Il nucleare non fa bene al clima, secondo Hervé Kempf

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Nel suo ultimo libro, edito in Italia da Einaudi, il giornalista francese fornisce il suo parere sul perché il nucleare non è un buon investimento per il clima.

Il 26 aprile 1986, all’1 e 23 di notte, il reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl esplose, trasformando quell’evento nel più grave incidente della storia dell’energia nucleare e l’unico, insieme a quello di Fukushima del 2011, a essere classificato al settimo livello, il massimo, della scala di catastroficità Ines, scala internazionale degli eventi nucleari.

Il disastro di Chernobyl ha spinto diversi paesi, tra cui l’Italia, ad abbandonare la produzione nucleare come fonte di elettricità. Ma il discorso intorno all’atomo non si è mai esaurito e, soprattutto negli ultimi anni, sono diversi i gruppi di pressione e i politici che ritengono l’energia nucleare una fonte sicura e a basse emissioni di CO2 da prendere seriamente in considerazione: in Italia, per esempio, l’attuale ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha lanciato di recente una “piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile”, con l’obiettivo di rilanciare lo “sviluppo di tecnologie a basso impatto ambientale e a elevati standard di sicurezza e sostenibilità”.

Ma il nucleare davvero è la ricetta per la riduzione delle emissioni da parte del settore energetico? Secondo il giornalista francese Hervé Kempf, autore del libro edito da Einaudi “Il nucleare non fa bene al clima”, la risposta è “assolutamente no”. Lo abbiamo intervistato.

Il giornalista Hervé Kempf

Nel suo libro afferma che uno dei principali problemi legati alle questioni nucleari è la mancanza di competenza tra i giornalisti. Quali pensa siano le cause di questa mancanza?
L’energia nucleare è un settore altamente tecnico, sia dal punto di vista tecnologico che economico. I giornalisti francesi raramente hanno una formazione scientifica e quindi si sentono a disagio nel trattare questo argomento. Inoltre, trattandosi di una questione altamente politica, persino ideologica, i giornalisti tendono ad aderire all’opinione prevalente, espressa in modo molto deciso e inequivocabile dai governi e dal lobby nucleare. È difficile contraddirli o interrogarli se non si ha una solida preparazione tecnica.

In Francia, quasi la metà delle centrali nucleari sono rimaste inattive nel 2022, e ci sono problemi legati alla costruzione del nuovo reattore Epr. Possiamo quindi considerare la Francia un esempio europeo del fallimento del progetto nucleare? Lo chiedo perché al momento, almeno in Italia, c’è un significativo dibattito sul “ritorno al nucleare”.
Quasi tutte le centrali nucleari francesi sono tornate operative nel 2023. Tuttavia, la costruzione del nuovo reattore Epr sta procedendo con grandi difficoltà. Il costo totale stimato è di 13,2 miliardi di euro, quattro volte il budget originale. Per quanto riguarda i progetti Epr2 (per la messa in servizio intorno al 2040), non sappiamo ancora se saremo in grado davvero di costruirli e il budget provvisorio è già aumentato. La Francia sta puntando su una tecnologia che non è in grado di risolvere i problemi e che assorbe una quantità enorme di denaro. Mentre le centrali nucleari costruite negli anni Settanta e Ottanta funzionano correttamente, lo stesso non si può dire dei progetti attualmente in costruzione.

Parlando di disastri nucleari, Fukushima viene spesso evidenziata come un caso in cui non ci sono state vittime. Tuttavia, la città di Namie mostra chiaramente le conseguenze: prima del 2011, vi abitavano 21mila persone, ora ne rimangono appena 1.500.
C’è una forte pressione da parte della lobby nucleare per negare gli effetti degli incidenti nucleari. È vero, gli incidenti gravi sono molto rari, ma quando si verificano, rendono le aree inabitabili per molti decenni. Questa è la grande differenza con altri tipi di incidenti industriali. Dopo un’esplosione chimica, se il terreno viene bonificato correttamente, può essere ri-abitato abbastanza rapidamente. Al contrario, un’area in cui particelle radioattive sono state rilasciate nell’ambiente a seguito di un incidente nucleare, quell’area rimane tossica per decenni. La radioattività impedisce alle persone di vivere in determinate aree per lungo tempo a causa del rischio di contaminazione o rende pressoché impossibile farlo a causa delle precauzioni che devono essere costantemente prese per limitare la contaminazione.

