“L’accoglienza che hanno ricevuto i rifugiati ucraini dovrebbe essere la regola. La solidarietà va garantita a tutti”

ValigiaBlu

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L'invasione russa dell'Ucraina ha suscitato indignazione internazionale e un sentimento di comprensibile e condivisibile compassione verso la popolazione aggredita e minacciata dai bombardamenti. In tutta Europa, e non solo, i paesi hanno aperto le proprie frontiere per accogliere richiedenti asilo e rifugiati ucraini.

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La decisione unanime dei 27 Stati membri dell'Unione Europea (UE) di invocare la Direttiva 55 del 2001 sulla protezione temporanea, adottata oltre venti anni fa all'indomani del conflitto nell'ex Jugoslavia, ha dato ai cittadini ucraini (ponendo un limite, però, a quelli di altre nazionalità provenienti dal paese dell'Europa orientale) l'accesso a vari servizi sociali come l'alloggio, l'istruzione e l'assistenza sanitaria sburocratizzando il laborioso processo di asilo di ciascuna nazione.

La risposta alla crisi scoppiata il 24 febbraio scorso è molto diversa da quella a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi quando a chiedere protezione erano (e sono ancora) rifugiati mediorientali e africani che pure scappano da minacce, torture, conflitti, regimi, violenze. Da situazioni che nella maggior parte dei casi mettono a rischio la vita. Due per tutte la Siria e l'Afghanistan.

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Basta spostare di poco lo sguardo ai confini, anche degli stessi Stati che permettono l'ingresso ai civili ucraini, per capire che il trattamento riservato a tutti quelli che fuggono dal proprio paese non è lo stesso.

È quello che accade, ad esempio, alla frontiera tra Polonia e Bielorussia, con un'emergenza ancora in corso che vede gente che muore respinta, e in Turchia, con una crisi dimenticata, dove dal 2016 viene impedito l'ingresso in Europa a chi è fuggito da conflitti e abusi che sopravvive in condizioni difficili, talvolta disperate.

Perché la risposta è diversa? E il mondo può riuscire ad affrontare contemporaneamente più crisi umanitarie?

Tra Polonia e Bielorussia, disumanità istituzionalizzata

Qualche giorno dopo l'inizio dell'"operazione militare speciale" russa in Ucraina, la Polonia ha approvato la proroga del divieto di ingresso nelle zone di confine con la Bielorussia estendendo fino al 30 giugno l'impossibilità di accesso alla zona forestale di tre chilometri, quella che il governo polacco chiama “zona rossa” e i rifugiati e gli attivisti “giungla”.

Dallo scorso maggio, migliaia di migranti provenienti da Afghanistan, Iraq, Egitto, Sudan, Yemen hanno cercato di raggiungere Polonia, Lituania e Lettonia attraverso la Bielorussia, innescando una crisi umanitaria. Nella sola regione di confine con la Polonia, da settembre 2021, sono stati trovati almeno diciannove corpi di presunti migranti, secondo i dati raccolti da Info Migrants.

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L'UE ha accusato il dittatore Alexander Lukashenko di aver provocato una sorta di “guerra ibrida” – in risposta alle sanzioni applicate al suo paese – incoraggiando i migranti mediorientali a raggiungere la capitale Minsk e favorendo il loro arrivo alle frontiere dei tre paesi appartenenti all'Unione.

Nei primi mesi del 2022 i tentativi di chi ha provato a entrare in territorio polacco sono diminuiti in modo significativo. Alla fine di febbraio le guardie di frontiera ne hanno registrati 66 in 48 ore. A novembre 2021, ogni notte, erano almeno duecento.

Negli ultimi giorni il numero è tornato a crescere a causa della recente chiusura dei restanti centri per migranti in Bielorussia e degli stranieri che stanno lasciando la Russia. Dal 21 al 27 marzo hanno tentato in cinquecento.

