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Plastica, alluminio, fibra di carbonio, titanio, litio, neodimio ma anche oro, stagno e tantalio. Dentro ciascun dispositivo elettronico che utilizziamo c’è una piccola miniera di risorse rare e preziose, le terre rare, che spesso finiscono in discarica o addirittura conserviamo per anni e anni nei nostri cassetti, senza pensarci troppo. È un tema noto da anni, che viene spesso tirato in ballo quando si discute dell’impatto ambientale delle batterie al litio, ad esempio, minerale ormai preziosissimo la cui estrazione è diventato un business miliardario esposto a molti abusi. Ma l’esempio migliore per capire quanto queste risorse spesso dimenticate siano importanti, e da riciclare, è lo smartphone.
Secondo alcune stime, infatti, tra il 2009 e il 2023 sarebbero stati venduti più di 17 miliardi di smartphone: di qualsiasi tipo, ovviamente, ma tutti contenenti in quantità diverse centinaia di elementi, minerali e le cosiddette terre rare.
Quali sono le terre rare nei nostri smartphone?
Con l’espressione “terre rare” si indica un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica, che comprende elementi come terbio, disprosio, praseodimio, neodimio. A dispetto del loro nome, non sempre si tratta di risorse “rare”, visto che se ne trovano in abbondanza nella crosta terrestre, ma sono spesso difficili da estrarre e isolare dagli altri elementi. Negli ultimi decenni in particolare si sono rivelati fondamentali nella produzione di semiconduttori, catalizzatori, fibre ottiche, pannelli solari, turbine eoliche, schermi e display: insomma, gran parte delle tecnologie più importanti del Ventunesimo secolo.
Il successo e la diffusione di questi dispositivi ha causato una corsa all’estrazione di terre rare di portata storica. Le attività estrattive di questi elementi sono però costose, inquinanti e spesso portate avanti nel Sud globale, dove le condizioni di vita e di lavoro dei minatori sono molto difficili e poco tutelate. Lo sfruttamento delle terre rare genera problemi d’ogni tipo, come le contaminazioni da torio, un elemento radioattivo che viene rilasciato durante l’estrazione e può provocare gravi danni all’ambiente e alle persone.
Le terre rare tra ambiente e geopolitica
Tutte queste problematiche sono rese ancora più delicate da una questione politica, anzi, geopolitica, visto che la Cina controlla il 63 per cento delle estrazioni di terre rare, l’85 per cento dei loro processi lavorativi e il 92 per cento della produzione dei magneti in terre rare, a loro volta fondamentali per produrre radar, missili, armi e aerei da guerra. Proprio l’esportazione di questo tipo di magneti è stata interessata da un blocco commerciale voluto dal governo di Pechino, annunciato nel dicembre del 2023, che si è aggiunto a divieti simili che hanno colpito l’estrazione delle terre rare necessarie per produrli. Per dare un’idea della tensione politica attorno a queste componenti, nel 2022 il Pentagono, alias il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, aveva sospeso la consegna dei caccia da guerra F-15 dopo aver scoperto che una lega usata nei magneti veniva dalla Cina.
Riciclo e riutilizzo, il tesoro dentro i nostri dispositivi elettronici
Tra questioni ambientali, rischi legati alla radioattività e blocchi commerciali tra superpotenze, è facile capire perché sia diventato sempre più importante riciclare e riutilizzare risorse simili. Anche perché, a differenza dei combustibili fossili, che vengono “bruciati” e persi per sempre una volta consumati, questi minerali possono essere recuperati e riutilizzati. Anzi, riuscire in questa impresa di riciclo è considerato uno dei passi essenziali per abbattere, o azzerare, le emissioni di carbonio, anche a fronte di un notevole aumento dei consumi di terre rare (nel 2021 ne furono estratte 280mila tonnellate; secondo gli esperti, entro il 2040 la quantità sarà sette volte tanto).
Daisy e i robot di Apple per “smontare” gli iPhone (e riciclarli)
A tal proposito, Apple – la multinazionale statunitense che progetta e realizza smartphone, ma anche computer e altri dispositivi – ha da poco presentato Daisy e Dave, due robot industriali in grado di disassemblare velocemente molti modelli di iPhone in disuso, estraendone le parti più importanti, e riciclabili, come le batterie, gli obiettivi fotografici (quelli davanti e dietro) e le schede madri. Ciò ha consentito, dal 2022, di produrre modelli iPhone contenenti tungsteno riciclato al 99 per cento, dotare di strutture d’alluminio completamente riciclato diversi prodotti (tra cui gli ultimi iPad, MacBook Air e Apple Watch SE) e usare solo oro riciclato per tutti gli iPhone, dal 13 in poi. Daisy si occupa di dispositivi giunti alla fine della loro vita che provengono dai programmi di trade-in con cui l’azienda ritira prodotti ormai in disuso (o che gli utenti vogliono riciclare).
L’azienda è conscia di quanti dispositivi simili riposino negli scaffali di milioni di persone, dimenticati ma ancora di valore: “È importante che quei prodotti rimangano in circolazione” ha spiegato Sarah Chandler, vice president of environment and supply chain innovation di Apple, per garantire il riciclo. L’azienda è conscia di dover coordinare un’enorme filiera produttiva diffusa in tutto il mondo, ma Apple sembra puntare molto su questi obiettivi: “Siamo stati molto chiari sulle nostre intenzioni e i nostri obiettivi”, ha detto Chandler, ricordando che Apple ha fissato nel 2020 l’obiettivo di diventare carbon neutral entro il 2030. “E questo comprende anche la nostra supply chain”, che viene aiutata in questo processo. Rendere questi processi più efficienti, meno energivori e più sostenibili “fa bene all’ambiente a fa bene anche alle aziende stesse”. È un processo complesso “ma diventa veloce se lo facciamo assieme”, ha concluso.
Daisy è un robot di grandi dimensioni con diverse braccia e strumenti con cui aprire, staccare e sezionare gli iPhone, isolando singoli elementi preziosi che vengono poi lavorati. Da una tonnellata di schede madri di iPhone, che sono le schede elettroniche principali di un dispositivo, Apple è “capace di recuperare le stesse quantità di oro e rame che trarrebbe da duemila tonnellate di roccia estratta”, secondo il report annuale sull’ambiente dell’azienda. La tecnologia alla base di Daisy è aperta e a disposizione di ricercatori e altre aziende produttrici per velocizzare e migliorare il loro processo di disassemblamento.
Le terre rare dimenticate nei nostri cassetti
Questi nuovi strumenti per il riciclo devono ispirare anche un cambiamento nei costumi dei consumatori: ciascuno di noi ha con ogni probabilità un bel mucchietto di terre rare e altri elementi “preziosi”, custoditi in cassetti e dimenticati da anni. Provengono da telefoni, tablet, hard disk e altri dispositivi che non utilizziamo più e che non si possono buttare nella spazzatura. Secondo uno studio pubblicato dalla rivista Nature Geoscience, riutilizzare o riciclare metalli rari da questi apparecchi potrebbe soddisfare fino al 40 per cento della domanda di terre rare in Cina, Europa e Stati Uniti, entro il 2050.