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«In Romagna e a Derna tutti sapevano cosa sarebbe successo, ma non si è intervenuto», è Guido Bertolaso, assessore al Welfare della Lombardia e per anni responsabile della Protezione civile a ipotizzare il cortocircuito nella gestione del cambiamento climatico. I mezzi di oggi ci forniscono dati e previsioni sempre più aggiornate, c’è la volontà di cambiare ma non c’è una strategia. Questa è la panoramica che emerge dal panel “Questo clima ci uccide: gli effetti del cambiamento climatico sulla nostra salute” moderato da Antonio Di Noto e Gianluca Brambilla. Le politiche da adottare non sono comunicate e strutturate in modo da poter essere accettate dalla comunità. Sostenibilità climatica ed economica devono andare di pari passo, ma sono le istituzioni che devono gestire questo equilibrio, altrimenti la politica perde la partita più importante, quella della fiducia dei cittadini: «Credibilità e autorevolezza sono gli unici due valori che un politico deve avere, non so quanti politici li abbiano oggi in Italia», sostiene Bertolaso.
I casi di Derna e Romagna
Tutti sapevano cosa sarebbe successo, le previsioni erano accurate: «Che a Derna ci sarebbe stata una catastrofe c’era una certezza del 70% sette giorni prima, 100% il giorno prima. Nessuno ha avvisato, questo ormai non si fa più. Anche in Romagna c’era allerta, ma ormai oggi c’è l’alibi del bollino rosso. Dopo il disastro c’è subito la corsa al “te l’avevo detto, siete stati voi che non vi siete mossi”. Bisogna tornare a lavorare giorno e notte, organizzare il più grande sistema nazionale che esiste, vigili, protezione civile, sindaci, croce rossa, un mondo straordinario che se non è diretto non porterà ai risultati che servono ai cittadini». E poi l’affondo alla politica e al sistema perverso di gestione di infrastrutture centrali per il Paese: «Che il Ponte Morandi sarebbe crollato i documenti lo riportano. Nessuno ha avuto il coraggio di dirlo perché non avrebbe saputo come dimostrarlo, sarebbe stato accusato per danno erariale. Pensate cosa sarebbe successo se qualcuno avesse lanciato l’allarme».
Cosa possiamo fare
Due dati per inquadrare il problema: 18mila morti nel 2022 sono attribuite al caldo (Nature Medicine); tra 2030 e 2050 saranno 250mila i morti ogni anno, secondo stime Oms. Come sostiene Alessandro Miani, medico e presidente Soc Italiana di Medicina ambientale (Sima), soluzioni e azioni per attenuare il nostro impatto climatico esistono di già: «La vera sfida della salute si giocherà nelle città, nel 2050 il 70% della popolazione vivrà in grandi agglomerati urbani. Se utilizzassimo il verde nel 40% della superficie complessiva delle città potremmo abbattere le temperature al suolo di 8-12 gradi. Con il 30% avremmo una riduzione della mortalità totale del 2%. Se un cittadino su quattro si spostasse in bicicletta, la mortalità diminuirebbe di 10mila individui all’anno». Ma senza verde come si può attenuare l’impronta umana sull’ambiente? Diversi sono gli esperimenti in corso in giro per il mondo: asfalti di colore chiaro e drenanti, ma si possono anche impiegare i “tetti verdi” che riducono le temperature in casa fino a tre gradi.
Politica e comunicazione, al servizio della transizione
Per cambiare passo però è anche cruciale il dialogo tra politica e comunità, sostiene Serena Giacomin climatologa e presidente dell’Italian Climate Network: «Ciascun cittadino avrebbe il diritto di ricevere una comunicazione molto più ordinata e che spieghi come sia opportuno comportarsi in situazioni di rischio. La comunicazione dovrebbe essere orientata a questo, diventare un servizio rispetto a queste tematiche, senza alimentare una polarizzazione che non può esistere nella verità scientifica». La comunicazione serve anche per spiegare la necessità di determinati interventi e politiche climatiche, senza di questa i cittadini troveranno sempre più difficile adattarsi ai sacrifici economici, con i corrispettivi guadagni, di cui la transizione avrà bisogno.