Una nevicata non fa un ghiacciaio. Come stanno i ghiacciai italiani delle Alpi

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I ghiacciai italiani sulle Alpi hanno registrato abbondanti accumuli nevosi. Ma come si inserisce questa stagione in un quadro climatico più ampio?

“Dopo la grande siccità, ghiacciai da record. Mai così abbondanti da vent’anni”. Hanno titolato così alcuni quotidiani italiani a inizio luglio dopo che le misurazioni di Arpa (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) di Valle d’Aosta, Piemonte e Lombardia hanno segnalato abbondanti accumuli nevosi sui ghiacciai dell’arco alpino italiano nella stagione primaverile 2024. Ma, al contrario di quei titoli, non possiamo dire che i ghiacciai ora stiano bene.

Gli accumuli nevosi sui ghiacciai italiani delle Alpi

Gli ultimi mesi, in particolare il tardo inverno e l’inizio della primavera, sono stati ricchi di precipitazioni che si sono protratte fino a maggio inoltrato, permettendo al manto nevoso di mantenersi anche a inizio estate. Si parla dunque di abbondanza di neve, non di ghiaccio.

Ad esempio, i dati raccolti da Arpa Valle d’Aosta con il dipartimento Diati del Politecnico di Torino, mostrano che gli accumuli nevosi (misurati in accumulo di acqua nella neve) sul ghiacciaio del Rutor, nel Vallone di La Thuile, sono i secondi maggiori nell’arco degli ultimi vent’anni, di poco inferiori al record del 2013. Anche quelli raccolti da Arpa con il Parco nazionale del Gran Paradiso sul ghiacciaio del Timorion mostrano che l’accumulo nevoso di quest’anno ha superato del 30 per cento l’ultimo record registrato nel 2013, ed è stato di tre volte superiore rispetto a quello registrato nell’inverno 2022-2023.

Gli anni 2022 e 2023 sono infatti stati caratterizzati da lunghi periodi senza precipitazioni sulle Alpi e da temperature ben oltre la media con lo zero termico ad altitudini mai raggiunte, che hanno contribuito ad aggravare la siccità che già persisteva anche dai mesi invernali e ad accelerare la fusione del ghiaccio. I dati di quest’anno relativi agli accumuli nevosi sono quindi positivi, e ci danno respiro anche in termini di risorse idriche, perché sono riserve che hanno capacità di rilascio graduale. Ma bisogna considerare il quadro più ampio in cui si inseriscono: non possiamo giudicare l’andamento e il benessere di un ghiacciaio da una singola stagione.

Una nevicata non fa un ghiacciaio

“Dobbiamo fare una distinzione tra l’immagine istantanea di oggi e un’immagine che invece consideri un intervallo di tempo un più lungo, un trend”, inizia a spiegarci Giovanni Baccolo, ricercatore all’Università Roma Tre su ghiacciai, ambiente e clima e membro del Comitato glaciologico italiano, con cui abbiamo parlato della questione. “L’immagine istantanea ci mostra che una parte dei ghiacciai alpini è ancora ricoperta di neve, ormai a luglio avanzato. L’anno scorso invece il ghiaccio era scoperto e cominciava a fondere addirittura già da fine maggio. Quindi sicuramente le cose vanno meglio”.

Le misurazioni dell'altezza del manto nevoso sui ghiacciai italiani. Ghiacciaio del Rutor, in Valle d'Aosta, a fine maggio 2024
Le misurazioni dell’altezza del manto nevoso sul ghiacciaio del Rutor, in Valle d’Aosta, a fine maggio 2024 © Arpa VDA

Quest’anno, infatti, il ghiaccio è rimasto coperto dalla neve e, non ricevendo direttamente la luce solare, si è ritardato il momento della stagione in cui inizia a fondere. “In un certo senso la neve che si accumula si sacrifica al posto del ghiaccio: è questa che dovrebbe fondere per prima, il ghiaccio lo deve fare solo alla fine della stagione. Per cui sicuramente quest’anno è positivo”, continua Baccolo. “Però se mettiamo questa istantanea in un album di fotografie che mostrano l’andamento dei ghiacciai negli ultimi decenni non possiamo certo dire che le cose stiano andando bene, o che questa stagione in termini di accumuli nevosi può aver in qualche modo risolto il problema del ritiro dei ghiacciai, perché una singola stagione non è in grado di influenzare il comportamento di un ghiacciaio, ci vogliono tante annate di seguito per generare una risposta”.

