«A Torino più di 1.000 morti per smog in 4 anni», perché gli ex sindaci Fassino e Appendino e l’ex governatore Chiamparino rischiano il processo

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Secondo la procura che ha chiuso le indagini su sette ex amministratori, gli indagati avrebbero dovuto adottare misure più efficaci per ridurre i livelli di inquinamento dell’aria

Rischiano di finire a processo per inquinamento ambientale in forma colposa sette ex amministratori piemontesi, dopo la chiusura delle indagini per le morti per smog tra 2015 e il 2019. Una cifra che oscilla tra le 1.000 e le 1.400 vittime, a cui si aggiungono 1.179 persone ricoverate per malattie respiratorie o cardiovascolari, riportate nella relazione epidemiologica ordinata dal pm Gianfranco Colace che indaga tra gli altri l’ex presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, e gli ex sindaci di Torino, Piero Fassino e Chiara Appendino. Per loro l’accusa è di non aver perso le misure necessarie per contrastare le concentrazioni di sostanze nocive, con il pm che parla di un vortice di «misure inadeguate», «interventi mancati», «deroghe», «imprudenza, «negligenza», «imperizia».

Le contromisure non adottate

Secondo la relazione sulla qualità dell’aria della città di Torino, c’è stato un «eccesso di casi», rispetto alle cifre previste, attribuibili al superamento della soglia di Pm10, biossido di azoto e Pm 2.5. Nel mirino degli inquirenti c’è il Piano regionale per la qualità dell’aria, che aveva fissato un «orizzonte temporale di rientro nei limiti al 2030», violando però il dovere secondo il pm di «procedere il più rapidamente possibile». Contestati anche gli strumenti per la rilevazione del superamento delle soglie delle polveri sottili, che facevano scattare l’allerta solo dopo diversi giorni dagli sforamenti. E peggio andava sui divieti per la circolazione, spesso pieni di troppe esenzioni. In più sarebbero mancati sistematici controlli sui sistemi di riscaldamento delle case. Le contestazioni dell’indagine si basano anche sul confronto tra Torino e altre città italiane ed europee, svolto con una consulenza urbanistica. Rispetto alle altre città paragonabili, Torino sarebbe stata carente sulle zone a traffico limitato, oltre che sugli stalli per la ricarica di veicoli elettrici e sulla promozione dei mezzi pubblici e del bile-sharing.

Le accuse ai sindaci

A far partire l’inchiesta era stato un esposto del presidente del comitato “Torino respira”, Roberto Mezzalama, assieme agli avvocati Marino Careggiò e Giuseppe Civale. I legali degli indagati si difendono spiegando che sarebbe stato fatto tutto il possibile in quegli anni, soprattutto alla luce dei pochi strumenti a disposizione degli amministratori locali. Le accuse del pm nella relazione conclusiva delle indagini sono dirette. Secondo la procura, gli indagati «cagionavano una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile dell’aria della Città di Torino». A proposito di chi amministrava la città, il pm ricorda come «il sindaco ha potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti in caso di emergenze sanitarie quali possono essere ritenute quelle, tra l’altro, derivanti dal superamento dei valori limite di PM10, perché l’esposizione a tale inquinante è dimostrato essere agente causale di un eccesso di mortalità».

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