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Col ministro Lollobrigida, si sa, l’ultima gaffe è sempre la penultima. Nel senso che il titolare del Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare, nonché cognato della premier Giorgia Meloni, ne sforna di continuo. Ma quella del 10 maggio, pronunciata alla seduta di question time del Senato, secondo la quale “per fortuna la siccità quest’anno ha colpito alcune zone del Sud e la Sicilia in particolare", merita particolare attenzione. Innanzitutto perché, come ricorda Il Foglio, la mancanza d’acqua si ripercuote sull’agricoltura in generale e specificamente sulla viticoltura, forse il settore che sta più a cuore a Lollobrigida, nonché sul foraggio e quindi sugli allevamenti, come sottolineato da Coldiretti, l’associazione più ascoltata dal ministro.
Ma soprattutto perché la siccità segue la “linea della palma”. L’espressione fu inventata da Leonardo Sciascia nel libro Il giorno della civetta per teorizzare, già negli anni ‘60, l’avanzamento della mafia nel Nord Italia. Non poteva sapere, lo scrittore siciliano, che più di 60 anni dopo la sua metafora sarebbe risultata letterale. Perché se è vero, come scriveva Sciascia, che “gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno”, ciò è ancora più evidente con l’accesso e la gestione dell’acqua.
L’ultimo aggiornamento dell’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale (ISPRA) sulla severità idrica riporta una mappa che testimonia un’Italia spaccata, con la Sicilia che già a metà maggio è in condizioni idriche:
Al di là della gaffe del ministro Lollobrigida, si tende comunque a dimenticare che la penultima siccità, quella preoccupante del 2022, aveva spaventato in particolar modo le regioni del Centro-Nord. Come ricordava l’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po nel bollettino del 13 giugno 2022, il fiume Po aveva registrato “la peggiore siccità idrica degli ultimi 70 anni”. Mettendo in ginocchio agricoltori e produzioni energetiche. Con le scene di due anni fa al Nord che sono analoghe a quelle attuali del Sud: soltanto il raccolto del grano e del fieno, secondo le stime di Coldiretti, è crollato fino al 70% in alcune parti della Sicilia rispetto all’anno precedente. Nelle Madonie, la catena montuosa tra Palermo e Messina, il raccolto di grano e foraggio è stato addirittura azzerato, denuncia la CIA, la Confederazione Italiana Agricoltori, i cui produttori della Sicilia occidentale affermano di non aver mai visto un’annata così pessima. È opinione condivisa che a poco serviranno i 20 milioni di euro, appena sbloccati dal Ministero dell’Agricoltura, per attenuare almeno “l’emergenza siccità”. Perché il problema è evidentemente strutturale.
E la situazione è ancora più critica in questi giorni con l'arrivo delle prime ondate di calore. Sta girando l'immagine delle capre costrette ad abbeverarsi nel fango nell'area intorno a Caltanissetta. "Chiediamo al prefetto l’intervento dell’esercito. Chiediamo che ci portino l’acqua, ma che avvenga subito, senza aspettare altre riunioni, altri vertici. Perché i nostri animali stanno morendo e i costi per noi sono insostenibili", hanno detto gli allevatori della zona.
Non va dimenticato inoltre che la carenza d’acqua nell’intera penisola è una tendenza in atto da tempo. Ecco perché analizzare come la Sicilia sta affrontando la più grave crisi idrica della sua storia, con lo stato di calamità naturale che mai era stato dichiarato nel mese di febbraio, è fondamentale per comprendere come affrontare in maniera strutturale uno dei più evidenti effetti irreversibili della crisi climatica.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Se alla complessità la politica reagisce con la negazione della realtà
D’altra parte la siccità è solo uno dei fenomeni in corso, forse neppure il più preoccupante. Lo spiegava bene Giacomo Parrinello, professore di Storia ambientale a SciencesPo, in un’intervista ad Altreconomia a seguito della crisi del Po del 2022:
La ridotta disponibilità d’acqua è sicuramente un aspetto, ma non è il solo. C’è anche l’inquinamento, che a partire dal XIX secolo ha alterato in maniera profondissima la composizione chimica delle acque dei fiumi, provocando un impatto sulla vita che questi possono - o non possono - sostenere. Un terzo elemento è l’alterazione morfologica, della forma stessa dei fiumi: trasportano terra, sabbia, ghiaia, argilla, e attraverso questa azione sono i principali agenti che costruiscono il paesaggio. Sono i fiumi, ad esempio, a portare la sabbia nelle nostre spiagge. Le attività economiche umane, attraverso una serie di interventi, hanno modificato significativamente questo sistema di erosione e trasporto di materiali. Le conseguenze sono particolarmente evidenti nei delta: a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, in alcuni grandi fiumi del mondo i detriti sono diventati sempre meno, a causa dell’attività umana, e hanno smesso di arrivare al mare. I delta hanno quindi smesso di avanzare, cominciando invece a ritirarsi e abbassarsi, lasciando così spazio al mare.