Come funziona un ghiacciaio

Il comportamento di un ghiacciaio, infatti, si sviluppa in un periodo lungo di tempo. Per comprendere il ruolo delle precipitazioni nevose, come quelle nell’istantanea che abbiamo appena scattato, rispetto al ghiacciaio, dobbiamo fare un passo indietro e capire il funzionamento di quest’ultimo. “Per essere definito tale, un ghiacciaio deve produrre nuovo ghiaccio ogni anno”, ci spiega Giovanni Baccolo. “Questo vuol dire che deve essere capace di conservare almeno una minima quantità della neve che si accumula sulla superficie d’inverno, che va a creare nuovo ghiaccio anno dopo anno. Se osserviamo un ghiacciaio a fine estate e non vediamo neve, ma ghiaccio sporco e nero, significa che il ghiacciaio non può più produrre nuovo ghiaccio, è quindi un fossile. La cosa fondamentale è perciò la presenza della neve alla fine dell’estate, che genera la produzione di nuovo ghiaccio, e che a sua volta inizia automaticamente un flusso: il nuovo ghiaccio prodotto in quota deve essere trasportato a valle, con un movimento verso il basso. Se invece non viene più prodotto nuovo ghiaccio, il flusso rallenta, fino a diventare immobile. A quel punto non è più nemmeno definibile ghiacciaio perché una placca di ghiaccio senza dinamica viene definita glacionevato”.

Il confronto dell'estensione del ghiacciaio della Marmolada, nelle Dolomiti, nel corso di un secolo © Giovanni Baccolo
Il confronto dell’estensione del ghiacciaio della Marmolada, nelle Dolomiti, nel corso di un secolo © Giovanni Baccolo

Come stanno i ghiacciai italiani

Quanto sia importante il contesto globale, e non solo quello locale, ce lo fa capire l’ennesimo record che abbiamo registrato a giugno 2024: è stato il giugno più caldo di sempre, è il tredicesimo mese consecutivo di record di temperature, e il dodicesimo di fila con un aumento di temperatura di oltre 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. I ghiacciai italiani si inseriscono proprio in questo contesto. Anzi, come ci ricorda Baccolo: “Le Alpi non solo stanno seguendo il trend dell’aumento delle temperature, lo stanno anche superando. Si scaldano di più rispetto alla media del pianeta, con un aumento di 2 gradi di temperatura rispetto al periodo preindustriale, mentre la media planetaria è 1,5. I ghiacciai più bassi, poi, oggi non hanno ancora fatto in tempo ad andare in equilibrio con il clima. Per questo io li chiamo fossili climatici: si muovono solo per inerzia, ma da un punto vista climatico e glaciologico dovrebbero essere scomparsi, perché non sanno più come fare il ghiaccio nuovo”.

Non a caso, le Alpi, come l’Europa nella sua totalità, sono considerati hotspot per i cambiamenti climatici, cioè aree particolarmente sensibili ai loro effetti. E gli ultimi due anni sono stati una dimostrazione. “Sono stati i peggiori di sempre da quando abbiamo iniziato le misurazioni”, continua Baccolo. “La perdita di massa dei ghiacciai è stata enorme, il bilancio più negativo di sempre, tanto che gli scienziati hanno dovuto aggiornare le assi dei grafici per far stare dentro questi due anni. Sulle Alpi svizzere tra il 2022 e il 2023 è stato perso il 10 per cento di tutto il ghiaccio, e questo dato ci fa capire cosa è successo anche sugli altri settori alpini, compresi quelli dei ghiacciai italiani”.

