PFAS nelle acque, in Piemonte esposti in Procura: “La Regione nasconde i rischi per la salute”

Lindipendente

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Dopo aver condotto un’inchiesta che ha fatto luce sulla presenza di PFAS – sostanze poli e perfluoroalchiliche – nelle acque potabili di decine di comuni in tutto il Piemonte, negli scorsi giorni l’associazione Greenpeace Italia ha ufficialmente presentato quattro esposti alle Procure di Torino, Ivrea, Alessandria e Novara, chiedendo alla magistratura di prendere “tutti i provvedimenti cautelari del caso” al fine di “impedire che si continui a somministrare alla popolazione acque contenenti PFAS”. Nella denuncia, Greenpeace ha sollecitato i magistrati ad accertare se, considerato lo stato di inquinamento permanente delle aree in questione, “sussistano le condizioni per ipotizzare i reati di disastro ambientale o innominato”, nonché per “omissione di atti d’ufficio conseguente il mancato rispetto della normativa sull’accesso agli atti”. Nonostante lo spaccato emerso dall’indagine di Greenpeace, negli ultimi giorni l’assessore alla Sanità Luigi Icardi ha cercato di rassicurare la cittadinanza in merito alla sicurezza delle acque potabili, chiudendo alla possibilità di avviare un monitoraggio delle acque in Piemonte.

Nel suo rapporto, Greenpeace aveva utilizzato 671 campioni di acqua a uso potabile, analizzati tra il 2019 e il 2023, in cui è stata riscontrata la presenza di PFAS nel 51% dei casi. L’associazione aveva registrato una maggiore concentrazione di PFOA (acido perfluoroottanoico appartenente agli PFAS, che recenti studi hanno classificato ccome cancerogeno per l’uomo) in provincia di Alessandria, attestando che in 5 comuni dell’area – Alzano Scrivia, Castelnuovo Scrivia, Molino dei Torti, Guazzora e Tortona -, vi era contaminazione in tutti i 24 campioni raccolti negli anni, mentre nella città di Torino la presenza di PFAS era stata riscontrata in 77 dei 291 comuni, con il 45% dei campioni positivi. Greenpeace aveva inoltre raccolto 15 campioni in altri comuni delle province Piemonte presso “luoghi sensibili” come fontane e parchi, registrando in 5 casi la presenza di PFAS e, in un caso – quello del comune di Galliate in provincia di Novara -, anche di PFOS, una molecola del gruppo PFAS classificata come possibile cancerogeno.

Uno degli esposti presentati da Greenpeace concerne l’operato della Regione Piemonte. L’associazione lamenta infatti che, dopo aver presentato richiesta per poter prendere visione degli esiti delle verifiche sulla presenza di PFAS all’interno delle acque potabili, la Regione ha risposto attraverso una lettera formalmente redatta dal Settore Servizi Ambientali che “le informazioni richieste non sono in possesso della Regione Piemonte”, invitando a chiedere i dati ai gestori. “Le possibili spiegazioni sono due – ha replicato in una nota Greenpeace -. O il massimo ente regionale in materia ambientale e sanitaria non è al corrente dell’operato dei propri organi tecnici (ARPA e ASL Alessandria), oppure la Regione non ha rispettato la normativa vigente sull’accesso agli atti, rendendosi così responsabile del reato di cui all’art. 328 del codice penale”. Greenpeace chiede inoltre alle Procure di indagare i motivi per i quali, finora, “chi dovrebbe garantire la sicurezza della cittadinanza si è limitato a cercare di sminuire il problema, sostenendo che i valori che abbiamo rilevato sono nella norma”. A metà febbraio, in seguito all’uscita del rapporto di Greenpeace, l’assessore regionale alla Sanità, Luigi Icardi, ha infatti dichiarato che «le sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), nell’acqua degli acquedotti piemontesi, risultano a livelli fortemente inferiori ai limiti previsti dalla legge» e che «l’acqua analizzata rispetta i parametri di potabilità e non si ipotizzano rischi immediati per la salute». «Difficilmente – ha concluso – saranno introdotti obblighi di controllo aggiuntivi sulle acque».

«I nostri esposti confermano quanto la situazione PFAS in Piemonte sia fuori controllo – ha spiegato per contro Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia -. La Regione, il massimo organo sanitario, sembra non essere a conoscenza dell’operato delle proprie agenzie o si macchia di un reato per non rispondere alle istanze di Greenpeace. Nell’alessandrino gli enti pubblici hanno permesso per anni l’erogazione di acqua contaminata e si sono attivati solo dopo l’interessamento di Greenpeace e solo in alcuni comuni. Tutto questo è inaccettabile». “I PFAS finora sono stati trovati nelle acque potabili di diversi comuni del Veneto, della Lombardia e del Piemonte. Ma a causa della loro persistenza, con l’inquinamento da PFAS nessuno può considerarsi al sicuro – ha scritto ancora Greenpeace nel comunicato in cui ha reso nota la presentazione degli esposti –. Per questo chiediamo al nostro governo, al parlamento e ai ministeri competenti di varare un provvedimento che vieti l’uso e la produzione di PFAS in tutta Italia”.

Alla fine dello scorso anno, un’équipe di trenta scienziati dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) hanno fatto luce sul nesso tra esposizione a PFAS e insorgenza di tumori all’interno di una ricerca effettuata per la rivista The Lancet Oncology. In base a “prove sufficienti di cancro negli esperimenti sugli animali e di prove meccanicistiche forti nell’uomo esposto”, i ricercatori hanno sancito che i PFOA sono “cancerogeni per l’essere umano”, affermando che essi debbano essere inseriti all’interno del gruppo 1 delle sostanze che possono causare neoplasie; i PFOS, invece, sono stati fatti rientrare nel gruppo 2B (a cui in precedenza appartenevano i PFOA), in quanto “possibilmente cancerogeni”.

[di Stefano Baudino]

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