In Colombia e Brasile la deforestazione dell’Amazzonia sta rapidamente calando

Lindipendente

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Grazie alle scelte politiche dei governi del Brasile e della Colombia prese lo scorso anno, la deforestazione dell’Amazzionia ha decisamente frenato il proprio passo. Le decisioni del governo del presidente Luiz Inácio Lula da Silva hanno infatti fatto registrare un calo del 36% nella perdita di foreste primarie nel 2023 (il livello più basso dal 2015), mentre in Colombia, sotto la presidenza di Gustavo Petro, la perdita di foreste primarie si è dimezzata (-49%) rispetto all’anno precedente. Dati simili dimostrano come la tutela dell’ambiente costituisca a tutti gli effetti una scelta politica praticabile, e come la decisione nel perseguire tali obiettivi possa portare, in un solo anno, a raggiungere risultati straordinari.

Nei primi 9 mesi del 2023, la deforestazione nella regione colombiana è crollata del 70% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando il trend era già in diminuzione rispetto al 2021 (-21%). Il governo di Gustavo Petro, insediatosi nel giugno del 2022, aveva fatto della tutela dell’ambiente uno dei punti cruciali del proprio programma politico sin dall’inizio. Tra le promesse di Petro vi era infatti lo stop a nuove esplorazioni di petrolio e gas, promossa e avvallata dai governi conservatori e filoamericani precedenti. Il dominio e lo sfruttamento della terra è d’altronde una questione cruciale nella politica interna colombiana, con il Paese che si colloca tra i primi al mondo per il numero di difensori dell’ambiente uccisi.

Anche in Brasile la deforestazione continua a scendere, nonostante la siccità dello scorso anno. Nel 2023, la superficie deforestata (circa 6 milioni di ettari) è stata del 36% inferiore a quella del 2022 (quasi dieci milioni di ettari). Da quando si è reinsediato al Palácio do Planalto, il presidente Lula ha posto la protezione dell’Amazzonia tra i punti fondanti dell’agenda di governo. Una rottura nei confronti dell’azione del presidente che lo aveva preceduto, Jair Bolsonaro, sotto il cui mandato (2019-2022) la deforestazione era aumentata del 75% rispetto alla media del decennio precedente, divenendo terra di conquista indiscriminata per industrie e progetti di ogni tipo. L’ex presidente aveva infatti addirittura abolito l’Agenzia incaricata di verificare il disboscamento, nonché approvato contestatissimi progetti tra cui la costruzione di un’autostrada all’interno della foresta. Lula da Silva, ha messo sotto protezione le foreste abitate da popolazioni indigene e ripreso il contrasto alle attività di frodo condotte nella foresta, riuscendo ad avviare un cambio di rotta, pur con alcuni punti oscuri nelle sue politiche, come l’appoggio alla contestata ferrovia della soia.

Pur trattandosi di coinquiste importanti, i risultati raggiunti da Brasile e Colombia sono stati bilanciati (in negativo) dall’aumento nella deforestazione in diversi Paesi, tra i quali la Bolivia, la Repubblica Democratica del Congo (RDC), il Laos e il Nicaragua. Importanti riduzioni delle dimensioni delle foreste sono stati registrati anche in Canada, a seguito degli spaventosi incendi che hanno interessato il Paese negli scorsi mesi. La Repubblica Democratica del Congo e la Bolivia sono i Paesi dove si sono registrate le perdite più estese a livello globale. La RDC, in particolare, ha perso oltre mezzo milione di ettari di foreste nel 2023, dato preoccupante se si considera che il bacino del Congo è l’ultimo grande carbon sink esistente, ovvero l’ultima grande foresta tropicale rimasta che assorbe più carbonio di quanto ne emette. In Bolivia, la perdita di foresta pluviale primaria ha raggiunto il massimo storico per il terzo anno consecutivo (+27% nel 2023): qui, oltre la metà della deforestazione registrata lo scorso anno è stata causata dagli incendi. Anche Laos e Nicaragua hanno registrato, nonostante le loro dimensioni ridotte, un tasso di perdita di foresta tropicale straordinariamente alto, dovuto soprattutto all’espansione agricola.

[di Valeria Casolaro]

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