Dopo la drammatica “crisi del Po” del 2022 gli agricoltori del Nord hanno messo in campo una serie di misure concrete per fronteggiare la futura, e inevitabile, carenza d’acqua. Persino il cinema italiano, di solito lento a decifrare la realtà cangiante e concentrato più sulle piccole storie, ha intercettato il fenomeno, producendo un film apprezzato e discusso come Siccità di Paolo Virzì. Gli allarmi e gli studi sulla crisi idrica in Italia si susseguono da tempo, anzi da anni. E la politica? Cosa ha fatto dopo la crisi del 2022? A fatica ha prodotto l’ennesimo commissario nazionale, Nicola Dell’Acqua, il cui incarico “per l'adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica” è stato rinnovato al momento fino al 31 dicembre 2024. In questo arco temporale la struttura commissariale capitanata da Dell’Acqua ha prodotto due relazioni, di cui la seconda, più recente, è la più articolata.
La relazione del commissario Dell’Acqua è lunga 149 pagine: molto tecnica e dettagliata, individua 127 opere urgenti contro la siccità e le inefficienze nell’utilizzo della risorsa idrica, per un valore complessivo di 3,67 miliardi di euro, all’interno delle 562 opere complessivamente presentate dalle regioni al ministero delle Infrastrutture e raccolte nel Piano nazionale di interventi infrastrutturali per la sicurezza del settore idrico (PNISSI), che a sua volta vale 13,5 miliardi. Dalla relazione emerge tutta la complessità del settore, retto da una affaticata e inadatta gestione pubblico-privata, dove responsabilità e competenze in parte si sovrappongono. Alcuni punti essenziali:
- Non è possibile parlare di una condizione di assenza di governance nel settore idrico civile italiano, ma piuttosto di una situazione di governance per certi versi inefficace. Tali condizioni di frammentazione e sovrapposizione dei poteri decisionali sfociano nella composizione di un settore esposto a gap e criticità della gestione della risorsa idrica da monte a valle;
- Le lacune della pianificazione della risorsa si ripercuotono anche sull’attenzione alla sua tutela e rinnovo nel tempo: il 9,1% delle falde sotterranee è in stato di scarsità idrica (il 19,0% dei corpi idrici tracciati) e secondo le ultime stime ISPRA disponibili, solo il 23,7% delle precipitazioni contribuisce alla ricarica degli acquiferi del Paese;
- Un’altra criticità riguarda la presenza di sistemi acquedottistici isolati, cioè non interconnessi tra loro, e che spesso dipendono da un’unica fonte di approvvigionamento: quando tale fonte va in crisi, l’intero sistema ne risente ed è necessario ricorrere al razionamento della risorsa;
- L’infrastruttura obsoleta e ancora poco tecnologica del settore comporta inefficienze e sprechi anche lungo la fase di distribuzione: le perdite idriche percentuali raggiungono un tasso del 41,2% e sono tra le più alte d’Europa (25% la media UE-27+UK)
- Una bassa tariffa, da un lato, determina, tra le altre cose, un limitato tasso di investimenti infrastrutturali del settore e, dall’altro, «deresponsabilizza» il consumo: l’Italia è il 2° paese più idrovoro d’Europa in termini di prelievi ad uso potabile con un valore di 156,5 m3 per abitante, solo dopo la Grecia;
- Opere infrastrutturali sono necessarie anche a valle dei consumi, nella fase di depurazione. Ad oggi ancora 1,3 milioni di italiani vivono in Comuni privi del servizio di depurazione, il che oltre all’evidente danno ambientale, riduce nuovamente la disponibilità di acqua depurata
Si tratta di questioni note da anni, da decenni, e che però finora non sono mai state risolte. Lo stesso commissario Dell’Acqua, in un’audizione alla Commissione Ambiente della Camera risalente allo scorso marzo, aveva ammesso che per “le nuove opere serviranno anni, ora serve gestire al meglio le risorse”. Ma non ha fornito una scadenza per la presentazione del cosiddetto “piano contro la siccità”.
