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L’avvento del nylon riciclato nel mondo del tessile è certamente stato una delle conquiste cruciali del settore: il nylon, essendo un derivato del petrolio, ha costi ambientali altissimi e, sebbene poliestere e nylon non siano la stessa cosa, le considerazioni che avevamo fatto a livello di impatto sull’ambiente e sulla domanda di petrolio in parte sono le stesse. Il fatto che oggi siamo in grado di ricavare del nylon da altro nylon già presente sotto forma di scarto è una buonissima cosa, ovviamente, ma occorre fare chiarezza sia sul processo che su un eventuale nuovo riciclo a fine vita.
Intanto non tutto il nylon presente nel mondo sotto forma di scarto ha la possibilità di essere riciclato con un processo che non sia troppo energivoro, e secondariamente, perché il nuovo nylon ottenuto sia a sua volta riutilizzabile, occorre che il prodotto che ne viene fatto segua determinati crismi. Ne abbiamo parlato con Giulio Bonazzi, presidente e amministratore delegato di Aquafil, società produttrice di Econyl, un filato di nylon riciclato realizzato a partire dagli scarti delle reti da pesca e dalle moquette dismesse. Nell’ambito dei nostri focus sui materiali più rispettosi dell’ambiente abbiamo cercato di analizzare il processo che porta a un prodotto con Econyl valutandone aspetti positivi, negativi e difficoltà legate sia al processo che all’eventuale riciclo del materiale a fine vita.
Nylon riciclato: la genesi di Econyl
“Il primo abbozzo di idea relativo ad Econyl è nato più di 20 anni fa” racconta Giulio Bonazzi. “La consapevolezza di dover cambiare qualcosa nei processi produttivi ha iniziato a maturare all’interno di Aquafil già verso la fine degli anni Novanta, quando ci siamo resi conto che se avessimo continuato a produrre solo poliammide 6 presto o tardi saremmo usciti dal mercato, in quanto azienda energivora che lavorava un derivato del petrolio”. L’impianto in grado di produrre Econyl poi non è arrivato che nel 2011 ed è costato all’azienda anni di ricerca: “Anche altre società avevano provato, fallendo, noi dopo moltissimi sforzi ci siamo riusciti e lo abbiamo fatto sfruttando una caratteristica che è propria della nostra molecola principale, ovvero il poliammide 6, o più volgarmente chiamata nylon 6, che ha la capacità di tornare di un passo indietro nella catena chimica attraverso un processo che si chiama depolimerizzazione. Noi abbiamo perfezionato questo processo e lo abbiamo applicato agli scarti preferibilmente di tipo post consumo”.
Aquafil oggi è arrivata a produrre più di 45 mila tonnellate all’anno di Econyl, che rappresentano circa il 45 per cento del fatturato della totalità delle fibre sintetiche prodotte dalla società. Da piccolo impianto a tecnologia sofisticatissima oggi il nylon riciclato è una linea produttiva vitale per l’azienda.
Luci e ombre
“Econyl deriva al 100 per cento da scarti, quindi non coinvolge nuove risorse, men che meno di natura fossile. Il processo per produrlo chiaramente consuma energia, ma è un processo la cui impronta di carbonio è il 90 per cento più basso rispetto al processo convenzionale, ovvero quello che ricava nylon a partire dal petrolio. Questo è possibile perché la nostra energia intrinseca è circa il 75 per cento in meno di quella che normalmente si usa per trasformare il petrolio in nylon e, dove possibile, impieghiamo energia ottenuta da fonti rinnovabili”.
L’obiettivo dell’azienda è quello di arrivare ad abbassare la propria carbon footprint del 100 per cento rispetto al processo tradizionale. “Per arrivare ad abbattere anche quel 10 per cento di energia residua dobbiamo lavorare sui consumi energetici, perché anche da un punto di vista degli scarti il nostro è un processo virtuoso. I nostri processi ad acqua sono tutti a ciclo chiuso e al sotto di qualsiasi livello di pericolosità, così come gli scarti gassosi, ovvero le emissioni in aria, sono più basse di quelle consentite dalle legislazioni. Resta però ancora da migliorare il problema degli scarti fisici del nylon vero e proprio: sostanzialmente quando immettiamo il nylon da riciclare troviamo poco nylon puro al 100 per cento, al contrario troviamo molto nylon lavorato insieme ad altri materiali, che non entrano nel nostro processo. Dobbiamo quindi trovare il modo di non generare questi scarti o di riciclare gli altri materiali”.
Il tema infatti è proprio questo: il processo di riciclo non è così semplice da effettuarsi se la materia di scarto di cui si dispone non è omogenea. Non tutti gli scarti di nylon sono infatti riciclabili alla stessa maniera: nel caso di Econyl la maggior parte del nuovo filato viene realizzato a partire da reti da pesca e da moquette dismesse. “Ad esempio se l’anti-alga utilizzato per le reti da pesca nel settore dell’acquacoltura è a base di rame, allora non abbiamo problemi, le reti sono interamente riciclabili e non producono scarti, altrimenti è possibile che ci siano dei residui. Sia le reti che le moquette vengono lavorate attraverso reattori di depolimerizzazione, ma tutto quello che non è nylon viene scartato nuovamente, è su questi residui che bisogna lavorare.
