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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.
In questi giorni un'ondata calore sta attraversando ben tre continenti: Europa, Asia, Nord America. Temperature estreme si stanno registrando in buona parte dell'emisfero settentrionale della Terra. Il mese di giugno di quest'anno è stato il più caldo finora registrato. Il ritorno di El Niño, il fenomeno ciclico che causa il riscaldamento della superficie dell'Oceano Pacifico centro-orientale, contribuisce a spingere verso l'alto le temperature del pianeta. Ci sono buone probabilità che il 2023 diventi l'anno più caldo finora registrato. Ma anche se non arriverà al primo posto, scalzando il 2016, siamo certi che sarà tra le prime posizioni. I dieci anni più caldi sono concentrati nell'ultimo decennio. Non è un caso, è una delle tante evidenze della realtà del riscaldamento globale antropico.
🌡️ Extreme levels of heat are affecting large parts of the Northern Hemisphere
⚠️ Exceptionally high temperatures are breaking records in places and dangerously hot weather will continue in many areas during the next week pic.twitter.com/zebYqdZXGH
— Met Office (@metoffice) July 17, 2023
Anche di fronte a questa realtà, la grancassa del negazionismo non smette di fare rumore. Anzi, suona le musiche di sempre. Le stesse, ripetitive, note, come quelle della canzone Fa caldo? È l'estate. Purtroppo, è molto più facile ripetere questa musica, che leggere e spiegare quello che hanno prodotto decenni di ricerca scientifica. Questa è l'asimmetria tra informazione corretta e disinformazione.
Il caldo estivo che sperimentavamo fino a pochi anni fa ha ben poco a che vedere con ciò a cui stiamo assistendo ora, con sempre maggiore frequenza. Le ondate di calore degli ultimi anni sono state chiare evidenze del riscaldamento globale. Sono passati 20 anni da quella che nel 2003 ha investito l'Europa, causando più di 70mila morti. Oggi viene considerato il primo evento per il quale è stato possibile valutare l’impronta del riscaldamento globale. Lo studio venne pubblicato nel 2004 sulla rivista Nature dal climatologo dell’Hadley Centre britannico Peter Stott e altri due scienziati.
Fino ad allora, anche se la realtà del riscaldamento globale era ormai un fatto scientifico, si pensava che fosse difficile, se non impossibile, correlarlo a un singolo evento, come un’ondata di calore, una siccità, una precipitazione estrema. Proprio nel 2003, il climatologo dell'Università di Oxford Myles Allen, uno degli autori dell'articolo del 2004 su Nature, scrisse, sulla stessa rivista, che sarebbe stato possibile sviluppare un metodo che poteva consentire di rispondere a questa domanda: rispetto alla probabilità che si verifichi uno specifico evento, quale frazione di questo rischio possiamo attribuire al riscaldamento globale antropico?
È un po’ come giocare con dadi truccati. Le emissioni di gas serra, prodotte dalle attività umane, inseriscono nel sistema climatico un elemento che cambia i risultati del gioco. Gli studi di attribuzione fanno questo: attraverso modelli climatici confrontano il mondo in cui viviamo con un mondo alternativo, in cui le nostre emissioni non esistono. «Stimiamo che sia molto probabile (livello di confidenza > 90%) che l'influenza umana abbia almeno raddoppiato il rischio di un'ondata di calore superiore a questo livello di magnitudine», scrissero gli autori dello studio pubblicato nel 2004.
In un successivo studio del 2014, Peter Stott e due suoi colleghi si sono chiesti quanto la probabilità che si verificasse un evento simile fosse cambiata a distanza di dieci anni dal 2003. Il risultato fu che il riscaldamento globale, nel frattempo, aveva aumentato le probabilità di circa 10 volte. Un'ondata di calore che un tempo si sarebbe verificata ogni 50 anni, a quel punto era diventata un evento con un periodo di ritorno di 5 anni.
Il caldo estremo del 2003 ha mostrato la drammaticità degli impatti di un simile fenomeno. Uno studio pubblicato nel 2016 ha calcolato che nell'estate del 2003 il cambiamento climatico ha aumentato il rischio di mortalità correlata al caldo nel centro di Parigi di circa il 70% e di circa il 20% a Londra, dove le temperature massime erano state più basse. Gli autori di un articolo, pubblicato nel 2021 su Nature Climate Change, hanno usato i dati relativi a 732 località in 43 paesi per stimare il carico di mortalità associato all'esposizione al calore tra il 1991 e il 2018. La loro conclusione è stata questa: «in tutti i paesi esaminati nello studio troviamo che il 37 % dei decessi legati al caldo può essere attribuito al cambiamento climatico antropico e che l'aumento della mortalità è evidente in ogni continente».