A ciò va aggiunta poi l’accelerazione del riscaldamento globale, che negli ultimi 14 mesi ha fatto registrare continui record. Rendendo già “vecchie” le previsioni che nel 2022 aveva elaborato l’IPCC su “impatti, adattamento e vulnerabilità” riguardanti il Mar Mediterraneo:
Nell’Europa meridionale il numero di giorni con insufficienti risorse idriche (disponibilità inferiore alla richiesta) e siccità aumenta in tutti gli scenari di riscaldamento globale. Nelle prospettive di un aumento della temperatura globale di 1,5°C e 2°C la scarsità idrica riguarda, rispettivamente, il 18% e il 54% della popolazione. Analogamente, l’aridità del suolo aumenta con l’aumentare del riscaldamento globale: in uno scenario di innalzamento della temperatura di 3°C l’aridità del suolo risulta del 40% superiore rispetto a uno scenario con innalzamento della temperatura a 1,5°C. L’adattamento attuale si basa principalmente su strutture che assicurino la disponibilità e la fornitura di risorse idriche. L’efficacia di queste strutture sul lungo periodo è messa in discussione poiché creano un circolo vizioso in cui l’approvvigionamento idrico attira sviluppi che ne richiedono l’ulteriore aumento. Inoltre, nel caso di riscaldamento globale elevato, queste strutture potrebbero diventare insufficienti.
Di fronte a tale allarmante quadro, che sembra già rendere concrete le fantasie distopiche, si guarda con fiducia agli investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR): quasi 4 miliardi di euro, ai quali va aggiunto un altro miliardo di euro, ottenuto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nell’ambito della rimodulazione del PNRR, da destinare alla “riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua, compresa la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti”.
Servirà? Di certo non possiamo permetterci semplificazioni e negazioni della realtà. Contestato da Greenpeace al Festival dell’Economia di Trento, sulla siccità il ministro Salvini ha risposto a muso duro: "Siccità? Sta piovendo come non piove da un secolo. Hai sbagliato indirizzo. Vai in Veneto a parlare di siccità, fenomeno".
Una frase offensiva per una Sicilia in enorme difficoltà, che fa il paio con la gaffe di Lollobrigida. E che respinge del tutto la complessità dei cambiamenti climatici in atto per cui, restando all’Italia, gli allagamenti nel Nord possono convivere con la siccità del Sud.
Commissari, cabine di regia e (pochi) fondi
Intanto nella Regione Siciliana il settore più colpito dalla siccità, cioè l’agricoltura, ha dovuto fare i conti ad aprile con le dimissioni dell’assessore e vicepresidente Luca Sammartino: uomo forte della Lega in Sicilia e discusso campione di preferenze, Sammartino è indagato per corruzione. Le sue competenze sono state avocate ad interim dal presidente della Regione Renato Schifani, il quale più in generale sta seguendo in prima persona tutta la gestione della siccità in Sicilia. Che nell’isola si ripercuote sull’agricoltura e sull’energia ma anche sull’accesso all’acqua potabile. Da mesi, infatti, sono cominciati i razionamenti, vale a dire la riduzione delle forniture di acqua per le abitazioni private: quella di marzo ha riguardato 93 Comuni che si trovano nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Palermo e Trapani.