«Abbiamo la sensazione che l'ordine sia di respingere tutti, indipendentemente dalla situazione personale o dallo stato di salute", ha detto ad AFP Monika Matus, attivista di Grupa Granica, l'associazione polacca che coordina una rete di attivisti e ONG per dare soccorso ai migranti. «Queste persone non possono né contare su cure mediche, né su altri tipi di assistenza», ha spiegato.

Nell'enorme magazzino situato a Bruzgi, vicino al confine con la Polonia, dove molti rifugiati avevano trovato riparo dal gelo dell'inverno, erano rimaste prevalentemente famiglie con bambini molto piccoli o ammalati o disabili e donne incinte. I funzionari bielorussi li hanno “sfrattati”. Questi nuclei familiari di disperati stanno provando ad attraversare la foresta sfidando freddo (la temperatura è di - 3 gradi), fame, pericoli, polizia.

Come raccontato in un post pubblicato su Facebook da Grupa Granica, il 25 marzo scorso le guardie di frontiera polacche hanno fermato un gruppo curdo di diciotto persone, di cui nove bambini e un ragazzo 20enne completamente paralizzato, portato in spalla per sedici chilometri. Molti hanno bisogno di cure.

Sono numerose le famiglie in fuga da zone di conflitto che si sono messe in viaggio con la speranza di entrare in Europa per curare i figli ammalati. Quando sopravvivono a giorni di digiuno, all'addiaccio, ai pericoli della foresta, vengono spesso separate e rimandate in Bielorussia dove sono minacciate di tortura e morte.

Si ritiene che attualmente nella “giungla” siano alcune centinaia i migranti che rischiano di perdere la vita in mancanza di soccorsi. Tra loro vari minori, alcuni di pochi mesi. Su questa linea di confine, a differenza di quella più a sud, ai cittadini polacchi, come alle associazioni, viene impedito il soccorso.

È una situazione che stride, in modo assordante, rispetto a quella che vediamo alla frontiera con l'Ucraina, non solo perché non protegge in alcun modo la vita delle persone in difficoltà ma perché criminalizza chi si impegna a farlo. Le ONG hanno infatti definito “senza precedenti” i procedimenti legali in corso contro i propri attivisti che hanno prestato aiuto. «Sono state mosse gravi accuse per aver fornito assistenza umanitaria o riparo o aver portato via queste persone dai boschi in un luogo sicuro», ha affermato Jaroslaw Jagura, avvocato della Fondazione Helsinki per i diritti umani. «Favorire passaggi di frontiera illegali è punibile con otto anni di carcere», ha detto ad AFP.

Tuttavia la portavoce della guardia di frontiera polacca, Anna Michalska, ha fornito una versione completamente diversa su quanto sta accadendo spiegando che ad essere respinti sono solo i migranti diretti in Germania. Michalska ha insistito sul fatto che chiunque ne abbia bisogno possa consultare un medico e che chi spera di rimanere in Polonia può “sempre” chiedere asilo.

Per le ONG sono tutte “bugie”. Secondo Grupa Granica e la Fondazione Helsinki per i diritti umani, il 22 marzo la polizia ha arrestato quattro volontari per aver aiutato una famiglia con sette bambini nella foresta. Un pubblico ministero li ha accusati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Il 25 marzo il tribunale ha respinto la richiesta di custodia cautelare. Lo stesso giorno, la polizia ha arrestato un'altra volontaria mentre era seduta nella sua macchina. Il procedimento giudiziario contro i cinque volontari è sospeso.

«Il contrasto con il confine ucraino, dove oltre due milioni di persone sono state accolte in Polonia in poco più di un mese, non potrebbe essere più netto. Due dei volontari arrestati vicino al confine bielorusso si erano precedentemente offerti per quello ucraino senza problemi», ha dichiarato Lydia Gall, ricercatrice senior sull'Europa orientale e sui Balcani occidentali di Human Rights Watch (HRW).

«Le autorità non dovrebbero decidere chi trattare umanamente in base al colore della pelle o alla nazionalità. Tutti quelli che arrivano in Polonia, indipendentemente dal confine che attraversano, dovrebbero vedere i propri diritti rispettati. Le autorità dovrebbero smettere immediatamente di perseguire i volontari al confine bielorusso e garantire che gli aiuti umanitari siano forniti a chi ne ha bisogno», ha sottolineato.

