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Telt, la società statale italo-francese incaricata della costruzione del tratto transfrontaliero della TAV Torino-Lione, ha annunciato l’assegnazione dell’appalto da un miliardo di euro per la realizzazione del tratto italiano dell’opera. Si tratta, nelle intenzioni dell’amministratore delegato dell’azienda, Maurizio Bufalini, del «traguardo storico» che darà il via ai lavori di scavo del tunnel di base del Moncenisio, che divide Italia e Francia. Se tutto filasse secondo i disegni della Telt, sarebbero necessari 91 mesi per realizzare le due canne del tunnel di base e la galleria Maddalena 2 (dalla quale scenderanno le frese), le varie gallerie di connessione e i rami di collegamento tra le due canne, oltre al sito di sicurezza di Clarea e alla galleria artificiale all’imbocco est di Susa, per un totale di 28,5 km di scavi. Ma le incognite per la grande opera simbolo che da 30 anni pende sulla Val di Susa rimangono molte. A cominciare dalle proteste della popolazione della Val di Susa, che da decenni si oppone fermamente all’opera e anche ieri, 31 agosto, è tornata a protestare con un lungo corteo terminato nella “battitura” dei cancelli del cantiere. Un fattore a cui si aggiungono le titubanze delle autorità francesi sulla effettiva concretizzazione dei lavori.
Le stime sulla durata dei lavori parlano quindi di circa 7 anni e mezzo a partire dal 2024, con la previsione di aprire il tunnel al traffico ferroviario dal 2033. «Da oggi abbiamo tutti i cantieri in esecuzione – ha affermato trionfale il direttore generale di Telt, Maurizio Bufalini, in conferenza stampa -. Oggi esiste dunque un cantiere unico binazionale di 65 km tra Saint-Jean-de-Maurienne e Susa/Bussoleno. Su questo cantiere le regole sono uniche, anche in tema antimafia. Siamo l’unico esempio di questo tipo in Europa. Anche la gestione dei materiali è binazionale. Possiamo trasferire e utilizzare il materiale che esce dalla Francia in Italia e viceversa. Prima queste opportunità erano negate dal confine. Oggi più che mai sentiamo sempre più la responsabilità di concludere velocemente i lavori e in maniera sicura».
Eppure, tale auspicio appare, almeno sulla base dello spaccato odierno, quantomeno azzardato. La Francia, da parte sua, negli ultimi mesi ha a più riprese fatto intendere di non considerare l’opera come una priorità. L’impasse, in particolare, è emerso in maniera piuttosto evidente lo scorso maggio, quando il Conseil d’orientation des infrastructures francese aveva aperto a uno slittamento in calendario dell’opera. Erano poi seguite rassicurazioni da parte del Governo, che ha affermato che non intende tradire gli impegni già presi. Il 22 giugno, nel corso della commissione intergovernativa, le autorità transalpine si sono impegnate a finanziare con un budget di tre miliardi di euro le vie di accesso ferroviarie al tunnel di base, facendo però slittare la fine dei lavori al 2038. Ad alzare la testa sono state poi migliaia di cittadini francesi, che pochi giorni prima si erano riuniti in un corteo per protestare contro il progetto della linea ferroviaria ad alta velocità. La manifestazione era segnate da intensi scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, che non hanno lesinato lanci di lacrimogeni e cariche violente contro gli attivisti.
Al di qua delle Alpi, in Val di Susa, i lavori per la realizzazione dell’alta velocità sono da mesi in fase di stallo. L’assegnazione dei lavori dal lato italiano non è ancora stata fatta ma, al contempo, si assiste da tempo a una vera e propria militarizzazione dell’area. In Aula, al processo che vede imputati alcuni attivisti del centro sociale torinese Askatasuna, protagonisti di vibranti proteste contro l’opera, è emerso che, al fine di proteggere i siti preparatori della TAV da contestazioni, sono stati spesi negli ultimi 10 anni circa 30 milioni di euro in filo spinato, jersey di cemento e barriere alte 5 metri sparse tra i boschi. Maurizio Bufalini, direttore di Telt, ha affermato che di quei costi si è fatta completamente carico l’impresa che presiede. Che, però, resta un soggetto finanziato con soldi pubblici. A queste voci di spesa occorre aggiungere quella per il dispiegamento di un numero di forze dell’ordine che va dai 180 ai 200 mila agenti all’anno, con una punta di 261 mila nel solo 2021.
Ad ogni modo, in Piemonte non si fermano le proteste da parte dei militanti No-Tav, né la loro repressione da parte delle forze dell’ordine. A fine luglio centinaia di attivisti avevano marciato in corteo, nell’ambito del Festival Alta Felicità di Venaus, per una “Passeggiata di lotta” verso i cantieri di San Didero e Chiomonte. I dimostranti hanno proceduto con la battitura dei cancelli e al lancio di alcuni petardi, a cui le forze dell’ordine hanno risposto con idranti e lacrimogeni. A margine della fine del Festival, la Polizia aveva fatto irruzione nei presidi No TAV, sequestrando il materiale rinvenuto all’interno. Una repressione che non ferma il movimento, che anche ieri è tornato a manifestare il dissenso all’opera.
[di Stefano Baudino]