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- Nel novembre 2023 il governo italiano ha siglato un accordo per la costruzione di centri per migranti in Albania.
- Tra costi esorbitanti e presunte violazioni del diritto italiano e internazionale, i centri hanno preso il via.
- Il primo trasferimento forzato per l’Albania è costato 18mila euro a persona.
Le prime 16 persone destinate ai centri per migranti gestiti dall’Italia sono arrivate in Albania. Si tratta di 16 uomini provenienti dall’Egitto e dal Bangladesh, intercettati nel mar Mediterraneo e imbarcati sulla nave della marina militare Libra.
Ora dovranno affrontare la lunga trafila burocratica che passa dalle procedure di registrazione nell’hotspot di Shëngjin e dal trasferimento nel centri di prima accoglienza o nel centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Gjader, a seconda della possibilità o meno di fare domanda di asilo.
I centri per migranti oltre confine voluti dal governo Meloni, un unicum in Europa, sono così diventati realtà. Un’operazione che è sotto i riflettori per i suoi costi stratosferici, ma anche perché si baserebbe su una serie di violazioni del diritto italiano e internazionale.
I centri per migranti in Albania
Lo scorso novembre la premier italiana, Giorgia Meloni, e il premier albanese, Edi Rama, hanno firmato un protocollo d’intesa per l’apertura in Albania di centri per i migranti gestiti dall’Italia.
Meloni e Rama si sono accordati per la costruzione in Albania, a Shengjin, di un hotspot, cioè il centro dove si registrano i dati dei cittadini stranieri appena sbarcati per capire se hanno diritto a fare domanda d’asilo o meno. E poi per l’edificazione, a Gjader, di un centro di prima accoglienza per i migranti che chiedono asilo da 880 posti e di un centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) da 144 posti per chi vede respinta la sua richiesta. Oltre a questo, il protocollo ha previsto la costruzione, sempre a Gjader, di un carcere da 20 posti.
Con questo protocollo, il governo italiano ha messo le basi per esternalizzare le procedure di frontiera. Ma solo in termini territoriali, dal momento che la gestione dei centri e quella dei rimpatri spetterà sempre all’Italia e ai suoi funzionari. Di fatto il perimetro dei centri è stato pensato come una sorta di exclave italiana in territorio albanese, dove vige cioè la legge italiana.
La procedura prevede che nel momento in cui un gruppo di persone migranti viene soccorso nel mar Mediterraneo, venga fatta una prima identificazione che porta a selezionare maschi “non vulnerabili” e provenienti da paesi considerati sicuri. Questi vengono caricati su un mezzo della marina militare italiana, che li porta nei nuovi centri in Albania, mentre donne, bambini e uomini “vulnerabili” e provenienti da paesi considerati non sicuri continueranno a essere portati a Lampedusa.
Il governo Meloni ha giustificato l’accordo con l’Albania con la necessità di ridurre la pressione sulle procedure di frontiera in Italia, oberate dai troppi arrivi. Tutti i costi di costruzione e gestione delle strutture albanesi sono ricaduti sull’Italia, per un ammontare complessivo di circa 670 milioni di euro in cinque anni, che è la durata dell’intesa (rinnovabile).
I primi trasferimenti forzati
Il progetto doveva partire a maggio, ma una serie di ritardi nelle costruzioni ha fatto sì che i centri per migranti in Albania siano diventati operativi solo ora.
Il 14 ottobre è partito il primo viaggio per l’Albania. Nelle acque internazionali del mar Mediterraneo è stato soccorso un gruppo di migranti e dopo un primo colloquio a bordo sono stati individuati 16 maschi “non vulnerabili” provenienti da Egitto e Bangladesh, paesi considerati sicuri dall’Italia. La nave della marina militare Libra, un gigante da 80 metri, ha così intrapreso la traversata di due giorni in direzione Albania, arrivando nel porto di Shengjin il 16 ottobre mattina.
Ora la nave Libra farà ritorno al largo delle coste di Lampedusa, pronta a fare la spola verso l’Albania con nuove persone migranti. In principio il trasporto delle persone nei centri albanesi doveva avvenire con navi passeggeri, così da tagliare i costi. Una delle novità emerse in questi giorni è invece l’utilizzo della nava della marina militare, che secondo i calcoli potrebbe costare fino a 280mila euro a traversata. Cioè, nel caso del primo viaggio con le 16 persone migranti, quasi 18mila euro a migrante, a cui bisogna aggiungere un costo per persona migranti nei centri albanesi di 300-600 euro al giorno, contro i 35 in Italia.
Contro il diritto internazionale
Ma al di là dei costi, sui centri per migranti in Albania c’è l’ombra del diritto nazionale e internazionale. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha già contestato il meccanismo con l’Italia vuole considerare “paesi sicuri” anche paesi che in realtà in alcune regioni, e per alcuni aspetti come la discriminazione della comunità Lgbtqi+, non lo sono. In questo caso Egitto e Bangladesh, le nazionalità delle persone migranti portate in Albania con il primo viaggio, dovrebbero essere considerati “paesi non sicuri”, così come la quasi totalità dei paesi da cui l’Italia riceve richieste di asilo. Dunque i centri albanesi smetterebbero già di funzionare, non avendo persone con i requisiti per esserci trasferiti.
Altri giuristi hanno evidenziato che i rimpatri dall’Albania verso i paesi di origine, di cui si dovrebbe occupare l’Italia in modalità per ora non ancora chiarite, potrebbero tradursi in respingimenti collettivi, vietati dal diritto internazionali. Sempre a livello internazionale, lo scorso dicembre anche la Corte costituzionale albanese aveva bocciato il protocollo. E come ha denunciato l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), il trasferimento di persone in un paese extraeuropeo per espletare le procedure di frontiera è contrario ad alcuni principi della Costituzione italiana.