Un grave incidente nucleare comporterebbe enormi spese per lo stato che lo subisce. Nel libro ha parlato chiaramente di “rischio bancarotta”, è vero?
L’Istituto per la radioprotezione e la sicurezza nucleare in Francia ha studiato lo scenario di un incidente che rilascia elevati livelli di radioattività: un tale incidente porterebbe all’evacuazione di 2,5 milioni di persone e alla contaminazione del 9 per cento del territorio, con decine di migliaia di casi di cancro. Quali sarebbero i costi di un tale incidente? Secondo un altro studio, potrebbero ammontare a 450 miliardi di euro, circa il 20 per cento del prodotto interno lordo francese. Non so se ciò porterebbe lo stato al fallimento, ma l’economia sarebbe sicuramente traumatizzata per lungo tempo.

I reattori sono vulnerabili ai cambiamenti climatici? In che modo? Sono un buon investimento per il clima?
Gli specialisti hanno iniziato a studiare questa questione solo da pochi anni, e quindi possiamo rispondere adottando un certo grado di cautela. L’innalzamento del livello dei mari e la diminuzione della portata dei fiumi avranno senza dubbio un impatto sul funzionamento dei reattori nucleari, che necessitano di molta acqua per il raffreddamento del nocciolo. È anche possibile che l’atteso aumento degli eventi meteo estremi possa indebolire i reattori o la rete elettrica.

La risposta alla seconda domanda, invece, è chiara: l’investimento in energia nucleare non è un buon investimento per il clima. Perché no? Perché i reattori da costruire non entreranno in funzione prima di almeno quindici anni, in un momento in cui è necessario ridurre drasticamente le nostre emissioni di gas serra adesso, del 5 per cento all’anno per un paese come la Francia o l’Italia entro il 2030. L’energia nucleare non ha effetti positivi per il clima nel breve termine. Al contrario, l’investimento economico e finanziario nel nucleare sta divorando risorse di cui avremmo bisogno per ridurre i consumi energetici e sviluppare le fonti rinnovabili.

Secondo lei la ricetta della sobrietà energetica può essere davvero abbracciata dalla nostra società e dai nostri politici?
Non dai politici di destra e di estrema destra che difendono gli interessi capitalistici. Il sistema capitalista non può sopravvivere senza crescita costante. Ma la società è molto più pronta di quanto immaginiamo. In Francia, tutti gli esperti sono stati sorpresi dalla forte riduzione del consumo energetico durante la crisi ucraina del 2022.

Pensa che i sostenitori del nucleare stiano guadagnando consenso in Europa? Vede un crescente parallelismo tra l’estremismo politico, l’autoritarismo e l’energia nucleare?
La tua domanda contiene già la risposta, ed è quella giusta. L’energia nucleare può funzionare solo in una società in cui l’informazione non è pienamente libera, dove il dibattito pubblico non è chiaramente sul tavolo, dove gli oppositori politici sono repressi. Questo è esattamente ciò che stiamo vivendo in Francia. Più in generale, le enormi strutture delle centrali nucleari e la rete centralizzata impongono per forza di cose una visione accentratrice e autoritaria per la loro gestione, anche solo per motivi di sicurezza legati al rilascio di radioattività o a possibili minacce terroristiche. Al contrario, l’autonomia energetica resa possibile dalla sobrietà e dalle energie rinnovabili è compatibile con una società libera, in cui i cittadini sono direttamente coinvolti nelle proprie attività e in cui c’è molto meno bisogno di controllo statale.

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