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Mentre come umanità avvertiamo sempre più nella nostra vita quotidiana le conseguenze e l'impatto del cambiamento climatico, stiamo discutendo da settimane del libro del generale Vannacci, vendutissimo in Italia, che definisce la crisi climatica uno “spauracchio” e sostiene che le tonnellate di CO2 che emettiamo sono un bene “perché ci permettono di nascere in un ospedale”.
Tutto questo nelle stesse settimane in cui Copernicus, il servizio europeo sui cambiamenti climatici, ha detto che nel 2023 abbiamo avuto l’estate più calda mai registrata. Le ondate di calore, le inondazioni, gli incendi non hanno abbandonato l’Europa e il nord America. Sulle Alpi è stato raggiunto lo zero termico a 5.328 metri (ed è un altro record negativo). È notizia proprio di questi giorni la tempesta che si è abbattuta sulla Libia orientale. Si parla al momento di oltre 5mila morti. Fenomeni di questo tipo si stanno intensificando con il riscaldamento del pianeta.
La crisi climatica peggiora e non fa notizia
E mentre c'è ancora chi cerca di insinuare dubbi e mettere in discussione l'origine antropica del cambiamento climatico e che si possa parlare di crisi climatica, il Global Stocktake dell’ONU – un rapporto molto importante che fa un bilancio globale su come siamo messi nella lotta alla crisi climatica a 8 anni dall'Accordo di Parigi e sarà la base per i negoziati della prossima COP28 di Dubai – afferma che la finestra per mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C rispetto all'era pre-industriale si sta “restringendo rapidamente”. E indica alcune strade da seguire. Vediamo quali.
Proprio in vista della Conferenza delle Nazioni Unite di Dubai a fine novembre, gli Stati africani si sono riuniti a Nairobi, in Kenya, nel primo Africa Climate Summit della storia. L'obiettivo: trovare una posizione unitaria in vista dei negoziati alla COP28 e avviare un progetto per la transizione energetica dell’Africa economicamente sostenibile. Come è andata?
Come l’Africa può aiutare a decarbonizzare il mondo
Infine, due buone notizie. Dal Montana arriva una sentenza che potrebbe fare scuola. Per la prima volta una causa climatica presentata da un gruppo di giovani, dai 5 ai 23 anni, è arrivata a processo e ha vinto. Attualmente sono in corso 2.180 cause in tutto il mondo, due in Italia. Del caso del Montana avevamo parlato in un round-up a giugno.
E poi in Ecuador è passato un referendum che ferma lo sviluppo di tutti i nuovi pozzi petroliferi nel parco nazionale di Yasuní, in Amazzonia, una delle regioni più ricche di biodiversità del pianeta. Oltre il 58% dei cittadini ha votato per lo stop alle trivellazioni petrolifere grazie all'asse che si è creato tra le giovani generazioni e l’organizzazione di base di cittadini e attivisti che da almeno due decenni lottano contro la compagnia petrolifera Chevron. Il mondo salvato dai ragazzini, si potrebbe dire, rievocando il titolo di un libro di Elsa Morante. La società civile che si mobilita.
Perché 16 giovani del Montana stanno facendo causa allo Stato per i cambiamenti climatici. E cosa potrebbe accadere in caso di vittoria
Di tutto questo abbiamo parlato nel terzo appuntamento di “Che clima che fa”, il podcast di Valigia Blu dedicato alla crisi climatica, a cura di Angelo Romano, con Arianna Ciccone e il contributo di Antonio Scalari.
Musica: La Rappresentante di Lista - Ciao Ciao
Regia: Vudio
Immagine in anteprima via amazonwatch.org