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REGGIO EMILIA – Un antico istituto giuridico che affonda le sue radici nel passato, riattualizzato per vincere le sfide ambientali del futuro. Ci crede il Parco nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano che agli “usi civici” (chiamati nelle regioni d’Italia con diversi nomi come “quadri”, “regole”, “comunaglie” e “patriziati”) e alla loro valorizzazione, ha dedicato ieri un convegno a Cerreto Laghi, partecipato da una settantina di amministratori e cittadini interessati. Le origini degli usi civici risalgono all’epoca medievale, quando molte terre erano gestite e utilizzate insieme da intere comunità. Con il passare del tempo, le proprietà sono state spesso divise tra privati, ma i diritti di utilizzo e di accesso alle risorse naturali presenti –come boschi per la raccolta di legna e funghi, pascoli e torrenti– sono rimasti in capo ai cosiddetti “domini collettivi”, che gestiscono dei beni comuni. E il Parco nazionale ha scommesso sul loro potenziale per favorire la conservazione ambientale e l’adattamento ai cambiamenti climatici -tema oggi di estrema attualità- puntando sulle pratiche agricole tradizionali previste dagli usi civici, che limitano lo sfruttamento eccessivo delle risorse.
La collaborazione tra l’ente e alcune di queste proprietà “condivise” si è del resto già concretizzata nel progetto dei crediti di sostenibilità, che vede il suo cuore proprio nella gestione virtuosa dei territori da parte degli usi civici, che porta alla generazione di servizi ecosistemici (legna da ardere, ma anche laminazione delle acque, tutela della biodiversità e miglioramento del rischio idrogeologico) a loro volta venduti alle aziende che intendono compensare le proprie emissioni di Co2.
Come spiegato introducendo i lavori dal direttore del Parco nazionale Giuseppe Vignali l’ente ha poi lanciato di recente una convenzione in cui “con il ruolo di coordinamento” ha coinvolto 43 usi civici che insistono nel suo territorio in attività ambientali coordinate e condivise. Inoltre, spiega Vignali, “16 di questi hanno già fatto un passo avanti e iniziato a vendere dei servizi ecosistemici”. A mettere ordine nella normativa che riguarda gli usi civici (la legge del 1927 che voleva abolirli fallì il tentativo e anzi li rafforzò) è stata poi una legge del 2017. A spiegarla alla platea è stato Giorgio Pagliari ex senatore di Parma e giurista che è riuscito a “portarla a casa”, regolando così per la prima volta queste realtà considerate “esistenti” e cioè di cui si poteva solo prenderne atto senza modificarli in alcun modo. Per prima cosa, spiega Pagliari, “agli usi civici è stato riconosciuto lo status di personalità giuridica di diritto privato, cosa che ha sancito la loro completa autonomia nella gestione dei beni collettivi, che prima venivano in molti casi sfruttati dai Comuni come se fossero beni pubblici“. In secondo luogo la norma ha stabilito su quali beni gli usi civici hanno potestà (boschi, torrenti e perfino cave di marmo) introducendo un nuovo tipo di proprietà “privata”, nel senso che, dice ancora Pagliari, “si tratta di beni che appartengono a tutti i membri di una comunità e a nessuno in particolare, dunque non possono essere alienati, divisi e snaturati della loro funzione”.
L’articolo 9 della legge del 2017, dice sempre il suo padre putativo, “sancisce la consacrazione dei domini collettivi nella funzione di tutela dell’ambiente”. E infine “c’è l’obbligo per la generazione che gestisce i beni di migliorarli, non distruggerli e conservarli per chi verrà dopo”.
Secondo Pagliari però, “la legge ha dato gli strumenti, ma quello che serve è una gestione attiva e propositiva degli usi civici per lo sviluppo dei territori“. Anche per Annalisa Folloni, sindaco di Flattiera (in Lunigiana) e presidente della Comunità del Parco dell’appennino tosco emiliano, “l’aspetto fondamentale degli usi civici è la loro capacità di conservazione delle risorse”, mentre per Raffaella Mariani, vicepresidente del Parco e sindaco di un Comune della Garfagnana, “sono istituti molto attuali e mi sembra molto interessante che la loro storia ultracentenaria sia declinata nel dibattito sulla messa in discussione dei beni comuni, in chiave di sviluppo dei territori e delle comunità”.
Annibale Salsa, antropologo e presidente del comitato scientifico della scuola per il governo del territorio e del paesaggio di Trento, rimarca come gli usi civici, oltre a poter contrastare lo spopolamento della montagna, sono portatori di “un’etica morale e ambientale” perché “promuovono un determinato modello di relazioni sociali”. Dal punto di vista paesaggistico, aggiunge Salsa, “la tutela dal basso di un bene di tutti in forma partecipata è il vero concetto fondamentale della sostenibilità”.
All’incontro erano presenti tra gli altri Alessandro Zampolini, presidente dell’uso civico di Cerreto; Elio Ivo Sassi, presidente dell’Unione montana dell’Appennino reggiano e delegato della Provincia di Reggio Emilia e il sindaco del Comune di Fivizzano, in Toscana, Gianluca Giannetti. Il clima dell’incontro si è scaldato verso la fine quando il “padrone di casa”, il sindaco del Comune di Ventasso, Enrico Ferretti, ha esibito un parere della Regione secondo cui i Comuni possono rappresentare gli usi civici, dove non lo faccia nessuno. Un fatto definito “ex lege” dal tavolo dei relatori, che ha invitato l’ente regionale ad adeguarsi alle nuove normative.
Concludendo i lavori il presidente del Parco nazionale, Fausto Giovannelli, è tornato a parlare dei crediti di sostenibilità, rimarcando infine di nuovo la “responsabilità” degli usi civici nella gestione dei territori.