha iniziato a ricevere segnalazioni di morti sospette. Sono iniziati dunque i test postumi che hanno confermato la presenza della peste suina. L’azione scelta dall’ente è una manovra di contenimento che prevede l’abbattimento di tutti i maiali infetti e di quelli potenzialmente tali. Un’operazione massiccia che, ad oggi, ha portato all’uccisione a mezzo di CO2 di almeno 33mila suini considerati animali destinati alla produzione alimentare, quindi domestici da reddito. I danni economici per gli allevatori sono ingenti, tant’è che sono state predisposte ristorazioni economiche che verranno erogate ad alcuni di loro. Quelli che, per dirne una, non avevano i tetti bucherellati.

Mentre la Lombardia conteggia il danno economico, la Tcc Group Bv, l’unica ditta in tutta Europa in grado di fornire questo servizio, incassa 72 milioni di euro al giorno per l’attività di abbattimento. Ruud Larman, amministratore delegato di Tcc, segue da vicino le procedure, tant’è che lo incontriamo mentre viaggia con il suo pickup tra i vari hub di uccisione. Stando alle dichiarazioni, il processo di uccisione è indolore e sereno per gli animali. La testimonianza però è ampiamente smentita dall’inchiesta di Essere Animali che ha documentato le procedure di gasamento che prevedono la spinta, spesso violenta, degli animali sofferenti e di quelli sani verso i container dove, per 25 minuti, vengono soffocati con una miscela a base di CO2. Stando a Laarman gli animali dovrebbero essere incoscienti in meno di un minuto, ma in caso di sopravvivenza riservano loro lo stesso trattamento previsto per quelli troppo debilitati per essere caricati sui camion di trasporto: lo shock elettrico. Una volta deceduti, gli animali vengono prelevati dalla benna dei manitoba e scaricati in altri container gli uni sugli altri, per l’ultimo trasporto che li porterà all’inceneritore più vicino, quello di Piacenza.

L’abbattimento dei maiali liberati e sani

L’ordinanza di abbattimento, però, non si è limitata ad interessare le vite dei suini allevati, ma anche di quelli liberi e di quelli liberati. È il caso dei cinghiali, la cui caccia ha subito un’impennata drammatica nell’ultimo anno, ma soprattutto negli ultimi mesi proprio per via della peste suina. La minaccia incombe anche su quei maiali domestici non-Dpa (non destinati alla produzione alimentare) residenti nei rifugi antispecisti, degli spazi riconosciuti dalla legge come ambienti di liberazione, in cui gli animali vivono senza subire alcuna forma di sfruttamento o abuso.

Nello specifico, il santuario Cuori Liberi si è visto notificare un’ordinanza, una sentenza di morte, sia per i suini malati sia per quelli sani. Una sentenza che sarebbe stata applicata usando lo stesso metodo applicato per gli animali rinchiusi negli allevamenti. Il santuario ha subito allertato la rete dei Santuari Liberi che ha diramato l’allarme, mobilitando un’azione legale che ha portato ad un ricorso al Tar (la cui udienza sarà svolta il 5 ottobre 2023) e un presidio di attiviste e attivisti che, ormai, che per due settimane hanno presidiano la zona impedendo con la loro presenza che le forze dell’ordine entrino nel rifugio violando gli accordi faticosamente negoziati, secondo cui l’eventuale procedura applicata per gli animali più sofferenti sarebbe un’eutanasia con sedazione identica a quella riservata ai domestici di compagnia. Le procedure di uccisione attualmente in corso, però, non comprendono solo animali infetti, ma anche quelli che si trovano in allevamenti che registrano focolai, come pure quelli che si trovano nelle zone limitrofe. La mattanza procede a ritmo sostenuto, riempie container su container, nella speranza di liberare il pavese da una “produzione infetta” e ripristinarne una “sana”.

Ats, però, non ha il tempo materiale per attendere che i residenti di Cuori Liberi muoiano con le adeguate attenzioni mediche. Gli allevamenti del Pavese devono essere svuotati e riempiti il prima possibile per rimettere in moto la produzione. Questa pressione ha spinto le forze dell’ordine a cercare di operare un intervento coatto venerdì 15 settembre. La mobilitazione armata di forestale, carabinieri e digos, ha spinto attiviste e attivisti presenti nella zona a barricare il rifugio, legandosi con catene e tubi per impedire l’accesso e l’uccisione dei maiali. La protezione materiale, non esente da rischi, sta di fatto impedendo morti ingiuste e la creazione di un precedente pericoloso per tutti i rifugi italiani. L’ingresso forzato delle forze dell’ordine violerebbe la tutela di cui godono i residenti dei rifugi, riportandoli ad essere considerati nulla più che oggetti da gestire, carne da macello o intralci.