Dal 2003 la scienza dell'attribuzione ha fatto significativi passi avanti. Diverse ondate di calore recenti hanno rappresentato un'occasione per evidenziare, e confermare, il contributo del riscaldamento globale all'aumento della probabilità e dell'intensità di questi fenomeni. Durante quella che si è verificata in Siberia nel 2020 è stata registrata la temperatura record di 38 °C nella città di Verkhoyansk. Il caldo ha facilitato la propagazione di vasti incendi nelle foreste e l'accelerazione della fusione del permafrost, che ha perfino causato danni ad edifici. Il titolo dell'analisi di attribuzione pubblicata nel 2021 sulla rivista Climatic Change è eloquente: «il caldo prolungato che ha colpito la Siberia sarebbe stato «quasi impossibile senza l'influenza antropica»
L'ondata di caldo del 2021 nel Canada Occidentale e negli Stati Uniti nord-occidentali: 49.6 °C registrati in un villaggio canadese. Il successivo studio di attribuzione ha definito questo evento «virtualmente impossibile» in assenza del riscaldamento globale. Nello stesso anno il caldo estremo ha colpito anche l'Europa. Vicino a Siracusa sono stati toccati 48.8 °C. Il Met Office britannico ha analizzato questo evento, che ha costituito «un altro esempio di come il cambiamento climatico stia rendendo più gravi i nostri estremi meteorologici», ha affermato uno degli autori.
#IPCC #ClimateReport says #climatechange ⬆️ extreme weather
In the last 6 weeks alone, we have seen
🌡️record-breaking temperatures (49.6°C in Canada)
🔥raging wildfires in North America, Siberia and the Mediterranean
🌧️unprecedented rain and floods in Central Europe and China pic.twitter.com/xVyavgNVlv— World Meteorological Organization (@WMO) August 10, 2021
Il 2022 è stato un altro anno di ondate di calore in Europa. La combinazione tra temperature elevate e assenza di precipitazioni ha determinato il grave deficit idrico dei suoli nel bacino del fiume Po e in altre aree. Anche le siccità sono più probabili, a causa del cambiamento climatico. Nell'ultimo rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) si legge che «è praticamente certo che gli estremi di caldo siano diventati più frequenti e più intensi nella maggior parte delle regioni terrestri dagli anni '50. L'IPCC afferma con «un'elevata confidenza che il cambiamento climatico antropico è il motore principale di questi cambiamenti. Alcuni recenti estremi caldi osservati nell'ultimo decennio sarebbero stati estremamente improbabili senza l'influenza umana sul sistema climatico».
Anche in questi giorni i negazionisti sono impegnati a fare ciò che riesce loro meglio: confondere le acque. C'è chi, per esempio, ricorda i 40 °C a Roma, registrati nel luglio del 1983, come se quell'evento dimostrasse che le ondate di calore come quella attuale non sono nulla di nuovo, come se fosse la prova che il cambiamento climatico è un'invenzione. Ma non è una temperatura di un singola località, in un solo anno, a dimostrare o smentire il cambiamento climatico, è una tendenza che osserviamo nel medio e lungo periodo e a livello globale. Come scrive l'IPCC, ciò che è significativo è la frequenza sempre maggiore di temperature elevate, anche quando non sono record.
In Hot Air, un saggio pubblicato nel 2021, Peter Stott racconta la storia, vissuta in prima persona, della battaglia della scienza contro il negazionismo climatico. I negazionisti hanno promosso un'ideologia spacciandola per scetticismo scientifico. Il vero scetticismo è aperto al dubbio, all'esame critico delle affermazioni, segue le evidenze, invece di negarle o manipolarle. Le azioni dei gruppi negazionisti, spesso sostenute dall'industria dei combustibili fossili, hanno ingannato l'opinione pubblica e hanno influenzato il corso della politica in paesi chiave come gli Stati Uniti.
Come nota Stott, «c'è voluto troppo tempo perché i governi trattassero la crisi climatica con la serietà che richiede. Ma ora che finalmente si stanno facendo progressi, è cruciale che questi primi passi non vacillino. Intanto, osserva l'autore, «le forze oscure del negazionismo rimangono in gioco».
I partiti politici più inclini al negazionismo stanno oggi cercando di trasformare il cambiamento climatico in una battaglia culturale. Anche quando non negano apertamente il cambiamento climatico, la loro tattica propagandistica punta ad associare le questioni che lo riguardano all'ideologia di sinistra. Questi partiti trattano la questione come fosse una fissazione di ambientalisti, estremisti e fanatici, che vogliono distruggere la nostra economia e prosperità. Economia che, invece, è minacciata dallo stesso cambiamento climatico. Nei loro discorsi le politiche per il clima e l'ambiente diventano un problema peggiore dello stesso cambiamento climatico.
Crisi climatica e transizione energetica: le nuove tattiche negazioniste smontate una per una
Grazie a questa propaganda, i fatti scompaiono e rimangono solo parole e toni polemici, slogan e nemici ideologici. Se i fatti scompaiono, è come se nessuno li avesse mai scoperti. È come se non li avessimo mai conosciuti, come se fossimo ancora del tutto ignoranti. Il negazionismo è anche questo: ignoranza indotta, interessata e malevola.
Non possiamo che concordare con Stott: «Per la sicurezza dell'umanità sulla Terra, non possiamo permetterci di avere altri leader che promuovono la falsa credenza del negazionismo climatico».
Immagine in anteprima: Frame video ABC News via YouTube