Circular dream
Aquafil produce ogni anno 45 mila tonnellate di Econyl, che è il frutto del riciclo di 10 mila tonnellate all’anno tra reti da pesca, per la maggior parte, e moquette, tutto chiaramente post consumo. Per una regola interna che si è data l’azienda, Econyl deve contenere infatti almeno il 50 per cento di nylon proveniente da flussi post uso o post consumo. “Per quanto riguarda invece la parte pre consumo sono soprattutto scarti dei nostri clienti: stiamo lavorando insieme a loro per arrivare a un processo che preveda zero scarti oppure recuperiamo dei leftover che contengono il nylon ma che non sono interessanti per l’industria delle plastiche”.
“Oggi i tassi di riciclo per reti da pesca sono ottimi, sia per quanto riguarda quelle utilizzate nell’acquacoltura, che per quelle utilizzate nella grandi navi da pesca nel nord Europa. Lì ad esempio abbiamo la partecipazione di una società norvegese che si occupa della raccolta e della preparazione delle reti specificatamente per il nostro sistema di riciclo e stiamo cominciando a collaborare in questo senso anche con delle realtà in Cile, in Patagonia, dove di reti da pesca ce ne sono tante ma per il momento è stato fatto poco o niente a livello di circolarità”.
Perché il sogno circolare si compia, però, servirebbe un’attenzione maggiore a livello di progettazione, ad esempio degli indumenti. Perché se riciclare reti da pesca e moquette non è semplice ma è fattibile, riciclare gli indumenti oggi è ancora molto complicato. “Noi siamo un’azienda che genera circolarità all’interno della molecola, ovvero da scarti di nylon produciamo fibre sintetiche di nylon, che poi vengono impiegate soprattutto nella pavimentazione tessile e nell’abbigliamento. Quello che ancora non riusciamo a generare è la circolarità nel settore: sono poche le moquette che ritornano ad essere moquette e sono pochissimi, per non dire nessuno, i capi d’abbigliamento che ritornano ad essere tali. Noi trasformiamo scarti di nylon che provengono dalle reti da pesca che poi diventano tessuti per Prada, Burberry, Stella McCartney, ma difficilmente poi da questi abiti ricaviamo altri abiti.
Il che per il lusso ha senso: se uno mi riporta indietro uno zaino di Prada che costa 1350 euro sarei pazzo se lo riciclassi, quello è un prodotto che va rivenduto, perché parte del suo valore è dato dalla componente intrinseca del marchio, il valore dei materiali di produzione è minimo rispetto al totale. Un discorso diverso va fatto invece per i settori del fast fashion o del bambino, che stimolano moltissimo il consumatore all’acquisto tramite la leva del prezzo. I player di questo settore dovrebbero essere obbligati a fare prodotti circolari, perché gli indumenti vengono utilizzati poco o niente”.
Affinché un capo d’abbigliamento sia riciclabile però, deve essere pensato già in origine come tale, ovvero dovrebbe essere costituito tutto, interamente, dello stesso materiale. Quindi se si tratta di nylon o di econyl dovrebbe essere fatto al 100 per cento da nylon o da Econyl. “Questi settori devono cambiare il modo di affrontare la progettazione del capo, noi dobbiamo fornire loro gli ingredienti che permettono di farlo, ma il settore deve iniziare a costruire il capo non solo perché sia bello e costi poco, ma anche perché sia riciclabile. Se un pezzo è composto al 100 per cento da nylon, quando arriva nel nostro stabilimento riciclarlo è facilissimo e assolutamente non costoso. Se invece si comincia a metterci un pezzo di nylon, un pezzo di cotone, un pezzo di poliestere, un pezzo di metallo, cerniere, bottoni, ecco riciclare quel prodotto è impossibile”.
O comunque sarebbe troppo energivoro, perché il pezzo andrebbe prima smembrato nei suoi componenti e questi poi riciclati singolarmente. Il settore però si sta mettendo a lavoro e, oltre a marchi che collaborano con Aquafil cedendo i loro scarti di produzione, alcune realtà virtuose si stanno impegnando nella progettazione e realizzazione dei primi prodotti 100 per cento Econyl e nylon. Questo significa non solo che per produrli non è stata utilizzata una materia prima vergine ma che, al loro fine vita, questi potranno essere nuovamente riciclati. “Possiamo contare sugli scarti di produzione di brand come Gucci, Stella McCartney e Prada. Napapijri invece è stato il primo marchio, con la giacca The circular series del 2019, a realizzare un prodotto fatto al 99,5 per cento di nylon ed Econyl, bottoni compresi. Poche settimane fa è stata quindi la volta di Stella McCartney, che ha lanciato un parka realizzato in ottica circolare, quindi monomateriale”.