In Serbia si intensifica la lotta di cittadini e agricoltori contro le miniere di litio

Lindipendente

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In Serbia è di nuovo in atto un grande scontro aperto tra governo e contadini. L’oggetto del contendere è il progetto, su cui ha messo il marchio l’esecutivo guidato da Aleksandar Vučić, di aprire un’enorme miniera di litio nella valle agricola di Jadar, nella parte occidentale del Paese. L’area contiene infatti uno dei più grandi giacimenti di litio in Europa, un minerale essenziale per la produzione delle batterie delle auto elettriche. E mentre il governo pone l’accento sul fatto che la miniera sia una grande occasione per lo sviluppo economico del Paese e per la moltiplicazione dei posti di lavoro, contadini, movimenti ambientalisti e critici si mettono di traverso, affermando che le operazioni produrrebbero un irreparabile inquinamento delle acque sotterranee e dei fiumi che attraversano la valle, con una possibile contaminazione dei terreni agricoli. Oggi, a Belgrado, andrà in scena una grande manifestazione che riunirà migliaia di persone, le quali chiederanno una legge che vieti l’estrazione del litio in tutto il Paese.

Dubravka Djedović Handanović, ministro serbo per le miniere e l’energia, sostiene che la valle di Jadar contenga circa 158 milioni di tonnellate di litio, ovvero il 17% delle riserve stimate in Europa. Se realizzata, la miniera dovrebbe arrivare a coprire circa 200 ettari della valle, un’area attualmente dedicata all’agricoltura. Secondo le proiezioni, dovrebbe essere pronta nel 2028. L’esplorazione dei giacimenti di litio e boro nella valle di Jadar è stata effettuata per vent’anni dalla multinazionale mineraria anglo-australiana Rio Tinto, che ha concepito un progetto per l’apertura della miniera. In seguito a grandi proteste della popolazione serba nel 2021 e nel 2022, il progetto è stato però temporaneamente fermato. Due anni fa, il governo serbo – allora guidato dalla premier Ana Brnabić – aveva infatti formalmente revocato le concessioni a Rio Tinto per lo sfruttamento delle miniere di litio. Eppure, lo scorso 11 luglio, la Corte costituzionale serba ha annullato quel provvedimento, asserendo che con quella decisione l’esecutivo avesse sconfinato dai suoi poteri, uscendo quindi dal perimetro tracciato dalla Carta Costituzionale. Una sentenza di questo tipo era effettivamente attesa, in particolare data la precedente sottoscrizione di una lettera di intenti da parte di Serbia e Commissione europea in vista di una collaborazione strategica per l’estrazione di litio e la produzione di batterie a ioni di litio, in nome della “transizione verde”. Gli attivisti ambientali e i contadini, che il giorno della sentenza hanno rimpinguato un presidio di fronte alla Corte, hanno reagito annunciando forti proteste, con manifestazioni di piazza e blocchi ferroviari. A supporto della loro battaglia, spicca la valutazione ambientale condotta due anni fa dall’Accademia serba delle scienze e delle arti, che ha definito il progetto come “devastante”, sottolineando che la sua eventuale realizzazione porterebbe a una «massiccia devastazione dello spazio circostante, a cambiamenti permanenti nel carattere del paesaggio, al degrado della biodiversità della terra, delle foreste, delle acque superficiali e sotterranee», nonché allo «sfollamento dei residenti locali, alla cessazione delle attività agricole sostenibili e redditizie».

Alla fine del 2021, i cittadini serbi erano scesi in piazza per settimane al fine di chiedere il blocco del progetto di sfruttamento della miniera da parte della multinazionale Rio Tinto venga del tutto bloccato. Riuscendo, con una forte pressione sul governo (che aveva precedentemente promulgato una legge sull’esproprio dei terreni), a ottenere quanto richiesto. Ma ora tutto si è ribaltato. Lo scorso giugno, Rio Tinto ha pubblicato un rapporto sull’impatto ambientale con l’obiettivo di placare gli animi, promettendo una «tecnologia sicura, affidabile e collaudata», denunciando, al contempo, «un’ampia campagna di disinformazione basata su elementi diffamatori» in cui vengono avanzate «affermazioni prive di fondamento». Eppure, contadini, accademici e network di associazioni ecologiste non si sono tirati indietro. E sono pronti, ancora una volta, a far valere le proprie ragioni.

[di Stefano Baudino]

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