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Ha ufficialmente avuto inizio il processo davanti al Gup del Tribunale di Alessandria che vede il colosso della chimica Solvay alla sbarra per disastro ambientale colposo. Nella città piemontese è infatti ubicato il sito industriale dell’azienda che produce, tra le altre cose, le sostanze tossiche e persistenti PFAS. Lo scorso 6 maggio, all’udienza preliminare, oltre 250 parti civili si sono costituite davanti al giudice, incluse associazioni ambientaliste e istituzioni. Si parla di un’inchiesta molto ampia, che ha colpito nello specifico due ex dirigenti Solvay, Stefano Bigini, dal 2008 e fino al dicembre 2018 direttore di stabilimento, e Andrea Diotto, dal 1° gennaio 2013 direttore dell’Unità di produzione fluidi e dal 1° settembre 2018 direttore di stabilimento. Le difese depositeranno le loro memorie entro il 6 luglio, mentre è già stato stilato un primo calendario delle udienze che avranno luogo in autunno. Sotto al polo produttivo, la falda acquifera è la più contaminata d’Europa da PFAS e di recente sono state accertate le prime contaminazione nelle acque potabili. Per il momento, il piano di bonifica è fermo e l’inquinamento va avanti.
Sia Bigini che Diotto devono rispondere dell’accusa di disastro ambientale colposo per “aver omesso di provvedere al più efficace risanamento della pregressa contaminazione del sito e al più sicuro contenimento del rilascio dei contaminanti sia nella falda sottostante lo stabilimento che a valle, ove è accertata la diffusa contaminazione da PFAS”, come si legge nelle carte della Procura. I pm hanno imputato all’azienda la responsabilità amministrativa, che sarebbe stata commessa a vantaggio e nell’interesse dell’ente al fine di risparmiare sui costi di bonifica e ottenere una maggiore efficacia della produzione industriale. Tra le “persone offese” ci sono il Ministero dell’Ambiente e la Regione Piemonte, oltre a enti locali, associazioni e cittadini che si sono ammalati e hanno manifestato la volontà di costituirsi parte civile. A fine marzo, la stessa Solvay – ora Syensqo – ha rilevato sotto una vasca usata per la pulizia delle acque di produzione concentrazioni elevate di PFAS. Si parla, nello specifico, di 250mila microgrammi per litro di cC604, composto chimico prodotto in esclusiva dalla proprietà e reputato meno tossico, sebbene il Tar di Torino abbia evidenziato che risulta essere comunque “un rischio per la salute e per l’ambiente”. La ditta aveva attribuito la contaminazione alla rottura di due valvole critiche per il funzionamento di un reattore all’interno della vasca, rendendo noto di aver sospeso la produzione composto. Solo poche settimane dopo, però, i cittadini hanno segnalato all’ARPA la presenza di una schiuma insolita nello scarico del polo industriale, che sversa le acque reflue nel fiume Bormida. L’azienda ha affermato che tale schiuma fosse prodotta a monte dello scarico e dunque priva di contaminazione, ma ARPA l’ha subito sconfessata, dichiarando che essa fosse direttamente collegata all’impianto.
Lo scorso agosto era scattato il sequestro preventivo delle due discariche di gessi del Gruppo chimico. Il blitz all’interno dello stabilimento – il secondo dopo quello del 12 febbraio 2021, che sfociò in una vasta perquisizione per verificare lo sversamento delle sostanze inquinanti – è stato effettuato dai carabinieri del Noe su richiesta della Procura di Alessandria, autorizzata dal Gip. Le vasche sono state sequestrate perché, secondo gli inquirenti, sebbene non dovessero essere più operative sarebbero state riutilizzate. Sulla base di quanto ricostruito dai magistrati, le discariche contenevano infatti sostanze provenienti dagli scarti di lavorazione e dalla depurazione delle acque. Non essendo state protette da teli o altro tipo di coperture, esse sarebbero state soggette alle folate di vento. L’estate precedente, erano stati pubblicati i risultati di un’importante indagine effettuata dal Policlinico universitario CHU (Centre hospitalier universitaire) e dell’Università di Liegi, che havevano registrato la presenza di alti livello di Pfas nel sangue dei residenti nell’area abitativa a ridosso della multinazionale belga.
[di Stefano Baudino]