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Nastaran e Yasaman Rezaee sono due sorelle dal background diverso, ingegnera una e architetta l’altra, in comune però hanno le radici iraniane e la voglia di lottare, anche tramite una collezione di moda. Pairi Daeza infatti è molto più di un brand: è una storia di coraggio e lotta inscritta nei ricami realizzati dagli ultimi degli ultimi, è voce che si alza contro un regime, è un ponte tra Italia e Iran che vuole creare consapevolezza e sensibilizzazione. Per anni Nastaran e Yasaman hanno provato con le loro competenze e con la loro passione a costruire qualcosa in Iran, ma poi si sono dovute arrendere e cercare di portare avanti quei valori altrove. Il loro marchio infatti è creato per una nuova generazione di sognatori, una generazione che alza la voce contro l’oppressione. Una generazione che è libera, anche rispetto ai ruoli di genere, che nei capi Pairi Daeza, che in persiano antico significa “giardino recintato”, sono interscambiabili.
“Il personale è politico” è uno slogan femminista degli anni Settanta: scritto per la prima volta dall’autrice e attivista Carol Hanisch si riferiva al fatto che i problemi che emergevano nei gruppi di autocoscienza femministi erano sì problemi personali, ma anche problemi della società. Se sei iraniano, secondo Nastaran, il solo fatto di esistere è un atto politico, così come lo è ogni tua azione. Ci sono state anche delle lacrime durante questa intervista, quelle che Nastaran non riesce a trattenere parlando delle violenze e dei soprusi subiti dalla sua gente: sono lacrime di rabbia sulle quali si appoggia tutto quello che queste sue sorelle fanno, ovvero un brand che fa politica attraverso il riscatto di tradizioni millenarie e portando in occidente un tassellino di consapevolezza in più. “Noi siamo nate e cresciute lì: tutto quello che abbiamo, dai valori alla famiglia, ce l’ha dato l’Iran, ma il governo è intenzionato a distruggere tutto. Nelle scuole, ad esempio, la diversità delle varie tribù non viene raccontata come una ricchezza, ma si cerca di alimentare l’astio tra le varie anime dello stato”, racconta Nastaran. “Nostra mamma era architetta e i nostri genitori sono sempre stati estremamente aperti e generosi nel lasciarci esplorare e scoprire con i nostri occhi quello che ci circondava”.
La vita in Iran e le origini di Pairi Daeza
E cosa avete scoperto con i vostri occhi?
Mia sorella Yasaman ha fatto diversi viaggi in Iran, durante i quali ha potuto scoprire questi artigiani emarginati che vivono sotto la soglia di povertà pur realizzando delle lavorazioni a mano incredibili. Lavorazioni che oltretutto rischiano di non venire più tramandate perché realizzate da tribù che sono molto oppresse, perché non hanno neanche il diritto di avere una carta d’identità e non vanno a scuola. Yasaman ha dedicato diversi anni della sua vita a cercare queste tribù, per lavorare con loro e creare un network. Abbiamo iniziato questo progetto nel 2015, ad un livello sperimentale: volevamo capire come poter essere in grado di integrare le personalità di ogni lavoratore nell’industria moderna. All’inizio era un esperimento, poi un anno prima del movimento Women, life, freedom poi abbiamo deciso di lanciarlo in tutto il mondo, con e-commerce e con un partner commerciale.
Com’era la vostra vira in Iran?
Noi siamo nate sotto Ali Khamenei sotto questo governo dittatore, non abbiamo mai visto i tempi di Shah, di quando l’Iran era una monarchia. Nelle scuole che abbiamo frequentato ti veniva fatto il lavaggio del cervello sull’Islam. Fortunatamente la generazione dei nostri genitori, cresciuta sotto Shah, che era pur sempre un dittatore ma niente di paragonabile a Khamenei, ecco loro ci hanno aiutato ad avere una visione più aperta rispetto a quella che ci veniva insegnata a scuola. A casa ci veniva detto tutto l’opposto di quello che ascoltavamo in aula, perché noi potessimo avere una visione sana della realtà.
Il personale è politico
Quindi c’è anche uno statement politico dietro a Pairi Daeza?
