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In Italia è stato approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Ci sono voluti quasi sette anni e quattro governi, ma alla fine anche il Belpaese si è dotato di uno strumento indispensabile per affrontare le conseguenze della crisi climatica. La notizia dell’approvazione l’ha data lo stesso Ministero dell’Ambiente spiegando che l’obiettivo principale del Piano è quello di “fornire un quadro di indirizzo nazionale per l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo possibile i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, a migliorare la capacità di adattamento dei sistemi socioeconomici e naturali, nonché a trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche”. Seppur con ritardo, il testo è stato quindi ufficialmente adottato, ma che venga realmente attuato è però un altro paio di maniche. Il rischio è che la Strategia resti solo su carta. Per il momento, infatti, poche delle azioni previste hanno una corrispettiva voce di finanziamento.
L’Italia era l’ultima tra le grandi economie europee a non disporre del Piano. La strategia, così come è stata attuata, prevede 361 misure da adottare su scala nazionale e regionale, le quali toccano numerosi settori: dall’agricoltura, all’energia passando per turismo, foreste, insediamenti urbani ed ecosistemi acquatici e terrestri. Le azioni sono state inoltre distinte in base all’impegno richiesto dalla loro successiva attuazione. Figurano quindi azioni “soft”, che non richiedono interventi strutturali e materiali diretti, e azioni “non soft”. Quest”ultime si distinguono poi in due ulteriori tipologie: azioni “green” che richiedono interventi materiali che intervengono sulle risorse naturali e le azioni “grey” che invece implicheranno la costruzione di nuovi impianti e infrastrutture. Una prima critica mossa dalle realtà ambientaliste è che la stragrande maggioranza delle azioni, quasi il 70%, rientra nella categoria “soft”, nonostante sia stata più volte sottolineata la necessità di interventi strutturali profondi. Tra l’altro è lo stesso Piano a certificare l’elevata vulnerabilità dello Stivale alla crisi climatica. L’Italia – si legge nel testo – vanta il triste primato del valore economico delle perdite subite in UE negli ultimi 40 anni a causa degli eventi meteo estremi.
Tuttavia i finanziamenti necessari a dare seguito alla Strategia di adattamento sono per ora assenti. «Ricordiamo al ministro dell’Ambiente e al Governo Meloni che per attuare il Piano sarà fondamentale stanziare le risorse economiche necessarie e ad oggi ancora assenti, non previste neanche nell’ultima legge di Bilancio», ha commentato Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. Tra l’altro, attendere ancora non è affatto a costo zero. Nell’ultimo anno gli eventi meteo estremi legati al riscaldamento globale sono cresciuti del 22%. Basti pensare poi che le sole alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna e la Toscana hanno provocato perdite equivalenti ad oltre un terzo della legge di Bilancio presentata dall’esecutivo. In fatto di stanziamento di fondi, nel Piano, sembra ci sia però l’intenzione di scaricare le responsabilità sull’UE. Nella sezione dedicata ai finanziamenti si specifica ad esempio che “solo una parte delle risorse cui si fa riferimento sono nelle dirette disponibilità del sistema Italia. Lo schema europeo di finanziamento citato prevede infatti una allocazione dei fondi su base competitiva e dunque l’attribuzione è incerta e sottoposta alla condizione di uno sforzo particolare per la presentazione di candidature qualitativamente eccellenti”.
Negli ultimi 40 anni, nella penisola italiana frane e alluvioni hanno causato danni per 51 miliardi di euro. Si tratta del dato più rilevante in Europa: secondo quanto riportato dall’EEA (European Environment Agency), al secondo posto vi è la Germania, con 36 miliardi, e la Francia, con 35.
[di Simone Valeri]