Oltre alle riduzioni regionali delle forniture idriche anche i Comuni elaborano una serie di ordinanze sindacali per il risparmio idrico, come si può notare in questa mappa elaborata dall’Autorità di bacino del distretto idrografico della Sicilia:
La situazione è destinata a peggiorare, dato l’enorme flusso di turisti in arrivo per la stagione estiva. Ne è consapevole il governo regionale che, in attesa del piano nazionale contro la siccità, e dopo l’allarme lanciato a febbraio dal rapporto settimanale dell'Osservatorio Anbi sulle Risorse Idriche, a marzo aveva nominato a sua volta un altro commissario, questa volta regionale:
Il provvedimento, previsto dalla legge regionale numero 13 del 2020, si inserisce nel contesto delle condizioni di siccità persistente che ha ridotto la disponibilità d'acqua negli invasi siciliani. Il 2023, infatti, è stato il quarto anno consecutivo con precipitazioni al di sotto della media storica di lungo periodo e anche i primi mesi di quest'anno, caratterizzati da temperature più alte e scarsità di piogge, hanno confermato finora questa tendenza. Non a caso, lo scorso febbraio il governo regionale aveva dichiarato lo stato di crisi idrica sia per il settore irriguo sia per la zootecnia. Il neo commissario dovrà, tra le altre cose, portare avanti una serie di iniziative urgenti. In particolare: - azioni finalizzate al risparmio idrico potabile, quali, la riduzione dei prelievi e l'elaborazione di programmi di riduzione dei consumi, con riferimento alla promozione dell'efficienza di usi esterni, alla verifica degli usi con attuazione di strategie di risparmio, all'attuazione di pratiche tecnologiche e programmi di ammodernamento atti a ridurre i consumi delle apparecchiature delle utenze e alle campagne di sensibilizzazione al risparmio idrico; - azioni finalizzate all'aumento delle risorse disponibili, quali, il coordinamento con il Commissario straordinario nazionale per l'adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica (legge 68/2023); la ricognizione e la pianificazione degli interventi urgenti per il reperimento di risorse alternative; l'individuazione di soluzioni per il reperimento di nuove risorse idriche a uso potabile; la ricognizione e le azioni per l'utilizzo di pozzi e sorgenti, nonché l'utilizzo dei volumi morti negli invasi e l'interconnessione invasi; - azioni in deroga a norme regionali finalizzate all'aumento delle risorse idriche potabili disponibili, quali la ricognizione delle attuali limitazioni all'approvvigionamento e la proposta di ordinanze in deroga a norme regionali.
A neppure un anno di distanza dalla nomina del commissario nazionale per la siccità, la Regione Siciliana sceglie dunque di fare da sé. Perché? Fonti interne alla Regione, da noi ascoltate e alle quali abbiamo assicurato l’anonimato, dichiarano che in questo arco temporale ci sono state parecchie interlocuzioni e ripetute richieste di ricognizioni ma nessuno stanziamento. D’altra parte sia nella relazione del commissario Dell’Acqua sia nel Piano nazionale di interventi infrastrutturali per la sicurezza del settore idrico sono numerosi gli interventi descritti come necessari in Sicilia. Eppure ad oggi i passi in avanti sono stati pochi.
Ad aprile, dopo il commissario regionale, in Sicilia nasce anche l’immancabile cabina di regia per l’emergenza idrica, con il compito di “individuare, stimolare e coordinare gli interventi più urgenti e indifferibili per mitigare gli effetti della crisi”: un “team di professionisti”, con personale interno della Regione e alcuni docenti delle università siciliane. Le prime soluzioni vengono individuate alla prima riunione:
Le proposte con efficacia immediata per la mitigazione dell'emergenza idrica riguardano la rigenerazione di una cinquantina di pozzi e sorgenti esistenti ad uso idropotabile, l'individuazione di un centinaio di siti, vicini a condutture e linee elettriche, in tutta la Sicilia in cui scavare nuovi pozzi ad uso irriguo, salvaguardando così le scorte idriche presenti nelle dighe da destinare esclusivamente per la popolazione. Inoltre, sono previsti interventi su impianti di pompaggio e condutture, operazioni di sfangamento di sei traverse fluviali, finanziamenti per la riattivazione delle autobotti in una sessantina di Comuni. Sul fronte dissalatori si lavorerà nell'immediato con l'acquisto e l'installazione di moduli mobili nei siti esistenti, nell'attesa di poter procedere alla sostituzione degli impianti fissi a Porto Empedocle, Trapani e Gela, dove i tecnici della task-force in queste ore stanno effettuando ispezioni.
