Digitalizzazione e blockchain, la moda sostenibile è tech

Lifegate

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Con QR code e blockchain è possibile rendere disponibili e facilmente fruibili moltissime informazioni sui capi: la moda sostenibile passa dalla digitalizzazione.

Il fattore chiave per determinare la sostenibilità o meno di un prodotto è rappresentato dalle informazioni: avere dati puntuali sia sui materiali che lo compongono sia sulla filiera è il primo passo per poter valutare l’ecocompatibilità e la sostenibilità sociale di un acquisto che intendiamo fare. Nell’ottica di compiere un passo avanti in materia di moda sostenibile ci sono quindi due termini molto importanti da tenere presenti: trasparenza e tracciabilità. Entrambi si riferiscono alla filiera produttiva, processo che nella maggior parte dei casi non è conosciuto dal consumatore finale.

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Il primo passo per fare acquisti consapevoli da un punto di vista ambientale e sociale è conoscere nel dettaglio come sono stati prodotti i capi © Keagan Henman/Unsplash

Dove e come vengono prodotti i nostri abiti?

Nel tessile accade che raramente le aziende retailer abbiano una produzione integrata verticalmente: questo si traduce in uno scarso controllo sui produttori, sui fornitori dei materiali, oppure sull’origine stessa delle fibre utilizzate. Molto spesso il brand non ha né conoscenza né controllo su chi materialmente produce i capi che poi commercializza, figuriamoci i consumatori. Per poter parlare veramente di sostenibilità nel tessile è invece cruciale conoscere l’esatta origine dei materiali e come vengono prodotti. Quanta acqua viene impiegata? E quanta CO2 viene prodotta? Vengono usati degli agenti chimici inquinanti? I lavoratori operano in sicurezza? Sono pagati adeguatamente?

Parola d’ordine: digitalizzazione

Disporre in tempo reale di tutte queste informazioni, coordinate tra i diversi settori coinvolti, permette di fare delle scelte che siano sia ottimizzate dal punto di vista della qualità, che responsabili da un punto di vista ambientale e sociale. È qui che si inserisce la partnership tra due realtà impegnate nella certificazione digitale delle catene produttive: The ID factory e Genuine way. Le due società hanno unito le forze fondendo le rispettive competenze: da una parte l’expertise in fatto di tracciabilità della filiera industriale in ambito tessile di The ID factory, e dall’altra la capacità di Genuine way di comunicare efficacemente al consumatore i valori ambientali e sociali delle produzioni in maniera trasparente attraverso l’utilizzo della tecnologia blockchain.

“Nel momento in cui c’è trasparenza nella comunicazione è più facile  per il consumatore fare acquisti consapevoli, ma anche per il brand collaborare con il proprio fornitore per migliorare gli standard sociali e ambientali. La digitalizzazione dell’intero processo produttivo, dal punto di vista della raccolta e trasmissione delle informazioni, consente enormi passi avanti”, puntualizza Martina Schiuma di The ID factory. L’abbiamo intervistata.

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Tracciabilità e trasparenza sono gli elementi garantiti da un tracciamento digitale della filiera © Marija Zaric/Unsplash

Perché la digitalizzazione è così importante nell’ambito della tracciabilità?
Per noi di The ID factory è cruciale il concetto di co-evoluzione: noi lavoriamo da sempre sulla tracciabilità digitale del prodotto e della filiera collaborando con consulenti esterni per quanto riguarda la parte di valutazione ambientale e sociale del fornitore: grazie alla collaborazione con Genuine way arriviamo direttamente al cliente  fornendo informazioni in più. Insieme abbiamo implementato una sorta di dashboard di controllo su quelle che sono state le fasi e i processi produttivi, ma la cosa veramente interessante è che questi dati non sono stati messi lì perché è stato il brand a fornirceli, ma sono informazioni che vengono  immesse direttamente dall’operatore in fabbrica. Che si trovi in Portogallo, in Indonesia o in Bangladesh è stato l’operatore ad applicare un QR code sulla materia prima con tutte le specifiche: stiamo parlando di dati primari affidabili perché sono il risultato di un processo di collaborazione di filiera.

Il sistema che avete messo a punto con il relativo QR code è orientato più al brand o al consumatore?
Noi non vogliamo diventare uno strumento di marketing e comunicazione del prodotto, ma su uno strumento di co-evoluzione: siamo una B-corp certificata e vogliamo cooperare con altre B-corp in un’ottica di generative business, quindi utilizzare le risorse che abbiamo per creare valore per il futuro. La tracciabilità è lo strumento per arrivare a questo risultato.

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Il QR code applicato direttamente sul capo dalla persona che lo lavora in fabbrica permette di avere informazioni veritiere e aggiornate © The ID factory

In che modo si inserisce lo strumento della blockchain in questo scenario?
La tecnologia è essenziale per poter comunicare: la blockchain è pubblica, perciò dimostra l’impegno del brand nel rendere visibili, e costantemente verificabili nel tempo, le proprie certificazioni. Quando un marchio perde la certificazione, la blockchain lo registra, come ogni cambiamento futuro. Questo è molto importante perché la trasparenza non si limita a un determinato momento: se un marchio sbaglia qualcosa o non si comporta più come faceva quando ha ottenuto una data certificazione, gli utenti lo possono vedere perché la blockchain registra tutto e, soprattutto, non si può modificare.

Qual è al momento la risposta da parte dei consumatori?
Per il momento è un mercato totalmente da esplorare: quello che sappiamo è che quella dei clienti consapevoli non è più una nicchia. C’è un dato secondo me particolarmente rivelatore: il 40 per cento dei consumatori oggi non crede nelle affermazioni dei brand, una mancanza di fiducia che può essere combattuta solamente tramite uno strumento di trasparenza.

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Grazie alla tecnologia blockchain, le informazioni riguardo alle certificazioni di un brand sono sempre disponibili e, soprattutto, aggiornate © Hitesh Choudhary/Unsplash

I brand sono collaborativi quando si tratta di tracciare le informazioni riguardanti la loro filiera?
Lato nostro, siamo partiti da un dato: due brand su cinque vogliono adottare, entro il 2022, degli strumenti per produrre un product passport. Noi lavoriamo con 15 partner, tra cui il gruppo Pvh, il gruppo Hugo Boss, Geox e con diversi retailer e vediamo che c’è un interesse sempre maggiore nel discorso della tracciabilità anche alla luce delle nuove regolamentazioni, come l’Eu product passport. Ben presto, sia in Europa che negli Stati Uniti non sarà più opzionale trasmettere informazioni riguardo ai propri prodotti. Fortunatamente, da questo punto di vista c’è un cambiamento evidente: lo abbiamo visto anche al Global fashion summit, dove abbiamo lanciato il nostro product passport.

Qual è il principale vantaggio dell’identità digitale dei capi?
Nel nostro caso il QR code, che è uno smart tag, viene applicato direttamente dai lavoratori durante i processi produttivi, ed è recuperabile in qualsiasi momento.

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