Promossa per la gestione delle risorse, bocciata per la dispersione idrica: le statistiche dell’Italia sull’acqua

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L’acqua che ogni anno viene dispersa in Italia nelle reti di distribuzione potrebbe soddisfare le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un anno intero

«Signore e signori, il ciclo dell’acqua si è interrotto. Ci siamo permessi di credere che l’acqua ci sarà per sempre, ma non è così». È con queste parole che Maroš Šefčovič, vicepresidente della Commissione europea, ha inaugurato la Green Week, l’appuntamento annuale che si svolge a Bruxelles per sensibilizzare sui temi ambientali. Il tema scelto per l’edizione di quest’anno è proprio l’acqua. O meglio: la resilienza dell’Unione europea contro siccità e inondazioni. Di fronte a un pianeta sempre più caldo e a eventi estremi sempre più frequenti, la disponibilità delle risorse idriche è più che mai a rischio. Da qui, dunque, la necessità di attivarsi prima che sia troppo tardi. «La nostra economia – ha aggiunto Šefčovič – dipende da una fornitura stabile di acqua per produrre cibo, energia e beni. E abbiamo visto i danni che possono verificarsi con gli eventi estremi in un continente in via di riscaldamento, come l’Europa».

I tre pilastri della strategia europea

La strategia europea per correggere e ripristinare il corretto ciclo dell’acqua passa da tre pilastri. Il primo ha a che fare con il ripristino della natura, un tema che Bruxelles ha affrontato con la contestata Nature Restoration Law, approvata dal Parlamento ma tenuta ostaggio dal Consiglio. Poter contare su foreste e habitat naturali in salute è infatti una condizione imprescindibile per un uso corretto delle risorse idriche. Il secondo pilastro della strategia europea riguarda l’efficienza. Proprio come accade per l’energia, anche l’acqua va gestita in modo efficiente e soprattutto seguendo i dettami dell’economia circolare, che punta a ridurre al minimo gli sprechi e a premiare il trattamento e il recupero delle acque reflue. Infine, l’ultimo pilastro europeo: riequilibrare domanda e offerta. Da circa un secolo, l’umanità ha intrapreso un percorso di sviluppo che poggia su un utilizzo insostenibile delle risorse naturale. Secondo le Nazioni Unite, nel 2030 la domanda globale di acqua supererà del 40% l’acqua effettivamente disponibile.

A mettere a rischio le risorse idriche non sono solo i cambiamenti climatici, come dimostrato dalla siccità che in questi mesi ha colpito la Sicilia (e non solo). Ma anche alcune tecnologie della stessa transizione ecologica e digitale. Due esempi molto concreti: centrali nucleari e data center, che necessitano di grosse quantità di acqua per le attività di raffreddamento. Secondo le stime della Commissione europea, il 30% dei cittadini europei è costretto a confrontarsi ogni anno con situazioni di scarsità d’acqua. Se si guarda poi agli eventi meteorologici estremi, resi sempre più frequenti proprio dal cambiamento climatico, si scopre che il 90% è water-related, nel senso che ha a che fare (in un modo o nell’altro) con l’acqua. Dal 1980 ad oggi, stima la Commissione europea, il solo costo delle alluvioni in Europa ha superato i 170 miliardi di euro.

Le leggi europee sull’acqua

È proprio per far fronte a situazioni come quelle appena descritte che l’Unione europea si è mossa con discreto anticipo – a differenza di quanto avvenuto con le politiche energetiche – per mettere a punto una propria strategia sull’acqua. La direttiva quadro sull’acqua risale al 2000 e impone a tutti gli Stati Ue di raggiungere il buono stato di tutti i corpi idrici superficiali e sotterranei entro il 2027. A quella direttiva hanno fatto seguito molti altri provvedimenti, come la direttiva sulle acque di balneazione (2007) e il regolamento sul riutilizzo dell’acqua (2020), che fissa alcuni standard minimi per l’uso in agricoltura delle acque reflue trattate. E a proposito di iniziative legislative europee sull’acqua, una delle più “antiche” risale addirittura al 1991. Si tratta della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane, una pratica su cui l’Italia ha sempre faticato ad adeguarsi agli standard europei.

I dati sull’Italia

Quando si parla di acqua, gli indicatori dell’Italia presentano luci e ombre. Sulla qualità delle acque di balneazione, per esempio, il nostro Paese presenta dati decisamente positivi. L’ultimo rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente, pubblicato lo scorso 28 maggio, dice che il 90,3% delle acque balneari italiane risponde a criteri di qualità «eccellente», il 5,7% è in condizioni «buone» e l’1,9% è «sufficiente». Soltanto l’1,3% dei campioni analizzati ha restituito una scarsa qualità dell’acqua. Un altro ambito su cui l’Italia può tirare un sospiro di sollievo è la gestione sostenibile delle risorse. Dal 2000 al 2019, stando ai dati della Commissione europea, il prelievo annuale di acqua – sia da fonti idriche superficiali che sotterranee – è sceso del 20%.

Accanto alle luci ci sono però anche le ombre. Il principale ostacolo per l’Italia a un uso corretto dell’acqua è l’annoso problema della dispersione idrica. Gli ultimi dati Istat dicono che il 42,4% dell’acqua potabile viene dispersa prima di arrivare al consumatore finale. L’acqua che ogni anno viene dispersa in Italia nelle reti di distribuzione potrebbe soddisfare le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un anno intero. L’altro storico problema dell’Italia su questo fronte è il trattamento delle acque reflue. Ad aprile 2024, il Parlamento europeo ha votato una nuova direttiva che rende le norme sulla raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane ancora più stringenti. L’Italia, però, non è mai riuscita a rispettare nemmeno gli standard stabiliti anni fa, con il risultato che ancora oggi paghiamo il conto delle procedure di infrazione aperte dalla Commissione europea.

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