Paura e violenza al rifugio Cuori Liberi

La paura è la violenza in arrivo. Che si quantifica non appena vediamo il numero spropositato di camionette che si parcheggiano. Polizia, carabinieri, poi i pompieri. Si schierano in fretta, pronti ad attaccare. Sono carichi, visibilmente aizzati da chi coordina la celere. Ride di fronte alle persone sedute di fronte al cancello, sostiene che non ci sia più tempo per parlare, figurarsi negoziare. Slacciano le persone tirando loro le braccia come fossero fatte d’impasto. Strattonano chi è bloccato dai tubi, passano il flessibile vicino alle dita di una compagna che si tiene al cancello. Questo viene divelto subito. Gli attivisti scappano verso il cuore del rifugio, l’antisommossa dietro a farsi largo a manganelli spiegati. Colpiscono duramente e da subito.
Ma è dietro alle barricate che infieriscono. Calci, pugni, insulti. Violenza psicologica e verbale. Un’attivista viene colpita al petto con un pugno, si scoprirà poi che ha una microfrattura allo sterno e un versamento pericardico. Uno dei poliziotti tira pugni sui testicoli, li stritola. Un altro, si accanisce su una ragazza riempiendola di insulti sul suo corpo e sulla sua vita sessuale.

Usano la forza, sul rifugio, sui maiali e sulle attiviste e gli attivisti stessi, per rimuoverli. Le persone che hanno scelto di sostenere l’inviolabilità dei rifugi e la resistenza per la dignità della vita degli animali non umani, sono monitorate da giorni, controllate, seguite, segnate su foglietti volanti e riprese da finti podisti – autorità in borghese – che riprendono volti e contano presente. C’è, non c’è, manca. Sono tante, sono poche. Sono un pericolo, sono innocue. Valutazioni che possono decidere della vita e del futuro di molte tra le persone accorse.

Gli attivisti vengono portati fuori uno a una, trascinati, tenuti male, sbatacchiati e insultati dopo essere stati ripetutamente picchiati. Nel mentre entra Ats, sfilando con i fucili e i torcinaso. Ridono.
Le paure diventano certezze. Muore lo spazio del lutto, i maiali vengono uccisi e scaricati nei container. Corpi inerti là dove prima c’era nerbo. Tonfi duri. Di chi era malato, ma anche di chi era sano. Di chi fino a poche ore prima passeggiava, grugniva e mangiava. Chi si è nascosto per fuggire ai veterinari. Fuori la disperazione dilaga. Cuori Liberi non sta avendo lo spazio per il lutto. Il rifugio viene divelto, la terra smossa, le reti alzate, gli animali terrorizzati.

Ats Lombardia ha optato per il contenimento e non per la prevenzione, perché l’unico metodo per arginare la diffusione di un patogeno come questo comporta la chiusura definitiva dell’industria dell’allevamento. Invece di estirpare il problema alla radice, la regione ha optato per una toppa malmessa che minaccia gli animali, siano essi umani o non umani. E lo ha fatto in un’epoca storica in cui la pubblica consapevolezza rispetto alla pericolosità ambientale di questi ambienti è in crescita, perché oltre a generare il 14,5 delle emissioni Ghg, assorbe il dieci per cento delle acque globali e occupa l’ottanta per cento dei terreni agricoli. Solo in Lombardia ci sono più suini che esseri umani. Come se non bastasse, non sta nemmeno limitando i contatti tra umani e patogeno, perché, stando agli studi, questo non solo sopravvive a lungo, ma lo fa anche in quei tranci derivati dallo scorporamento animale che popolano i supermercati. Gli stessi operatori ed operatrici di allevamenti e macelli non sempre sono posti nelle condizioni di sanificarsi adeguatamente, contribuendo alla diffusione della malattia.

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Attivisti a Zinasco © Saverio Nichetti

La disobbedienza civile è stata l’unica barriera tra il riconoscimento fattivo della dignità della vita animale e la sua assoluta, ordinaria, violazione. Per due settimane ha tenuto in vita i maiali di Cuori liberi. I manganelli hanno spezzato questa linea di confine, tra la sicurezza e la violenza. Ora la notizia gira, ora che le persone sono state picchiate, ferite e contuse. Ora che il danno umano è tangibile. Dei maiali però, si parla a margine. Come se le loro vite fossero incidentali. Quando invece erano il centro di tutto. E lo saranno ancora. Soprattutto perché stando alla nuova circolare su “sorveglianza santuari correlati con focolaio PSA 190PV044” nessun santuario è al sicuro. Perché è vero che se toccano una, toccano tutte. E gli animali non umani liberati, non fanno eccezione.

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