Stesso parere è stato espresso dall'eurodeputata polacca indipendente Janina Ochojska, membro del gruppo dei Popolari europei (Ppe), in un'intervista rilasciata all'agenzia Dire. «Al confine tra Bielorussia e Polonia sappiamo che ci sono almeno un centinaio di profughi che rischiano di morire nelle foreste, e i volontari che cercano di aiutarli vengono perseguiti penalmente dalla giustizia polacca. L’Unione Europea deve fare pressioni sul governo di Varsavia affinché ponga fine al doppio standard sul trattamento di migranti, rifugiati e richiedenti asilo», ha dichiarato. «Perché – si domanda Ochojska – gli stessi diritti accordati agli ucraini vengono invece negati ai profughi dalla Bielorussia, provenienti da Iraq, Siria, Yemen o Afghanistan, paesi che da anni sono colpiti da guerre e violenze come l’Ucraina oggi?». Il timore dell'eurodeputata è che nei boschi, sul lato bielorusso, possano esserci molte vittime, tutti quelli che non sono riusciti a superare il gelo invernale, la fame, gli stenti. Preoccupazione è stata espressa anche sul muro di confine alto cinque metri e mezzo – i cui lavori dovrebbero concludersi il prossimo giugno – che attraverserà la foresta protetta di Białowieża, patrimonio mondiale dell'Unesco, distruggendola in parte.

Ochojska ha ricordato, inoltre, come, quando è scoppiata l’emergenza al confine bielorusso, il governo polacco abbia sigillato le frontiere spiegando che se avesse permesso ai profughi di entrare, ne sarebbero arrivati a migliaia che non sarebbe stato possibile accogliere, mentre la cronaca di questi giorni racconta tutt'altro.

L'eurodeputata ha anche segnalato un'altra criticità. L’avvio rapido delle procedure di asilo per i profughi ucraini ha causato la sospensione di quelle in corso degli altri richiedenti extraeuropei che attendono nei centri per migranti, “vere e proprie prigioni sporche e sovraffollate, dove risiedono anche minori a cui non viene garantita l'istruzione”. Lo scorso novembre Ochojska ha visitato il centro di Kostrzyn, a trecento chilometri da Varsavia, che ospita quattrocento minori. Si stima che ci siano almeno cinquemila profughi in centri di questo tipo. “Sono persone che fuggono da guerre, molti soffrono di disturbi da stress post-traumatico e questi luoghi non sono salutari. Tanti hanno tentato il suicidio, persino i minori”, ha concluso.

Due pesi, due misure. In Polonia e nel resto del mondo

Nell'arco di breve tempo, la Polonia è passata dal respingere i migranti provenienti dal Medio Oriente ad aprire le braccia a chi arriva dall'Ucraina. Un'inversione di marcia del governo che in alcuni cittadini ha suscitato qualche perplessità: frontiere chiuse per gli uomini musulmani siriani, aperte per donne e bambini bianchi, cristiani e ucraini.

Il diverso trattamento da parte della Polonia nei confronti dei rifugiati è ancora più evidente se si paragona a quanto accaduto con l'emergenza siriana, quando la popolazione scappava da bombardamenti a tappeto, sparizioni forzate, torture di regime, massacri, stupri. Dalla guerra civile. All'epoca le autorità polacche – con l'insediamento dopo il trionfo alle elezioni legislative della destra euroscettica, populista e nazionalista del partito Diritto e Giustizia – si rifiutarono di accettare la distribuzione dei rifugiati dal Medio Oriente da parte dell'Unione Europea. I rappresentanti politici – come raccontato da Politico, cinque anni fa – dichiararono che l'accoglienza dei rifugiati musulmani avrebbe cambiato la loro cultura e avrebbe abbassato radicalmente il livello di sicurezza del paese. Non avrebbero ceduto. Non li avrebbero accolti. Nel corso della campagna elettorale Jarosław Kaczyński, leader del partito e sovrano de facto della Polonia, aveva messo in guardia i cittadini prima di andare alle urne: i migranti avrebbero portato “ogni sorta di parassiti e protozoi, che... sebbene non siano pericolosi per gli organismi di queste persone, potrebbero essere pericolosi qui”.