Ghiacciaio di Fellaria
Il ghiacciaio di Fellaria secondo il Servizio glaciologico lombardo si è ritirato di 25 metri negli ultimi 4 anni © Getty images

“Se devo pensare al futuro, penso proprio all’estate del 2022, quella del crollo della Marmolada, che è stata molto violenta da un punto di vista climatico per le Alpi”, racconta Baccolo. “Zero termico sopra i 4.000 metri, in alcuni eventi sopra i 5.000 metri: praticamente in quei giorni tutto il ghiaccio presente sulle Alpi stava fondendo, come sulla cima del monte Bianco. In certi termini quell’estate può anticipare le estati tipiche che ci possiamo aspettare nei prossimi decenni”. Seguendo questo trend, infatti, sono destinati a sparire tutti i ghiacciai al di sotto dei 3.500 metri entro la fine del secolo.

Per i ghiacciai, non tutto è perduto

Quello che sappiamo, però, è che si può ancora fare qualcosa. Anzi, una cosa precisa: ridurre le emissioni. I modelli dicono infatti che entro fine secolo, a seconda di quanto riusciremo a ridurre le emissioni, potremmo avere diversi scenari. Se riusciremo a rispettare l’Accordo di Parigi, limitando l’aumento della temperatura media globale entro gli 1,5 gradi, tra il 30 e il 40 per cento del ghiaccio che c’era nel 2015 sopravviverà entro la fine del secolo. “L’unica soluzione è ridurre le emissioni”, conferma Baccolo. “In questo modo abbiamo visto che sulle Alpi salveremmo una porzione rilevante del ghiaccio. Magari sembra poco, però in realtà ci sono altre zone del pianeta dove l’Accordo di Parigi permetterebbe di salvare una quantità ancora maggiore di ghiaccio. Non possiamo aspettarci che i ghiacciai tornino alle condizioni che c’erano qualche decennio fa, però dovremmo cercare assolutamente di limitare i danni e la scienza ci dice che non è ancora troppo tardi per farlo, seppur il tempo a disposizione diventa sempre minore”.

Il monte Bianco © BlueRed/REDA&CO/Universal Images Group via Getty Images

Proprio per questo motivo è essenziale una corretta informazione e divulgazione sulla situazione dei ghiacciai e, soprattutto, sul quadro più ampio della situazione climatica. Un equilibrio non scontato, ma essenziale affinché ci si concentri sulle azioni necessarie per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, senza esagerare negli allarmismi e senza cadere nelle semplificazioni. “Credo che i ghiacciai abbiano avuto una parte importante nell’aiutare le persone a conoscere questi temi e soprattutto a vedere con i propri occhi gli effetti dei cambiamenti climatici: l’arretramento dei ghiacciai e la loro scomparsa è un’immagine tra le più potenti”, conclude Baccolo. “Però bisogna anche cercare di dare degli spunti sulle possibilità che abbiamo, siano l’adattamento o la mitigazione, i due modi che abbiamo di limitare i danni dei cambiamenti climatici. Dobbiamo raccontare cosa sta succedendo ma anche spingere sulla divulgazione di cosa possiamo fare per garantire i minori danni possibili sia per i sistemi naturali che per le nostre civiltà”.

I ghiacciai di tutto il mondo, non solo delle Alpi, contengono più del 60 per cento di tutta l’acqua dolce del nostro Pianeta. Da loro dipendono intere comunità, habitat, ecosistemi, e parte del nostro futuro. Conoscerli e sapere il loro stato di salute ci dà più consapevolezza per preservare almeno parte di queste immense masse di ghiaccio che racchiudono storie di un tempo difficile da immaginare. Non a caso percepiamo una sensazione di impotenza quando ci troviamo al loro cospetto. Una sensazione che dobbiamo continuare a percepire davanti alla loro maestosità.

I ghiacciai sono un mondo diverso da quello di tutti i giorni. Le regole e i processi che avvengono qui sono unici, è come entrare in un altro pianeta temporaneamente, ma portata di mano. Sono una scheggia di un mondo diverso che è rimasto intrappolato sulla Terra.

Giovanni Baccolo, glaciologo

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