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- Women in Action è un programma di accelerazione di LifeGate Way dedicato all’imprenditoria femminile.
- Tra le aziende sostenitrici del progetto c’è Barilla, per cui la parità di genere è uno degli asset fondamentali.
- Cinzia Bassi, direttrice dello stabilimento Barilla di Castiglione delle Stiviere, racconta il percorso che l’ha portata a diventare plant manager.
Restano ancora pochi giorni per candidarsi a Women in Action, il programma di accelerazione dedicato all’imprenditoria femminile sostenuto da LifeGate Way, l’ecosistema di startup sostenibili di LifeGate, insieme a Ventive, una società di investimenti e di consulenza che ha l’obiettivo di supportare startup e piccole e medie imprese innovative. Per accedere al programma è necessario superare la selezione che terminerà l’8 febbraio. Tra tutte le candidature, una giuria qualificata ne sceglierà 16 che parteciperanno al Women in Action day, ovvero la scrematura finale dalle quale emergeranno le cinque beneficiarie del programma di accelerazione: tre startup già esistenti, il migliore team di studentesse e il migliore team di neo-imprenditrici. I tre mesi durante i quali si articolerà l’iniziativa avranno come fine ultimo quello di accompagnare le donne nella crescita sostenibile della loro impresa, tanto aiutandole a perfezionare il loro business model quanto allenando le soft skills necessarie per emergere. Una delle aziende sponsor del programma è Barilla, società che ha da sempre avuto la parità di genere come suo asset fondamentale, come testimonia Cinzia Bassi, direttrice dello stabilimento di Castiglione delle Stiviere.
L’importanza delle soft skills e della leadership femminile
“Credo che le donne vadano sostenute soprattutto nelle soft skills, perché spesso e volentieri il senso di inadeguatezza è molto forte nel genere femminile: è insito nella nostra natura anche quando il contesto non ce lo chiede, diamo per scontato di dover dimostrare qualcosa in più”, ci racconta. Bassi è destinataria di molti CV e sostiene colloqui di lavoro periodicamente con chi si candida in Barilla: “Noi donne ci candidiamo per un ruolo nuovo solo se siamo certe al 100 per cento di avere i requisiti per poterlo ricoprire, magari un uomo ne ha il 50, ma ci prova lo stesso. A volte nel fare i colloqui noto una leggerezza maggiore nel genere maschile, leggerezza magari data dall’aver vissuto sempre in una condizione di privilegio. Mi capita molto spesso, a parità di CV, o a CV inferiori come esperienza, di notare come l’uomo sia più sicuro di sé. Credo quindi che questo genere di percorsi, di iniziative e di mentorship abbiano una grossa influenza anche solo sul farci percepire il reale valore di noi stesse. L’altra cosa su cui ritengo sia utile lavorare è lo stile di leadership: ognuno ha il suo e, secondo me, noi donne non dobbiamo cedere alla tentazione di scimmiottare quello degli uomini. La tentazione di mostrarsi con atteggiamenti maschili per essere riconosciute in quel ruolo purtroppo è ancora molto forte; evitare questi bias è il modo migliore per creare un mercato del lavoro più equo e inclusivo e per favorire l’occupazione femminile.
Cinzia Bassi, una carriera ai vertici di Barilla
Cinzia Bassi si è laureata in ingegneria meccanica nel 1999 e oggi, dopo 24 anni in azienda, è plant manager, ovvero direttrice dello stabilimento produttivo di Castiglione delle Stiviere dedicato a biscotti e cracker. Nell’universo dei prodotti Barilla viene considerato il fiore all’occhiello della bakery, ovvero di tutti i prodotti da forno (pasta e sughi fanno parte del settore “meal solution”). “Il pacco di Pan di stelle che compri al supermercato, ad esempio, è realizzato sotto la mia responsabilità. Supervisiono le 330 persone che lavorano nello stabilimento prendendomi cura della loro sicurezza, ma anche della qualità del prodotto e degli investimenti che devono essere programmati. A me riportano l’area tecnica, l’area qualità e tecnologia, l’area produzione e l’area magazzini e approvvigionamento materie prime, l’area sicurezza ambiente ed energia, l’area improvement e l’area risorse umane. Sotto ai vari responsabili poi ci sono i capi turno e gli operai, i magazzinieri e chi lavora nell’area tecnica”.
Un ruolo, quello di plant manager, arrivato al culmine di un percorso che l’ha vista fare scelte non convenzionali…
Alla fine degli anni Novanta Ingegneria meccanica, come tutte le altre facoltà Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) era veramente poco frequentata dalle ragazze. Mi ricordo che sull’autobus del campus tutte le ragazze scendevano a chimica, chimica farmaceutica o biologia; io ero una delle poche che arrivavano fino all’ultima fermata, ovvero ingegneria.
Crede che essere donna in un percorso di studi tradizionalmente maschile l’abbia in qualche modo discriminata?
A dire la verità non è stato un problema studiare con colleghi maschi. Mi ricordo però lo stupore di certi professori anziani che, al momento di scrivermi il voto sul libretto, mi chiedevano come mai avessi scelto ingegneria. Ecco, era da quelle situazioni che capivo di aver fatto una scelta per l’epoca inusuale, la stessa domanda non veniva mai posta ai colleghi maschi. Qualcuno addirittura aggiungeva: “Non lo sapeva che era difficile?”.
E una volta entrata in Barilla?
All’epoca l’azienda cercava uno stagista per fare un lavoro sulla manutenzione preventiva di una linea produttiva: sono ancora grata al collega che mi scelse, andando controtendenza. Devo dire che il mio percorso in azienda non ha risentito di nessun tipo di disparità di genere: sono stata la prima direttrice di stabilimento donna in Barilla ma sono stata, vent’anni fa, anche la prima responsabile di produzione donna in uno stabilimento del sud, a Melfi.
E com’è andata?
Mi sono ritrovata giovanissima a gestire nove capi turno uomini, senior sia per età che per esperienza. Diciamo che, sulla carta, non era una congiuntura astrale particolarmente favorevole, ma in realtà mi sono sempre sentita supportata dall’azienda. Lo stabilimento ha delle dinamiche particolari e chiaramente, per nove uomini, essere gestiti da una giovane ragazza del nord poteva presentare delle complessità. Però c’è sempre stata da parte di queste persone la capacità di avere molta fiducia nelle persone sopra di me che mi avevano affidato quel ruolo. Lo stabilimento, come organizzazione, è molto pragmatico: ragiona secondo lo schema del “O mi sei utile e funzioni, o non mi sei utile e ti isolo”. Questo accade a tutti i livelli gerarchici del plant, a prescindere dal genere.
Non hanno mai cercato di metterla in difficoltà?
Certamente tra quei nove capo turno uomini c’è stato chi mi ha voluta mettere in difficoltà, ma avrebbe fatto lo stesso con il neo ingegnere uomo. In quelle situazioni ti vogliono far pagare non tanto una differenza di genere, quanto un’inesperienza manageriale tout court.
In 24 anni ha visto un cambiamento rispetto alla presenza femminile in azienda?
Sì, soprattutto nelle prime linee dello stabilimento, quelle che riportano direttamente a me: vent’anni fa le donne in questa posizione erano prevalentemente nell’area delle risorse umane o nel mondo controllo qualità, magari perché forti di un background in biologia o scienze alimentari. Oggi gestisco un team dove ci sono quattro donne e, dei sei stabilimenti bakery Italia, ben tre sono gestiti da donne, mentre per dieci anni sono stata la sola direttrice di genere femminile.