Da quando è iniziata la guerra civile in Siria, undici anni fa, 6,6 milioni di rifugiati sono fuggiti dal paese. Solo un milione è stato accolto in Europa (emblematica la situazione attuale dei siriani in Danimarca a cui è stato revocato il permesso di soggiorno per asilo poiché si ritiene, a torto, che non corrano più pericoli in patria per cui, di fatto, si trovano in un limbo nei centri di espulsione a tempo indeterminato con la minaccia di deportazione incombente sulle loro teste). I numeri notevolmente inferiori rispetto a quelli della crisi attuale sono il termometro di una minore empatia, di un'accoglienza diversa e di ridotte opportunità di inserimento, in Polonia come nel resto del mondo.

Eppure si trattava della “più grande crisi umanitaria e di rifugiati del nostro tempo e una continua causa di sofferenza”, come dichiarato dall'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), Filippo Grandi.

Si stima che oggi circa 14,6 milioni di siriani abbiano bisogno di assistenza umanitaria e più della metà della popolazione sia sfollata dalle proprie case, inclusi 5,6 milioni di rifugiati che vivono nei paesi vicini e oltre 6,9 milioni di sfollati interni. Donne e bambini rappresentano più dei due terzi dei profughi.

I rifugiati siriani hanno chiesto asilo in più di 130 nazioni, ma la stragrande maggioranza vive nei paesi vicini come Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto. La sola Turchia ne ospita oltre 3,7 milioni e in Libano circa una persona su quattro è un rifugiato siriano.

La Turchia e gli afghani in cerca di futuro, una crisi dimenticata

In Turchia orientale, più precisamente nella provincia di Van, dove le montagne si estendono fino all'Iran è in costruzione un muro alto sei metri e lungo 295 chilometri che chiuderà il confine con la repubblica islamica.

Di inverno la neve copre l'intero paesaggio con una vista spettacolare. Ciononostante è un luogo di morte, dove la temperatura scende a – 20 gradi. È la tappa di un viaggio di disperazione che può essere completato solo a piedi. Un punto cruciale per chi parte verso la Turchia – soprattutto dall'Afghanistan – con l'obiettivo di raggiungere l'Europa.

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I rischi che le persone corrono attraversando quest'area si mostrano in tutta la loro crudele evidenza in primavera, quando la neve si scioglie e affiorano decine di corpi, tra cui donne incinte e bambini. Dei loro tentativi di fuga falliti resta solo un numero inciso su una lapide in un cimitero senza nome nella città di Van, a migliaia di chilometri dall'Afghanistan.

A raccontarlo per il Guardian è Anushka Asthana, vice caporedattrice politica di ITV News.

L'incontro con chi è sopravvissuto a quel tratto di percorso (che non sempre rappresenta la fine del viaggio e di un incubo) aiuta a capire a cosa si è disposti pur di fuggire dal proprio paese.

Sono storie che hanno in comune l'oppressione, la paura, la violenza nel luogo in cui vivevano prima di andare incontro a un destino che per molti non conosce futuro.

Fatima, studentessa di legge e truccatrice in Afghanistan, si nasconde oggi a Van dopo essere fuggita dai talebani che per due volte l'hanno picchiata riempiendola di lividi. Dopo un viaggio terribile in Iran, i trafficanti le hanno chiesto migliaia di dollari per portarla in Turchia e scaricarla ad un valico impossibile da attraversare.

