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Se c’è un comparto in cui l’impatto dei cambiamenti climatici è visibile a occhio nudo è quello dei comprensori sciistici, in cui la “materia prima”, ovvero la neve naturale, scarseggia sempre di più, fin quasi a scomparire man mano che l’altitudine si abbassa. Per tentare di limare gli effetti di un problema strutturale che evidentemente non si riesce a curare alla radice, il governo italiano – secondo la solita logica dei “pacchetti d’aiuti” e dei “fondi speciali” – continua a elargire fondi a privati in difficoltà per nuovi impianti di innevamento artificiale. L’esecutivo ha infatti già stanziato a tal fine ben 147 milioni di euro, in particolare per la costruzione di vasche di approvvigionamento idrico, per il rinnovamento degli impianti a fune e per la realizzazione di grandi mucchi di neve tecnica, utili a iniziare in anticipo la stagione invernale. E, mentre le strategie per un serio turismo sostenibile passano nettamente in secondo piano altri 200 milioni a fondo perduto sono già sul piatto. Una tecnica che si porta dietro non solo pesanti svantaggi dal punto di vista economico, ma anche gravose conseguenze ambientali nel lungo periodo.
La promozione della “attrattività turistica” nei luoghi di montagna e nelle stazioni sciistiche attraverso “la realizzazione di interventi di ristrutturazione, ammodernamento e manutenzione degli impianti di risalita a fune e di innevamento artificiale” è oggetto decreto interministeriale n.7297 dell’11 aprile 2023, legato alla Manovra dello scorso anno, che il governo Meloni sta progressivamente attuando. La norma prevede, nello specifico, un esborso di 200 milioni di euro per la fase 2023-2026 (50 milioni di euro sono già pronti per la Lombardia, oltre 25 per il Piemonte), nella maggior parte per impianti siti a meno di 2mila metri di altezza. Luoghi in cui la quantità di neve, negli ultimi anni, è drasticamente calata. Per le politiche sul turismo sostenibile, che vede tra i suoi obiettivi il rafforzamento delle grandi destinazioni culturali attraverso la riduzione delle emissioni e il sostegno alle strutture ricettive e le imprese turistiche nelle attività utili al conseguimento di certificazioni di sostenibilità, il governo ha invece stanziato briciole: solo 25 milioni in tutto. E se, da una parte, servono soldi pubblici per mandare avanti il settore, dall’altra l’unico modo per innevare artificialmente le montagne è utilizzare enormi quantità di acqua, che peraltro viene sempre prelevata da torrenti, fiumi, sorgenti o dalla rete idrica potabile. Per coprire un ettaro di pista, ove sia già presente un fondo di neve naturale, servono infatti circa mille metri cubi d’acqua e tra i 2mila e i 7mila kilowattora. Tutto questo senza considerare le importanti ricadute ambientali di queste operazioni, con i fisiologici danni alla flora e alla fauna montana e un ulteriore innalzamento delle temperature. Ma non è solo il centro-destra di governo a muoversi in questa direzione: a fine dicembre, infatti, la regione Emilia-Romagna – guidata dal dem Stefano Bonaccini – ha stanziato oltre 4 milioni e mezzo di ristori per società che hanno il controllo di impianti a fune a bassa quota dopo la scarsità di precipitazioni dello scorso inverno.
Quelli che stiamo vivendo sono, insomma, inverni eccezionali rispetto al passato, che sembrano però destinati a divenire consuetudinari in quanto intrinsecamente legati al riscaldamento globale. La criticità della situazione era già stata evidenziata nel 2007 dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che, sulla base delle evidenze scientifiche disponibili al tempo, evidenziava le forti incertezze sul futuro del turismo invernale a causa della già allora significativa riduzione della copertura nevosa, inquadrando il cambiamento climatico come “una seria sfida per lo sviluppo sociale ed economico”. Del totale degli impianti sciistici presenti nella Penisola, è ormai circa il novanta per cento ad essere innevato artificialmente per via delle temperature sempre più alte. A tal fine, ogni anno vengono impiegati circa 95 milioni di metri cubi d’acqua e una spesa di 136 mila euro per ettaro di pista. E, mentre si cerca di rattoppare il buco muovendosi a tentoni, quello continua ad allargarsi.
[Stefano Baudino]