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Il mancato rispetto dei limiti raccomandati nella concentrazione di particolato fine (PM 2,5) nell’aria ha provocato solo in un anno 253 mila decessi in Europa, ad ammetterlo è l’ultima valutazione sanitaria presentata dall’Agenzia europea per l’ambiente (EEA). Il rapporto spiega che, sebbene negli ultimi 18 anni il numero di decessi attribuibili al particolato fine sia diminuito del 41%, la concentrazione di smog nell’aria è ancora il principale rischio ambientale per la salute per tutti quei cittadini europei che vivono nelle aree urbane. Vista dall’Italia la notizia risuona se possibile ancora più allarmante, quasi un decesso per PM 2,5 su cinque si verifica infatti nel nostro Paese: secondo le stime l’esposizione al particolato fine avrebbe ucciso quasi 47mila italiani. Secondo il rapporto dell’EEA l’Italia è al penultimo posto per decessi causati dallo smog, preceduta solamente dalla Polonia.
Per particolato fine (PM 2,5) si intendono le particelle inquinanti solide e liquide sospese in aria con un diametro compreso tra 0,1 e 100 micrometri (un micrometro equivale un milionesimo di metro). Sono quelle di dimensioni più piccole causate dalla combustione, ovvero in particolar modo dal traffico automobilistico di auto a combustibili fossili, dal riscaldamento (in particolare quello a legna), dagli impianti per la produzione di energia e da molti altri processi industriali.
Nello specifico nel 2021 fra i ventisette Paesi appartenenti all’Unione, oltre ai 253mila decessi attribuibili all’esposizione a concentrazioni di PM 2,5 superiori al livello guida dell’OMS di 5 µg/m 3 (microgrammi per metro cubo d’aria), sono stati 52mila i morti causati dall’elevata quantità di diossido di azoto, superiore al livello guida dell’OMS di 10 µg/m 3 e 22mila per accumulo di ozono superiore a 70 µg/m 3.
Sostanze inquinanti che, quindi, causano evidenti problemi di salute – oltre a comportare costi significativi per i sistemi sanitari. L’Agenzia europea per l’ambiente ha infatti per la prima volta inserito all’interno della sua ultima valutazione la quantificazione del carico di malattia associato a specifiche patologie correlate all’inquinamento atmosferico. Questo non dipende solo dai decessi attribuibili alla malattia, ma anche dalla convivenza quotidiana con essa.
Infatti, se per alcune patologie come la cardiopatia ischemica e il cancro la maggior parte del carico di malattia è legato alle morti provocate dalla malattia, per altre, come il diabete e l’asma, il carico di malattia è principalmente associato alla convivenza per anni o decenni con gli effetti debilitanti delle stesse. Pertanto, quando consideriamo gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute, è importante non solo concentrarsi sui decessi attribuibili agli inquinanti, ma anche sulle possibili conseguenze nel lungo periodo che queste patologie hanno sulla qualità della vita quotidiana dei cittadini europei, che si trovano ad affrontare certi effetti cronici.
Tra le malattie legate all’inquinamento atmosferico, il “carico di malattia” relativo all’esposizione al particolato fine (PM2,5) è causato dalla cardiopatia ischemica, seguita da ictus, diabete mellito, broncopneumopatia cronica ostruttiva, cancro al polmone e asma. Nel caso del biossido di azoto, il carico più elevato è dovuto a diabete mellito, seguito da ictus e asma.
Anche in Italia, per via dell’esposizione a livelli eccesivi di polveri sottili PM2.5, sono morte quasi 47mila persone, pari a più di 415.000 anni di vita persi, senza contare almeno altri 16mila tra diossido di azoto e ozono.
D’altronde già lo scorso ottobre i monitoraggi atmosferici di Copernicus hanno rilevato che il 73% di chi abita il nostro Paese vive nelle 58 città in cui dall’inizio del 2023 – da gennaio ad agosto – la concentrazione di polveri sottili ha superato i limiti suggeriti dall’OMS di cinque microgrammi per metro cubo d’aria – mentre le nuove norme europee sulla qualità dell’aria consentirebbero una concentrazione media annua di 10 microgrammi a partire dal 2035. Invece il progetto di sorveglianza epidemiologica ‘Sentieri’, che ha reso noto il suo sesto rapporto sullo stato della salute pubblica nei siti più inquinati d’Italia, analizzando 46 siti di emergenza ambientale riconosciuti dal governo si è accorto che vivere entro i confini di tali aree particolarmente inquinate significa avere un rischio maggiore del 2% di morire di malattia, perlopiù tumori maligni, e un rischio di ospedalizzazione maggiore del 3%.
Considerato che tali siti sono complessivamente abitati da oltre 6,2 milioni di persone, ovvero, circa il 10% della popolazione italiana, la situazione risulta essere decisamente preoccupante. Proprio in casa nostra.
[di Gloria Ferrari]