Transizione ecologica, l’altra faccia della medaglia: l’Italia agli ultimi posti in Europa per il riciclo dei rifiuti elettronici

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Il nostro Paese fatica a recuperare le materie prime utili alla transizione ecologica: i problemi, più che negli impianti di riciclo, sono in fase di raccolta

Di tutte le classifiche europee ce n’è una su cui l’Italia si è sempre sentita al sicuro: l’economia circolare. Da anni il nostro Paese guida le graduatorie dei 27 Stati Ue. Nel 2020, il tasso di riciclo dei rifiuti in Italia è stato dell’83,2%, a fronte di una media europea del 39,2%. Stesso discorso anche per quanto riguarda la circolarità dei materiali, ossia la quantità di materie prime recuperate e poi reimmesse nell’economia: il nostro Paese si è piazzato al secondo posto (dopo la Francia) con il 21,6%, un dato anche in questo caso ben al di sopra della media europea (12,8%). Eppure, ci sono alcuni comparti dell’industria del riciclo su cui l’Italia non è affatto leader in Europa. È il caso dei Raee (Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche): elettrodomestici, computer, smartphone, pannelli fotovoltaici, dispositivi medici e non solo. Per questa tipologia di rifiuti, l’Italia si trova al quartultimo posto in Europa con un tasso di riciclo del 32,1%.

Tutti questi dispositivi contengono grandi quantità di materie prime critiche, ritenute fondamentali per la transizione ecologica. Ad oggi però gran parte di questi materiali viene sprecata. Il passaggio alle fonti rinnovabili e l’elettrificazione dei trasporti richiederanno quantità sempre maggiori di materie prime critiche, a partire da litio e terre rare. Ed è per questo il governo ha istituito un tavolo di lavoro per scovare eventuali giacimenti sotto il suolo italiano. Gli esperti avvertono che il potenziale geologico dell’Italia è molto limitato e suggeriscono un’altra soluzione: investire sul riciclo. Secondo Cassa depositi e prestiti, partecipata del ministero dell’Economia, l’Ue importa l’80% delle materie prime critiche che consuma. Solo tramite il riciclo, sottolinea il report di Cdp, si potrebbe soddisfare il 52% della domanda di litio e il 58% di quella di cobalto.

La raccolta dei Raee e la scomparsa dei «grandi bianchi»

Per non minare le basi della transizione ecologica l’Italia deve investire sul riciclo dei Raee. E per farlo serve innanzitutto recuperare il ritardo accumulato. In termini assoluti, i rifiuti trattati sono sempre di più: nel 2021 l’Italia ha gestito 510.367 tonnellate di Raee, il 6,6% in più rispetto al 2020. Gli obiettivi europei, però, si basano sulla percentuale di rifiuti che vengono trattati rispetto a quanto immesso sul mercato nel triennio precedente. E negli ultimi anni l’immesso di Raee è cresciuto a ritmi molto superiori rispetto al tasso di raccolta, allontanando l’Italia dagli obiettivi europei. Nel 2019, l’Italia ha raccolto il 39% dei Raee immessi, nel 2021 il dato è sceso al 34%. «Ad oggi stiamo raccogliendo circa la metà di quanto ci chiede l’Unione europea, abbiamo ancora tanta strada da fare», ammette Fabrizio Longoni, direttore generale del Centro di coordinamento Raee.

Eppure, in Italia gli impianti per il recupero dei rifiuti elettronici ci sono eccome: il CdC ne ha accreditati 46, per un totale di 135 linee di produzione. Il problema sta nella raccolta. «Faccio un esempio: per ogni lavatrice c’è l’obbligo di recuperare fino all’80% del peso originale del prodotto. Una parte consistente di Raee sparisce proprio per questo motivo: si preferisce classificare i rifiuti in un altro modo e non avere obblighi», spiega Longoni. Questo fenomeno è legato soprattutto ai «grandi bianchi», ossia lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi e simili. «Capita che le aziende di distribuzione ritirino dal cliente l’elettrodomestico non funzionante e non lo classifichino nel modo corretto, monetizzando da questo processo. Fermando questi flussi paralleli, potremmo colmare buona parte del gap con il resto d’Europa».

Per i rifiuti elettronici più piccoli il problema sta nella dispersione. È il caso dei cellulari o dei dispositivi portatili, che in alcuni casi finiscono nella raccolta indifferenziata. Per far fronte a questi problemi – flussi paralleli e dispersione – le aziende del settore del riciclo propongono due soluzioni. «La prima strada, finora mai praticata, è quella di aumentare i controlli. Chi non attribuisce il codice giusto a un rifiuto, e lo fa di proposito, sta commettendo un reato», ricorda Longoni. La seconda soluzione, secondo il direttore del Centro di coordinamento Raee, è investire sulla sensibilizzazione dei cittadini: «Più si rendono consapevoli i consumatori, maggiore è la probabilità che i rifiuti vengano smaltiti in modo corretto. Questa attività spetta da normativa ai comuni e alle società che gestiscono la raccolta».

La spinta europea per il riciclo delle batterie

Assieme ai Raee c’è un altro gruppo di rifiuti ricco di materie prime critiche: le batterie e gli accumulatori. Anche qui la situazione è simile: i dati italiani sono sotto la media europea e i problemi sono soprattutto nella fase di raccolta. «Dal punto di vista dell’efficienza gli impianti italiani sono tra i primi al mondo. Come si dice in alcune zone d’Italia, riusciamo a cavare il sangue dalle rape», sottolinea Luca Tepsich, segretario generale del Centro di coordinamento nazionale pile e accumulatori (Cdcnpa). Con la sigla “pile e accumulatori” si distinguono in realtà tre tipologie di rifiuti: le pile portatili, le batterie per avviamento veicoli e le batterie industriali. Ad oggi, le norme europee prevedono vincoli solo per le pile portatili: il tasso di raccolta minimo è fissato al 45%, ma nel 2021 l’Italia si è fermata al 35%.

Al di là di poche eccezioni, non esistono impianti di recupero per batterie e accumulatori in Italia. «Storicamente abbiamo sempre avuto impianti per le batterie al piombo, ma per tutte le altre tipologie di batteria non esistono flussi non sono tali da giustificare un impianto nazionale. Spagna, Francia e Germania fanno da collettori per tutta Europa», spiega Tepsich. Le cose però stanno per cambiare. Grazie ai fondi europei, anche in Italia si sta lavorando all’apertura dei primi impianti di riciclo per le batterie elettriche. Il progetto in stato più avanzato  è quello di EnelX e Midac, azienda italiana leader nella produzione di sistemi di accumulo, che realizzeranno il primo impianto italiano per il riciclo delle batterie al litio. «Con la mobilità elettrica l’immesso di batterie nel mercato sta crescendo in modo esponenziale e tra 10/15 anni dovranno essere smaltite – sottolinea Tepsich –. La logica è questa: creare adesso gli impianti per farci trovare pronti».

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