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Nel 2022 il 98% delle persone residenti in Europa ha vissuto in aree con una concentrazione di particolato fine – una combinazione di piccolissime particelle solide e liquide di diversi materiali e inquinanti, comunemente abbreviato come PM 2.5 – superiore al limite fissato dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS). I livelli di inquinamento sono risultati particolarmente gravi in alcune parti d’Europa, comprese alcune regioni italiane. Il 73% di chi abita il nostro Paese, infatti, vive nelle 58 città in cui dall’inizio del 2023 – da gennaio ad agosto – la concentrazione di polveri sottili ha superato i limiti suggeriti dall’OMS, pari a cinque microgrammi per metro cubo d’aria – mentre le nuove norme europee sulla qualità dell’aria consentirebbero una concentrazione media annua di 10 microgrammi a partire dal 2035.
Secondo lo studio, basato sui monitoraggi atmosferici di Copernicus e promosso dal quotidiano tedesco Deutsche Welle, in collaborazione con lo European data journalism network, è il Nord Italia a detenere il primato, sul nostro territorio, per qualità dell’aria costantemente pessima. I ricercatori dicono che la concentrazione media giornaliera di PM 2,5 in città come Milano, Padova e Verona ha superato i 75 microgrammi (µg) per metro cubo (m3).
The Po Valley in Italy, one of the most polluted regions in Europe, as seen from space today.
And it just keeps getting worse. pic.twitter.com/Btgetzir98
— Nahel Belgherze (@WxNB_) October 2, 2023
Parte della colpa è dovuta alla conformazione del territorio: la regione è ‘soffocata’ dalle montagne che la circondano e che intrappolano nell’area l’inquinamento creato dal traffico, dall’industria, dalle emissioni agricole e dal riscaldamento residenziale. C’entrano però – e soprattutto – anche motivi politici. Basti pensare che quasi tutte le regioni del Nord Italia hanno dichiarato guerra alle istituzioni europee in relazione ai nuovi e più stringenti vincoli sulla direttiva per la qualità dell’aria. Il contenuto delle direttive UE, in particolare, ha mandato su tutte le furie proprio i governatori delle regioni della Pianura Padana, l’area dell’Europa occidentale con più morti premature a causa dell’inquinamento. Per il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, l’impatto di regole più rigide sarebbe economicamente devastante, poiché «bisognerebbe chiudere il 75% delle attività produttive, impedire la circolazione dei tre quarti dei veicoli, chiudere il 75% degli allevamenti e delle attività agricole del territorio». Poco importa, dunque, se proprio la Pianura Padana registra i dati più preoccupanti tra i 27 Stati europei in termini di inquinamento atmosferico e subisce il più grave peggioramento della qualità dell’aria negli ultimi quatto anni.
Secondo i dati forniti dal Sole 24 Ore, che si è occupato di disgregare i numeri contenuti all’interno dello studio riguardanti l’Italia, è stata Cremona la provincia maggiormente colpita dallo smog, seguita da Monza e Brianza, Milano, Mantova e Padova – in pratica tutta l’area della Pianura Padana.
Non va comunque meglio altrove. Oltre alle zone già citate, spicca anche la provincia di Biella, che ha visto aumentare la concentrazione media annua di Pm 2,5 da 9,9 µg/m3 a 11,6 nello stesso lasso di tempo, così come è accaduto, tra le altre, a Lecco (+14,8), Vicenza (+14,3%), Como (+14,2), Varese (+14%), Lucca (+12,9) e Pistoia (+12,7%). Anche al Centro-Sud si sono registrati picchi preoccupanti (con particolare attenzione per Napoli, Caserta, Benevento, Taranto, Avellino, Lecce e Brindisi), con Roma che ha registrato un aumento del 3,3%.
Non c’è da meravigliarsi, dunque, se a maggio del 2022 la Corte di giustizia dell’Unione europea ha condannato l’Italia per il livello di inquinamento atmosferico, accogliendo un ricorso della Commissione europea riguardante il mancato rispetto del valore limite fissato per il biossido d’azoto nell’aria, definito “sistematico e continuativo”.
Infatti già lo scorso anno nessuno dei 102 capoluoghi di provincia italiani è riuscito a rispettare i nuovi limiti soglia d’inquinamento atmosferico imposti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Ne consegue che ogni anno, in media – ha stimato l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – nel nostro Paese l’8,3% dei decessi per cause naturali è attribuibile all’esposizione a lungo termine al PM2,5 – l’inquinante maggiormente associato ai rischi per la salute -, quota che al Nord sale al 10,9%.
Per un totale di circa 51mila decessi prematuri all’anno – dati raccolti tra il 2016 e il 2019. Eppure, secondo gli esperti, basterebbe che le principali città europee riuscissero a raggiungere l’obiettivo di cinque microgrammi per metro cubo, per evitare la morte per inquinamento di almeno 100mila persone all’anno.
[di Gloria Ferrari]