A un mese di distanza, cioè il 17 maggio, la Regione Siciliana stanzia tre milioni di euro “per il finanziamento di progetti per la ricerca di nuove fonti idriche, per la valutazione della possibilità di riattivare alcuni dissalatori e per la realizzazione di condotte idriche per alleviare le condizioni di crisi di alcune aree dell’Isola”. Nel frattempo il Consiglio dei Ministri del 6 maggio dichiara lo stato di emergenza nazionale per la siccità in Sicilia, destinando altri 20 milioni di euro.
Al di là della polemica politica e della promessa di nuovi fondi, è chiaro che si tratta di stanziamenti assolutamente inadeguati. Secondo le stime dei tecnici della Regione Siciliana servirebbero infatti almeno 5 miliardi di euro per risolvere le principali criticità idriche.
Dighe e dissalatori
Una delle questioni più urgenti da affrontare in Sicilia riguarda le dighe. Sull’isola sono sparsi 29 invasi, con una capacità totale che supera di poco il miliardo di metri cubi d’acqua, ma i volumi di acqua raccolta sono preoccupanti. Secondo gli ultimi dati relativi all’aprile 2024, lo scarto in meno rispetto allo stesso mese del 2023 è del 35%. Un esempio su tutti è emblematico: la diga Pozzillo ha una capacità totale di invaso di 150 milioni di metri cubi d’acqua, ma ad aprile 2024 ne conteneva meno di 6 milioni. E tale crollo è dovuto non soltanto all’assenza di piogge di questi mesi ma a problemi di ordinaria manutenzione dovuti, ad esempio, all’interrimento, cioè l'accumulo di detriti sul fondale. Soltanto per via di questo fattore si perde il 34% del volume complessivo, cioè oltre 300 milioni di metri cubi d’acqua, che resteranno non disponibili finché le dighe non saranno ripulite. Vale la pena ribadirlo: in assenza di una programmazione pluriennale quella che dovrebbe essere una semplice manutenzione ordinaria diventa un problema strutturale. Con l’ulteriore beffa che anche se in Sicilia dovesse tornare a piovere gli invasi non potrebbero comunque accumulare tanta acqua.
Lo spiega bene a Valigia Blu il giornalista e divulgatore Gabriele Ruggeri:
La gran parte delle dighe siciliane non è collaudata. Questo significa che, per una questione di sicurezza, le dighe possono essere riempite fino a un massimo di poco più della metà della loro effettiva capienza. Allo stesso tempo sappiamo che con il cambiamento climatico è cambiata l’entità delle precipitazioni: non più piogge leggeri e costanti ma intensi temporali, quelli che i giornalisti privi di fantasia chiamano bombe d’acqua. Quello che è accaduto sia nel 2022 che nel 2023 è che quando sono avvenute questo tipo di precipitazioni gli invasi hanno accumulato acqua oltre il livello di sicurezza consentito e quindi hanno dovuto scaricare la quantità in eccesso. E questo fa sì che la quantità d’acqua persa, al netto dell’evaporazione, non consente di affrontare adeguatamente i mesi di secca. Altra mancanza è quella dei collegamenti, che consentirebbero invece a una diga che ha acqua in eccesso di compensare l’invaso in sofferenza.
Ruggeri si focalizza poi su un altro caso, quello del lago di Pergusa. Pur non essendo tecnicamente un invaso, la sua storia è significativa di come se non si interverrà in tempo si rischiano mutazioni irreversibili dal punto di vista ambientale.
