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Secondo una nuova analisi, i capodogli utilizzano un sistema di comunicazione significativamente più sofisticato di quanto noto in precedenza sfruttando una moltitudine di suoni chiamata “alfabeto fonetico”, la quale per certi versi verrebbe gestita in maniera significativamente simile persino al linguaggio umano. Lo riporta un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria, pubblicato su Nature communications e condotto da una squadra di ricercatori tra cui alcuni del team di machine learning del progetto CETI (Cetacean Translation Initiative), la quale ha studiato i suoni di decine di balene registrati ed elaborati da anni. «La ricerca mostra che l’espressività dei richiami è molto più ampia di quanto si pensasse in precedenza», ha commentato Pratyusha Sharma, dottoranda in robotica e apprendimento automatico del Massachusetts Institute of Technology e coautrice, la quale ha aggiunto che i prossimi studi riguarderanno cosa potrebbero effettivamente comunicare tra di loro i capodogli.
I capodogli sono un gruppo di cetacei della famiglia dei Fiseteridi. Hanno una distribuzione che si estende in quasi tutti gli oceani e i mari del mondo anche se solo i maschi si avventurano nelle acque artiche e antartiche, in quanto le femmine preferiscono rimanere con i piccoli in acque calde. Sono i più grandi predatori al mondo caratterizzati da una lunghezza che può superare i 20 metri di cui un terzo può essere occupato solo dalla testa. Si nutrono di calamari e pesci e sono noti per il loro record di apnea, che può spingersi ad una profondità che solo pochi mammiferi possono eguagliare: 2250 metri di profondità. I capodogli, inoltre, si riuniscono in gruppi chiamati “pod” separati in base al sesso e possiedono un repertorio vocale che prevede una serie di suoni ad impulsi (detti “click”) simili al battere di un martello su un pezzo di legno. Tali sequenze – suddivise principalmente in “click lento”, “click usuale” e “scricchiolio” spesso vengono concluse con un breve schema irregolare ma ripetuto, chiamato “coda”.
Tali suoni, secondo un nuovo studio, potrebbero essere caratteristici di un sistema di comunicazione molto più complesso di quanto si pensasse in precedenza: dal 2005, i ricercatori hanno seguito un clan di 400 capodogli in una regione dei Caraibi orientali registrandone i suoni con microfoni subacquei e marcandoli con dei sensori. Dal 2020, invece, un team di biologi marini e ricercatori informatici ha unito le forze per analizzarne alcuni e la pubblicazione dei risultati ha dovuto aspettare ben 4 anni. Tali suoni sono stati racchiusi in ciò che è stato chiamato “alfabeto fonetico del capodoglio”, usato presumibilmente anche per «coordinarsi come famiglia, organizzare babysitter, foraggiamento e difesa». I ricercatori poi, hanno spiegato che le variazioni registrate nel numero, nel ritmo e nel tempo dei clic producevano diversi tipi di coda e che, inoltre, alcuni capodogli aggiungevano talvolta un clic in più alla fine, similmente ad un suffisso nel linguaggio umano. Così come per le persone esistono «due livelli di comunicazione» composti dai suoni alle parole e dalle parole in frasi – spiega Sharma – anche i capodogli utilizzerebbero una combinazione di caratteristiche a due livelli per formare le code, delle quali il livello inferiore presenterebbe somiglianze con le lettere di un alfabeto.
«Il linguaggio umano è unico in molti modi, sì. Ma sospetto che, man mano che la scienza progredirà, troveremo molti modelli, strutture e aspetti ritenuti unici per gli esseri umani in altre specie – comprese le balene – e forse anche caratteristiche e aspetti delle comunicazioni animali che gli esseri umani non possiedono», ha spiegato Shane Gero, coautore della ricerca, biologo capo del progetto CETI e fondatore del Dominica Sperm Whale Project. «Penso che dobbiamo fare molte più ricerche prima di sapere se è una buona idea provare a comunicare con loro, o anche solo avere un’idea se ciò sarà possibile. Allo stesso tempo, sono ottimista sul fatto che saremo in grado di imparare molto di più su quali informazioni sono effettivamente codificate in queste vocalizzazioni che stiamo ascoltando, che tipo di informazioni sono contenute in questi clic e code, mentre iniziamo a comprendere il contesto comportamentale in cui ciò si verifica», ha concluso invece Jacob Andreas, professore di informatica del MIT e membro del progetto CETI.
[di Roberto Demaio]