La giovane donna e il gruppo che era con lei hanno dovuto scalare il muro in costruzione finendo poi in una fossa di cinque metri da cui sono usciti arrampicandosi l'uno sulle spalle dell'altro, prima di scappare per sfuggire dalla polizia turca. Arrivata in città in una falsa ambulanza grazie ad altri trafficanti, Fatima è stata portata in una delle cosiddette “case shock”, dove i rifugiati sono trattenuti per settimane o addirittura mesi in condizioni disumane. Lì è stata minacciata di stupro.

Le autorità turche fanno spesso irruzione in questi appartamenti per sventare i piani dei trafficanti e trasferire i richiedenti asilo nei centri a loro destinati. Per chi fugge alla ricerca di protezione non c'è differenza: entrambi i luoghi sono pericolosi.

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Intervistato da Asthana il governatore di Van ha difeso la scelta di adottare una linea dura sull'immigrazione. La Turchia è al limite e la crisi migratoria ha bisogno di una risposta globale. Ma c'è chi pensa che il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan sia strumentalizzando il fenomeno a proprio vantaggio per far fronte a una serie di problemi interni, come l'inflazione e l'economia in bilico, forte dell'accordo con l'UE sulla gestione dei flussi dei migranti del 2016 che ha portato alle casse dello Stato sei miliardi di euro.

I rifugiati come strumento? La risposta deve essere compatta, umana e politica

Spalancare le porte ai rifugiati ucraini spinge a un inevitabile confronto con il trattamento riservato a quelli provenienti dalla Siria, dall'Afghanistan e da altri paesi. Circa 16.000 persone rimangono nei campi profughi in Grecia e molte di loro stanno soffrendo la fame perché non hanno gli stessi diritti che sono garantiti agli ucraini. Ma la risposta al doppio standard non può essere la chiusura delle porte a questi ultimi. Lo scrive il New York Times in un editoriale pubblicato l'1 aprile.

Le città in Polonia, Moldova e Romania si sono trasformate, mettendo sotto pressione scuole, alloggi, ospedali e programmi di assistenza dei governi. Varsavia, una città di circa 1,6 milioni di abitanti, ospita oggi più di 300.000 rifugiati ucraini, molti dei quali dormono in centri di accoglienza allestiti frettolosamente. I rifugi sovraffollati con donne e bambini sono, tra l'altro, bersagli della tratta di esseri umani e dello sfruttamento criminale.

I rifugiati non sono un errore di percorso non calcolato della guerra di Vladimir Putin in Ucraina, scrive la testata americana. I bombardamenti indiscriminati che hanno tra gli obiettivi le infrastrutture civili fanno parte di una strategia più ampia per demoralizzare la popolazione e trasferire i residenti nei paesi vicini, così che la loro presenza possa diventare un elemento destabilizzante, come è successo al confine tra Bielorussia e Polonia grazie a Lukashenko.

Nel tempo, il malumore nei confronti dei rifugiati ucraini potrebbe levarsi e poi aumentare. Le persone che hanno iniziato ad accoglierli potrebbero rivoltarsi contro, facendo pressione sui rispettivi governi per costringere l'Ucraina a porre fine alla guerra alle condizioni stabilite dalla Russia.

Zamosc è una piccola città della Polonia orientale, con una popolazione di 60.000 abitanti. Il suo centro storico, patrimonio mondiale dell'Unesco, è costellato di chiese rinascimentali e facciate colorate, ben lontani dall'orrore presente oltre confine.

Come molte cittadine in Polonia si è trasformata nelle ultime due settimane in un centro per i rifugiati. In pochi giorni sono arrivate 35.000 persone, la maggior parte delle quali si sposta sul versante occidentale. Ma altre restano. Un migliaio di posti letto sono stati messi a disposizione tra centri di accoglienza, scuole, abitazioni private e un circolo sportivo.

Per il sindaco, Andrzej Wnuk, si tratta di un enorme sforzo da parte della città e ha già avvertito che l'accoglienza ha i suoi limiti. «I polacchi sembrano infinitamente pronti a dare, ma un giorno tutto questo finirà», ha detto a BBC News. «Pensavamo che ci sarebbe stata una prima ondata di rifugiati e che poi avremmo ricevuto un sostegno significativo dal governo e dall'UE, ma alla fine siamo rimasti soli. Abbiamo bisogno di un aiuto economico o la qualità della nostra ospitalità diminuirà drasticamente», ha specificato Wnuk.