Il lago di Pergusa, nella provincia di Enna, è un bacino storico che esiste dai tempi dei Greci, come testimonia il mito di Proserpina. Questo patrimonio, naturalistico e culturale insieme, è però oggi quasi del tutto secco, perché non riceve più acqua: molti dei canali che confluivano nel lago sono stati tappati nel corso degli anni, per mille ragioni. Con due conseguenze: il restringimento del corso d’acqua e la salinizzazione eccessiva. Il lago sta diventando una palude salmastra, tanto che quest’anno si sono visti i fenicotteri, non esattamente un buon segnale per uno specchio d’acqua dolce. Significa infatti che l’acqua sta diventando salata e bassa. In questo caso sarebbe stato salvifico un collegamento con la diga di Ancipa, che si trova vicino al lago di Pergusa.
Per via di quella tendenza per cui ai problemi complessi si risponde con soluzioni semplici, anche in Sicilia c’è chi sostiene che la scelta principale, se non l’unica, per ovviare alla mancanza d’acqua esiste già. Ed è quella di rivolgersi al mare, rendendo potabile la sua acqua salata. Per l’isola più grande del Mediterraneo la materia prima non manca. Ma la storia dei dissalatori in Sicilia è piena di sprechi e di costi esorbitanti: i tre dissalatori in teoria esistenti a Gela, Porto Empedocle e Trapani sono chiusi da più di una decina d’anni, e finora l’idea di ripristinarli non ha suscitato grandi entusiasmi. Se è vero che i dissalatori sono incentivati a livello nazionale dal decreto Siccità dell’aprile 2023, il ripristino delle tre strutture esistenti è stato previsto anche dalla Regione che però, in attesa di comprendere se l’operazione è economicamente sostenibile, sostiene l’ipotesi di dissalatori mobili da installare nei siti esistenti.
Sulla testata MeridioNews Gabriele Ruggeri aveva parlato di soluzione tardiva e di occasioni perse:
In realtà la soluzione dei dissalatori, che pure offre garanzie (basta guardare gli effetti a Dubai e in Arabia Saudita, dove tuttavia la quantità di impianti di desalinizzazione non può essere paragonabile a quella italiana), potrebbe essere non risolutiva e arriva comunque in un momento tardivo. Anzitutto per la condizione in cui versano le condutture siciliane, che andrebbero revisionate tutte e in molti casi sostituite. E qui pesa come non mai l’occasione persa con il PNRR, con il primo sonoro schiaffo subito dall’allora governo Musumeci, che si è visto bocciare senza possibilità di appello tutti e 61 i progetti presentati dai consorzi di bonifica – la cui riforma, è bene ricordare, langue in attesa di approdare in Aula, ma nonostante le emergenze ciò non accadrà se non dopo le elezioni europee. E a proposito di PNRR, i dissalatori non sono neanche rientrati nella programmazione della Regione, tanto per sottolineare come non si sia stati in grado di prevedere una stagione così pesante da un punto di vista climatico. Previsione che di contro è riuscita - per citare un caso - alla Puglia, che con i soldi del PNRR sta costruendo un mega impianto di desalinizzazione a Taranto, che sarà pronto nel 2026.
Alla fine la pioggia in Sicilia è arrivata. E, come era prevedibile, non ha risolto il grave deficit d’acqua accumulato nell’ultimo anno. Sulla propria pagina Facebook il SIAS, Servizio Informativo Agrometeorologico Siciliano, ha diffuso il 3 giugno una lunga nota. Nella quale si osserva che:
Le piogge, laddove cadute più abbondanti, hanno portato beneficio non solo alle colture arboree, ma anche ai cereali e alle foraggere delle aree collinari e montane più fresche, specie sul settore occidentale, dove le colture si trovavano ancora in sufficientemente buono stato vegetativo, tale da potersi ancora avvantaggiare di questi apporti non troppo tardivi. Sono state praticamente ininfluenti invece le piogge cadute su foraggere e cereali di molte aree del settore orientale, dove il deficit idrico e le temperature superiori alla norma avevano già portato ad un precoce disseccamento parziale o totale della vegetazione. Per quanto riguarda l'accumulo di riserve nel reticolo idrografico e nei corpi idrici sotterranei, di nuovo gli eventi del mese non hanno consentito di attenuare il deficit accumulato in precedenza. La bassa intensità di pioggia che ha caratterizzato gli eventi e le condizioni dei terreni hanno favorito l'assorbimento quasi totale delle piogge da parte degli strati superficiali del suolo, senza rilasci significativi verso i corsi d'acqua. A fine maggio le precipitazioni accumulate in Sicilia negli ultimi 12 mesi, con una media regionale di 453 mm, sono scese sotto la soglia psicologica di 500 mm medi, valore che non si registrava dalla grande siccità del 2002, quando nello stesso periodo l'accumulo medio risultava essere stato di 415 mm.