Essendo iraniani il solo fatto di esistere come essere umano è un atto politico. Una parte ha talmente la colpa e l’altra ha talmente ragione che è una questione che va oltre la politica: è un tema di diritti umani. Il governo non è seguito da nessuno tranne da chi fa parte della mafia, che dal governo viene foraggiata, ed è un dovere di tutti contrastarlo con ogni mezzo.
Praticamente come si articola la vostra forma di lotta?
Diamo un aiuto materiale alle comunità di artigiani in difficoltà, ma il nostro è anche un messaggio di sensibilizzazione. Alcuni degli artigiani con cui lavoriamo vivono veramente in situazioni lesive dei diritti della persona: immagina di non avere una carta d’identità, un documento, tu non esisti, non sei un cittadino. I numeri dei morti in Iran che voi sentite sono solo quelli che sono stati riconosciuti, perché hanno dei documenti, immagina tutti quelli che non ce l’hanno e vengono uccisi, nessuno lo sa al di fuori del paese. Far sentire la nostra voce certamente è un atto di coraggio, ma anche di amore verso la nostra terra.
Il movimento Women, life, freedom, di cui fate parte, è una grande speranza per l’Iran…
Le donne sono veramente la parte più coraggiosa della nostra società. Da quando c’è Khomeini al potere ha iniziato a cancellare tutti i diritti delle donne, e noi da subito siamo scese in piazza. Il mondo lo sta scoprendo solo adesso perché adesso anche gli uomini hanno capito che se tu rimani zitto quando rubano i diritti di altri, allora sarai il prossimo a perdere i tuoi. Ora siamo più forti perché abbiamo anche gli uomini dalla nostra parte e le nuove generazioni, attraverso i social network, hanno finalmente fatto uscire la nostra voce dal paese. Il coraggio è contagioso: se tu vedi qualcuno che lotta contro un’ingiustizia, poi non riesci a stare zitto.
Avete mai paura?
Il rischio per noi esiste sempre: i nostri genitori abitano ancora lì, come i nostri parenti. In più adesso che ci siamo esposte così non possiamo più tornare, perché probabilmente ci arresterebbero in aeroporto. È una sofferenza da due lati: dal punto di vista del resto del mondo, che non sempre capisce che noi non c’entriamo nulla con il nostro governo, e dal lato del nostro governo, che è un governo terrorista e che ha cancellato tutti i nostri sogni.
L’impegno di Pairi Daeza per la sostenibilità
Come avete iniziato qui in Italia?
Inizialmente abbiamo aperto la partita Iva, dal 2022 siamo registrate come società Benefit, perché per noi l’obiettivo è quello di conciliare le nostre esigenze economiche con quelle economiche e sociali delle comunità con le quali lavoriamo.
Parliamo di prezzi: una delle critiche che viene mossa ai brand sostenibili di alta gamma è che costino troppo…
Noi dobbiamo per prima cosa corrispondere una paga equa ai nostri lavoratori. Abbiamo un obiettivo grande, ma dobbiamo avere una nostra sostenibilità economica per riuscire a raggiungerlo, quindi ecco giustificati i nostri prezzi. Per quanto riguarda i tessuti collaboriamo con un brand di tessuti deadstock di altissima qualità e certificati, perciò noi, affidandoci a lui, siamo certe che i materiali provengano realmente da rimanenze di magazzino e che sono di una qualità altissima ma, lavorando con volumi molto bassi, è ovvio che il produttore non può abbassare il prezzo. Non sfruttando l’economia di scala paghiamo tutti i tessuti come se fossero campioni. Però se non vuoi incorrere nel rischio di una sovrapproduzione devi comprare poco materiale, e meno ne compri e più lo paghi, funziona così. La maggior parte della nostra produzione è Made in Italy, ma le lavorazioni a mano sono gestite appunto in Iran, e i costi di questa gestione sono altissimi. Non è facile, me ne rendo conto, ma se uno vuole comprare una cosa veramente sostenibile i prezzi sono quelli. La nostra filosofia è quella di offrire capi di altissima qualità, con una storia e un impegno politico, non possiamo farli pagare di meno. Comprando i nostri capi però non compri solamente abbigliamento, ma contribuisci a una storia di speranza.