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La scorsa settimana l’Unione europea ha varato un nuovo piano legato al Green Deal, il Net-Zero Industry Act. Il piano, in discussione da un anno, segna la strategia d’azione di Bruxelles per gli anni a venire negli ambiti della tecnologia per la produzione di energia rinnovabile e della geoingegneria legata alla cattura e allo stoccaggio del carbonio. La legge europea sarebbe una risposta all’Inflation Reduction Act statunitense, che, tra le altre cose, ha attirato miliardi di dollari di investimenti per lo sviluppo e la produzione delle così dette tecnologie verdi. In merito alle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio, la nuova legislazione europea pone serie problematiche riguardo i soggetti individuati per lo sviluppo della tecnologia che dovrebbe ripulire l’aria dalle emissioni, oltre ad aprire le porte ad un nuovo business che nei prossimi decenni potrà fruttare svariati miliardi di dollari di profitto. Questi soggetti, infatti, altri non sono che le grandi compagnie dell’industria petrolifera.
Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE hanno concordato nuove normative per promuovere la produzione solare dell’Unione, tra le preoccupazioni sulla redditività del settore manifatturiero solare europeo. Ai sensi del Net Zero Industry Act (NZIA), gli Stati membri dell’UE saranno tenuti ad applicare criteri di prequalificazione e di aggiudicazione non relativi al prezzo per i progetti di energie rinnovabili, quanto piuttosto alla condotta aziendale responsabile, alla sicurezza informatica e dei dati e alla capacità di consegnare il progetto in modo completo e puntuale. Il disegno di legge dell’UE non si avvicina neanche lontanamente alla spesa di 369 miliardi di dollari prevista dall’Inflation Reduction Act statunitense ma, secondo i politici europei, rappresenterebbe comunque una svolta importate. Il piano, tuttavia, prevede degli aspetti a dir poco controversi.
Il disegno di legge, infatti, porta avanti anche il piano dell’UE per costruire una rete per catturare e immagazzinare il carbonio, fissando l’obiettivo di creare 50 milioni di tonnellate di capacità annuale di stoccaggio del carbonio, ordinando alle compagnie petrolifere e del gas di contribuire a finanziare lo sforzo. In particolare, la legislazione finale include una sanzione per le aziende di combustibili fossili che non si adeguano. Il controverso piano dell’UE vuole dunque puntare su alcuni dei maggiori emettitori al mondo per investire massicciamente in nuove tecnologie di cattura e stoccaggio (anche per millenni) del carbonio, come parte della sua strategia per raggiungere la neutralità climatica. Secondo l’UE, giganti come Shell ed ExxonMobil hanno i soldi, il know-how ingegneristico e le strutture necessarie per far crescere rapidamente un’industria che al momento si trova in stato embrionale e non è ancora redditizia, ma che presto potrebbe diventarlo (col rischio che si venga a creare un monopolio-oligopolio anche su di essa, come accaduto con l’industria petrolifera). Si tratta di quella relativa alla cattura del carbonio tramite tecniche di geoingegneria, che mirano a impedire alle emissioni del ciclo produttivo di arrivare nell’aria o persino a rimuoverle dall’aria stessa.
Dunque, chi ha inquinato dovrà adesso ripulire l’ambiente potendo farne un nuovo business. Il fatto è: queste compagnie avranno interesse a lasciare il modello attuale oppure, in virtù del fatto che opereranno con la geoingegneria per eliminare le emissioni, continueranno ad estrarre e produrre energia fossile? Una volta che queste multinazionali del fossile avranno ripulito l’ambiente, o comunque eliminato gran parte delle emissioni, non saranno invece invogliate a continuare ad emettere e fare così una montagna di soldi in entrambi i settori? Se queste aziende possono fare miliardi inquinando, una volta implementate le tecnologie geoingegneristiche su larga scala e una volta che il mercato della cattura del carbonio sarà esploso, la tentazione di poter guadagnare miliardi dalle emissioni e miliardi dalla cattura delle emissioni sarà certamente tanta.
In definitiva, l’Europa dimostra ancora una volta quanta ipocrisia vi sia nelle dichiarazioni e nei piani in tema ambientale, i quali non si sforzano minimamente di intaccare il potere di certi nodi del sistema, figurarsi il sistema stesso, di cui è palesemente parte.
[di Michele Manfrin]