Nel frattempo la Regione Siciliana ha presentato il “piano siccità” alla Protezione Civile (il cui ministero è retto dall’ex presidente Musumeci). A fronte di una situazione drammatica - il lago Fanaco vedrà esaurire le proprie scorte a metà luglio e l’Ancipa ai primi di ottobre, costringendo alla sospensione dell’erogazione dell’acqua potabile nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Palermo e Trapani - gli interventi più immediati riguardano soluzioni già note: autobotti, nuove e riparate, riattivazione o scavo ex novo di 120 pozzi e 20 sorgenti, riparazioni sulle reti di collegamento più malmesse. E allo stesso tempo si fanno largo altre proposte: alcune più concrete, come il convoglio dell’acqua da una diga a produzione energetica di ENEL verso un’altra diga pubblica, in modo da fornire acqua alla provincia di Agrigento; altre più “fantasiose”, come la cosiddetta “’inseminazione delle nuvole”, o cloud seeding, proposta dal sindaco di Mussomeli, uno dei paesi siciliani più colpiti dalla crisi idrica per via del prosciugamento del lago Fanaco. Ma sulla tecnica di stimolazione artificiale delle piogge ci sono ancora parecchie perplessità.
In occasione della giornata mondiale dell’ambiente, Legambiente ha ricordato che la cosiddetta “emergenza siccità” riguarda tutta l’Italia. E ha lanciato tre proposte per affrontare in chiave sistemica ciò che da tempo andrebbe inquadrato come un fenomeno strutturale:
- Si ricostituisca una regia unica, da parte delle Autorità di bacino distrettuale, per conoscere disponibilità, consumi reali, domanda potenziale e per definire degli aggiornati bilanci idrici;
- Serve una strategia nazionale integrata e a livello di bacini idrografici, che spinga per la realizzazione di nuove e moderne pratiche e misure per ridurre la domanda di acqua ed evitarne gli sprechi. Con esse si comprende il risparmio negli usi civili attraverso la riduzione delle perdite e dei consumi ma soprattutto negli usi agricoli anche attraverso una intelligente rimodulazione degli strumenti di programmazione regionali della nuova PAC, per renderli capaci di orientare le scelte degli agricoltori verso colture e sistemi agroalimentari meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti;
- È fondamentale ripristinare tutte quelle pratiche che permettano di trattenere il più possibile l’acqua sul territorio e favorire azioni di ripristino della funzionalità ecologica del territorio e ripristino dei servizi ecosistemici. Al contempo occorre promuovere sistemi per il recupero delle acque piovane e per il riuso delle acque reflue depurate.
Ancora una volta, dunque, i cambiamenti climatici ci stanno mettendo di fronte alle inadempienze di un sistema che sempre più spesso è sul rischio di collassare. Perché in fondo l’aumento delle temperature è un acceleratore delle inefficienze e delle disuguaglianze già esistenti. Proprio la siccità in Sicilia ne è un esempio lampante. Le riduzioni d’acqua per le abitazioni private o l’assenza pressoché totale negli invasi o per gli usi agricoli sono una realtà diffusa da anni nelle province di Agrigento e Caltanissetta. Personalmente prendo bonariamente in giro i giornalisti locali che ogni anno sono “costretti” a realizzare, più volte al mese e in diversi quartieri, sempre lo stesso articolo, con le proteste e le lamentele di persone sempre più stanche e rassegnate. Chissà cosa direbbe oggi Leonardo Sciascia, che d’altra parte era originario di Racalmuto, in provincia di Agrigento, di questo prosciugato e ripetuto giorno della marmotta.
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