«Abbiamo bisogno dell'aiuto del mondo», ha aggiunto Barbara Godziszewska, un'impiegata del comune attualmente impegnata a servire pasti caldi. «Tutti ci guardano e ci dicono 'bravi', ma non basta, qualcuno deve dirci cosa dobbiamo fare con i rifugiati. Se i numeri continuano così, temo che andranno in strada a dormire perché tutti gli alberghi sono pieni», ha detto.

Alleggerire questa pressione, sostenendo i paesi che ospitano i rifugiati, renderebbe meno efficace il disegno di mettere pressione sugli Stati utilizzando chi scappa come arma per far sgretolare il sostegno offerto all'Ucraina da parte dell'UE.

Non solo bisogna farlo ma anche in fretta. L'UE ha stanziato una cifra iniziale di diciassette miliardi di euro di fondi, destinati alla ripresa dalla pandemia e a programmi per promuovere la coesione sociale ed economica, che saranno spesi per l'accoglienza di oltre 3,8 milioni di rifugiati arrivati tra il 24 febbraio e il 28 marzo un altri paesi. «La metà di loro è minorenne», ha spiegato la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, che ha poi detto che il numero degli arrivi è in calo ma che comunque bisogna continuare a pianificare perché bisogna essere pronti ad accogliere altri milioni di profughi.

Una grossa fetta di questi fondi dovrebbe andare a quegli Stati che ospitano un numero maggiore di rifugiati.

Ma gli sforzi nell'accoglienza non devono essere limitati all'Europa, continua il New York Times. Il Canada, che già ospita una folta comunità ucraina, permetterà l'ingresso di un numero illimitato di persone in fuga dalla guerra che potranno restare nel paese per almeno due anni. Anche il Giappone, da sempre riluttante, ha accettato di aprire le frontiere agli ucraini. Ugualmente gli Stati Uniti che, per il momento, accoglieranno 100.000 profughi.

Mentre il mondo entra in un periodo di grande instabilità, i suoi leader non possono più ignorare la necessità di una risposta coordinata ma soprattutto compassionevole verso chi fugge dalla guerra e da altre situazioni disperate. L'emergenza umanitaria dell'Ucraina dovrebbe funzionare da apripista a quelle che verranno andando oltre la legittimazione e la strumentalizzazione politica del razzismo e della xenofobia che hanno più volte lasciato chiusi i confini all'umanità.

“La solidarietà va garantita a tutti”

Ameenah A Sawaan, 31 anni, nata a Damasco, è un'attivista dell'associazione The Syria Campaign con sede a Berlino.

«Le autorità dovrebbero essere più organizzate con gli ucraini forti di quello che avrebbero dovuto imparare dalla crisi dei rifugiati del 2015. Le comunità sono accoglienti e solidali, ma quanto sta accadendo riguarda la politica. Come intervengono i politici e come reagiscono all'accoglienza dei nuovi arrivati. Dovrebbe essere almeno un po' diverso rispetto a quello che è successo in passato», ha detto Sawaan ad Al Jazeera.

«La risposta che i rifugiati ucraini hanno ricevuto è stata ottima e dovrebbe essere la normale reazione umana e politica a qualsiasi tragedia. Andare avanti, accogliere i rifugiati, indipendentemente da dove provengano, dovrebbe essere la regola», ha proseguito l'attivista siriana.

«Dovrebbero essere supportati a ogni passo e questo è ciò che dovremmo cercare di tenere a mente mentre facciamo pressione sui paesi europei affinché giochino un ruolo migliore, più aperto e di supporto quando si affrontano le migrazioni da luoghi dove ci sono guerre orribili. La solidarietà va garantita a tutti».

Immagine in anteprima via Grupa Granica 

Concesso in licenza con: CC-BY-SA
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