Bologna, continua la battaglia legale contro gli impianti di risalita del Corno alle Scale

Lindipendente

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Nella Città Metropolitana di Bologna sta andando avanti la battaglia del comitato “Un altro Appennino è possibile” finalizzata a fermare la costruzione di una nuova seggiovia nel comprensorio sciistico del Corno alle Scale. Finora, grazie a una campagna di sottoscrizioni popolari sono stati già raccolti oltre 12mila euro per coprire le spese necessarie a presentare l’appello al Consiglio di Stato contro la Regione Emilia-Romagna. Un nuovo tentativo legale, quindi, dopo che il Tribunale amministrativo di Bologna aveva respinto un primo ricorso presentato dalle associazioni. Il progetto che si vuole bloccare ha un valore di 6,7 milioni di euro e prevede la realizzazione di “una nuova seggiovia quadriposto” al posto di un precedente impianto e della sciovia “Cupolino” già da tempo inutilizzata. «Quello che contestiamo è il fatto che ci troviamo di fronte a una grande infrastruttura che verrà realizzata in un’area molto delicata dal punto di vista ambientale – hanno spiegato gli attivisti del comitato – questo progetto è stato presentato ufficialmente come un ammodernamento dell’impianto già esistente, ma non è così: per questo chiediamo innanzitutto che venga sottoposto alla Valutazione di Impatto Ambientale».

L’impianto che si vorrebbe realizzare, difatti, è più lungo di circa 200 metri e copre un dislivello maggiore rispetto a quello da sostituire. Tra l’altro, il progetto prevede inoltre la realizzazione di 15 sostegni alti da quattro a sedici metri, nonché comprende una nuova stazione intermedia oltre a quella di partenza e di arrivo. Quelle esistenti, invece, verrebbero dislocate. La stazione d’arrivo, in particolare, verrebbe spostata a una quota più elevata, a poca distanza dal rifugio Duca degli Abruzzi e dal lago Scaffaiolo, un ecosistema fragile incluso in un Sito d’interesse comunitario tutelato dalla Rete Natura2000. Un ambiente naturale che, nel complesso, rischia di essere devastato. Basti pensare che demolire l’infrastruttura attuale e realizzare la nuova richiederebbe la rimozione, mediante escavazione, di ben 6.680 metri cubi di terra su una superficie di 3.664 metri quadrati. Di questi, circa la metà rientrerebbero nei confini dell’habitat di interesse comunitario. Vien da sé che l’intervento delle realtà associative locali è determinante affinché il peggio venga scongiurato.

La battaglia del comitato, laddove vinta, potrebbe poi salvare anche altri habitat minacciati da progetti simili. «Il ricorso al Consiglio di Stato, che abbiamo presentato a settembre, non è solo l’ultimo strumento a nostra disposizione per fermare questo progetto, ma è anche un modo per evitare che quanto stabilito dal pronunciamento del TAR dello scorso maggio faccia giurisprudenza. I giudici amministrativi hanno accolto la linea difensiva della Regione, secondo cui questa è una ‘modifica o estensione di impianto già esistente’. C’è il rischio che anche in altre Regioni si cerchi di far passare per ‘ammodernamento’ la costruzione di nuovi impianti». Senza contare poi che l’infrastruttura, se guardata nell’attuale contesto di riscaldamento globale, appare del tutto inutile. L’ennesimo spreco di risorse nell’ambito dell’ennesimo tentativo di accanimento terapeutico finalizzato a tenere in vita un settore dal destino più o meno segnato. L’ultimo rapporto “Nevediversa” di Legambiente ha ad esempio sottolineato come nel comprensorio in questione la temperatura sia aumentata di 1,8 gradi centigradi tra il 1961 e il 2018. Alla quota a cui è situato, tra i 1.487 e i 1.792 metri sul livello del mare, le precipitazioni nevose sono quindi sempre più rade, ragion per cui è inevitabile il ricorso alla neve artificiale con il relativo consumo di energia e risorsa idrica.

[di Simone Valeri]

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